sabato 28 giugno 2025

Spaghetti alla Nerano

Gli Spaghetti alla Nerano sono un piatto tipico della costiera amalfitana, in particolare del borgo di Nerano, vicino a Massa Lubrense. Si tratta di una ricetta semplice ma straordinariamente gustosa, a base di zucchine fritte e provolone del Monaco, un formaggio a pasta semidura tipico della zona. 📝 Ingredienti (per 2 persone): 200 g di spaghetti 3–4 zucchine medie 80–100 g di Provolone del Monaco (in alternativa: caciocavallo stagionato) 1 spicchio d'aglio Basilico fresco q.b. Olio extravergine d’oliva Olio di semi per friggere Sale e pepe q.b. 👩‍🍳 Preparazione: Friggi le zucchine Lava le zucchine e tagliale a rondelle molto sottili. Friggile in abbondante olio di semi fino a doratura. Scolale su carta assorbente e salale leggermente. Alcuni chef le lasciano riposare qualche ora per esaltarne il sapore. Cuoci gli spaghetti Porta a bollore una pentola d’acqua salata e cuoci gli spaghetti, scolandoli molto al dente (tieni da parte un po’ d’acqua di cottura). Prepara la base In una padella capiente fai imbiondire l’aglio in olio extravergine. Aggiungi le zucchine fritte e un paio di cucchiai d’acqua di cottura della pasta per ammorbidirle. Manteca la pasta Versa gli spaghetti nella padella con le zucchine. Togli dal fuoco e aggiungi il Provolone del Monaco grattugiato finemente. Manteca energicamente con acqua di cottura, fino a ottenere una crema vellutata che avvolge la pasta. Finitura Aggiungi abbondante basilico fresco spezzettato e una macinata di pepe nero. 🍷 Abbinamento vino: Un Falanghina del Sannio o un Greco di Tufo, freschi e minerali, sposano perfettamente la cremosità del piatto.

mercoledì 25 giugno 2025

COME FARE LA PASTA E CECI IN SCATOLA

COME FARE LA PASTA E CECI IN SCATOLA Ingredienti 1 barattolo di Ceci precotti 120 gg. di Pasta formato misto 1 spicchio d'Aglio 2 rametti di rosmarino 30 gr. di Pancetta dolce (se gradita) Olio extravergine d'Oliva Acqua 4,5 mestoli Sale q.b. Procedimento 1 Scolate i ceci dall'acqua di conservazione e sciacquateli sotto acqua corrente. 2 Fate soffriggere in un giro d'olio uno spicchio d'aglio scamiciato; una volta imbiondito unite i ceci e due rametti di rosmarino fresco e lasciate insaporire per qualche minuto.3Eliminate l'aglio e addizionate un paio di mestoli d'acqua calda, salate e portate a bollore. 4 Recuperate circa 1/4 dei ceci e schiacciateli con una forchetta.5Metteteli in pentola e calate la pasta.6Aggiungete altra acqua, scaldata in precedenza, fino a coprire la pasta. 7 Prediligete la cottura molto al dente ed unite la pancetta dolce cubettata fatta tostare un precedenza in una padella antiaderente. 8 La vostra pasta con ceci in scatola é pronta per essere gustata. Buon appetito!

martedì 24 giugno 2025

Quanto dovremmo pagare un chilo di pomodori?

Italia Lunedì 23 giugno 2025 Quanto dovremmo pagare un chilo di pomodori? Per fare scelte più etiche bisogna guardare ai campi, ma anche allo strapotere della grande distribuzione organizzata di Isaia Invernizzi Di fronte ai pomodori esposti nel reparto ortofrutta di qualsiasi supermercato italiano non ci poniamo quasi mai molte domande. Nella fretta della spesa osserviamo forse il colore, la taglia e il prezzo, ma tra confezioni della stessa varietà non è facile dire se sia meglio una oppure l’altra, e capire soprattutto se siano ortaggi di qualità: le informazioni a disposizione, così come il tempo, sono poche. Ma in realtà sui pomodori, come su qualsiasi altro prodotto venduto nei supermercati, sarebbe opportuno farsi più domande. Tra le tante, una a cui lì per lì è quasi impossibile trovare una risposta: li stiamo pagando il giusto? La domanda è importante perché il prezzo di vendita dei pomodori è un indizio essenziale, che tuttavia acquisisce valore solamente se connesso anche ad altre informazioni, come l’area di coltivazione e l’azienda produttrice. Partendo da queste tracce è possibile farsi una minima idea della cosiddetta filiera, ovvero dei processi e dei passaggi necessari per portare i pomodori dalle serre ai reparti ortofrutta dei supermercati. Ma più passaggi ci sono nella filiera, più alcuni saranno poco trasparenti – addirittura nascosti – e più sarà difficile capire cosa contribuisce al prezzo finale; capire, cioè, se il prezzo sia giustificato, se le persone e le aziende che lavorano nella filiera abbiano ricevuto un compenso equo o se invece qualcuno abbia speculato. La risposta sommaria è che sì, nella maggior parte dei casi all’interno della filiera ci sono speculazioni che alimentano disuguaglianze, forme diffuse di illegalità e sfruttamento della manodopera, in particolare di quella straniera. Lo sfruttamento è il modo più immediato per contenere i costi di produzione, garantire margini più elevati e in definitiva rispondere alle esigenze di profitto riversando i problemi sui lavoratori più vulnerabili. Una possibile soluzione, per farla brevissima, sarebbe proteggere le aziende sane favorendo un consumo consapevole: pagando il giusto, appunto. Ma non è così facile, perché non dipende solo dai consumatori. E quindi per orientarsi e fare una scelta davvero consapevole ed etica è necessario non fermarsi alla versione brevissima della soluzione. Si fa presto a dire pomodori Nelle sue serre di Pachino, nella zona meridionale della Sicilia, Beppe Signorello pianta ogni anno tre varietà di pomodori: datterini, ciliegini e costoluti chiamati Marinda. I primi due sono più conosciuti, il Marinda meno: è un pomodoro che pesa dai 250 ai 300 grammi, con una forma piuttosto appiattita e a coste, di colore tra il rosso scuro e il verde brillante, ottimo anche così com’è, senza condimento. La produzione di queste tre varietà è molto diversa l’una dall’altra. Innanzitutto perché le piantine di datterini e ciliegini costano meno rispetto a quelle di costoluti, ma anche perché le lavorazioni dei primi due sono più semplici e veloci, così come i trattamenti e la raccolta. I costoluti producono invece più scarto: molti pomodori hanno difetti e non finiscono nelle forniture di ortomercati e supermercati, che esigono la perfezione. «Dalla scelta della varietà dipendono tanti fattori che incidono sul prezzo e sulla vendita», dice Signorello. Un pomodoro come il costoluto Marinda è più costoso e difficile da coltivare, più raro, quindi più rischioso. Solo chi garantisce un’ottima qualità riesce a competere. «Noi ci crediamo e continuiamo a proporlo ai mercati. Lo spediamo in tutta Italia, in Francia e in Germania. Viene venduto all’ingrosso tra 2,5 e 5 euro al chilo, dipende anche dalla disponibilità. Non è un prodotto semplice». Anche se le serre sono le stesse, con ciliegini e datterini è tutto diverso, compresa la destinazione: sono varietà molto diffuse di cui fa incetta la grande distribuzione organizzata (GDO), che rifornisce i supermercati. I rischi sono di meno, i margini sono decisamente più bassi. Tutte queste variabili vanno moltiplicate per il gran numero di varietà di pomodori coltivate in Italia: solo tenendo conto delle principali, sono circa 300. Ognuna ha bisogno di terreni, lavorazioni e trattamenti diversi, che incidono sui costi, sul prezzo all’ingrosso e infine sul prezzo al dettaglio. Raccolta dei pomodori Raccolta dei pomodori (Abed Rahim Khatib/Getty Images) Qualche esempio per capire cosa significa lavorazioni. Le piante di pomodoro crescono con due portamenti: si definiscono indeterminate le piante che continuano a svilupparsi e hanno bisogno di sostegni, come pali o spaghi, mentre quelle a crescita determinata hanno una forma a cespuglio. Le piante a crescita indeterminata devono essere legate una a una man mano che crescono; inoltre va fatta la cosiddetta sfemminellatura, ovvero la rimozione dei getti ascellari, di fatto una potatura, che serve a concentrare la produzione verso pochi rami. Queste operazioni – le lavorazioni, appunto – vengono fatte a mano, non possono essere automatizzate. Per trattamenti, invece, si intende l’applicazione di prodotti – i più comuni sono a base di rame, ma ce ne sono molti altri – per prevenire malattie fungine come la peronospora o le malattie di origine batterica. Vanno considerate poi la concimazione del terreno, l’irrigazione e l’ultima lavorazione in campo, cioè la raccolta fatta a mano. I costi di tutti questi passaggi variano a seconda della conformazione del territorio, della composizione del terreno, del caldo e della pioggia. Se l’inizio di stagione è molto piovoso aumentano i costi per la prevenzione delle malattie, se c’è siccità aumentano i costi di irrigazione. Ci sono altre incognite che non hanno a che fare direttamente con l’agricoltura: per esempio, dopo la pandemia e l’invasione della Russia in Ucraina sono aumentati i prezzi di concimi, fertilizzanti e trattamenti. «Lo scorso anno abbiamo calcolato un aumento dei costi di produzione del 32 per cento, e venivamo già da due anni difficili», continua Signorello. «Con pochissima acqua a causa della siccità abbiamo dovuto estirpare molte piante, perdendo parte del raccolto. I prezzi sul mercato però sono rimasti più o meno gli stessi: si fa fatica a compensare le spese». Dopo tutta questa premessa si potrebbe pensare che il costo di coltivazione e raccolta incida in modo determinante sul prezzo finale, invece secondo stime basate sui prezzi agricoli diffusi dall’Istat la coltivazione pesa solo per il 15 per cento, mentre la raccolta per il 10 per cento. In totale un quarto del prezzo finale è determinato dal lavoro nei campi. Il restante 75 per cento (ci arriviamo) viene determinato durante i passaggi successivi della filiera. I pomodori che diventano sughi e passate sono un’altra storia I costi di produzione potrebbero essere anche inferiori, anzi molto inferiori, ma esattamente come accade nell’industria anche nell’agricoltura le aziende italiane che coltivano pomodori sono per lo più piccole o piccolissime, a conduzione familiare. Fanno fatica a crescere, a diventare più grandi, e quindi a sfruttare le innovazioni della tecnologia e le cosiddette economie di scala. «Bisognerebbe cambiare mentalità e rendersi conto, tutti, che non siamo più contadini, ma imprenditori agricoli», dice Andrea Manca, agronomo e socio di un’azienda sarda specializzata nella distribuzione di frutta e verdura. – Ascolta anche il podcast Wilson: Perché guadagniamo poco Negli ultimi anni Manca ha costituito un gruppo di 70 aziende per ottimizzare i processi di produzione: lavorazioni e trattamenti vengono fatti solo dopo un’analisi attenta, non più seguendo solo il calendario come si faceva una volta e come fanno tuttora moltissimi agricoltori. Tutto questo vale per i pomodori prodotti per il consumo fresco, ovvero che vengono raccolti e venduti nei supermercati senza ulteriori lavorazioni. C’è però un settore parallelo, cioè quello dei pomodori chiamati da industria o da trasformazione, che vengono coltivati per essere venduti alle grandi aziende produttrici di sughi e passate. Nel 2024 l’Italia, con i suoi 5,3 milioni di tonnellate prodotte, è stato il terzo produttore mondiale dopo Cina e Stati Uniti. In questo caso il mercato è molto più concentrato e controllato, con una coltivazione più veloce e quasi interamente meccanizzata. Non servono serre e l’impiego di braccianti è limitato, soprattutto nelle regioni del Nord: le piante di pomodoro crescono a terra e i frutti vengono trattati e raccolti con macchinari. Anche l’irrigazione è automatica. Le varietà sono poche, selezionate per prediligere la resa e la resistenza alle malattie. Nelle regioni del Nord, in particolare in Pianura Padana, è più diffuso il pomodoro tondo, al Sud il pomodoro allungato. Un ottimo raccolto si aggira sulle 90 tonnellate per ettaro (ovvero 9 milioni di chilogrammi per ogni chilometro quadrato), niente a che vedere con la resa dei pomodori a consumo fresco. I margini sono ovviamente molto più bassi, anche perché ogni anno viene fissato un prezzo minimo di vendita attraverso una trattativa tra le associazioni che rappresentano le aziende agricole e le associazioni delle aziende di trasformazione. Fino al 2020 i pomodori da industria venivano pagati agli agricoltori 100 euro alla tonnellata, dunque 10 centesimi al chilo; nel 2023 si è arrivati a 15 centesimi, nel 2025 il prezzo minimo è stato fissato a 14 centesimi. La raccolta dei pomodori destinati alle industrie di sughe e passate La raccolta dei pomodori destinati alle industrie di sughi e passate (Emmanuele Ciancaglini/Getty Images) In entrambi i casi, sia nella filiera dei pomodori da consumo fresco che in quella dei pomodori da industria, dopo la raccolta i prodotti vanno imballati e trasportati: altri due passaggi importanti che incidono per circa il 20 per cento sul prezzo finale. I pomodori poi devono essere distribuiti, cioè piazzati sul mercato, un lavoro di intermediazione svolto da grossisti e agenti che ha un peso significativo sul prezzo, circa un quarto del totale. Imballaggio, trasporto e distribuzione, insieme, influiscono sul prezzo più della coltivazione. La distribuzione cambia a seconda delle destinazioni, che sono principalmente tre: la vendita diretta, la vendita al mercato ortofrutticolo all’ingrosso e quella alla grande distribuzione organizzata. Nella vendita diretta gli agricoltori vendono direttamente i pomodori ai clienti, fissando loro il prezzo: si parla così di filiera corta perché di fatto c’è un solo passaggio dal campo al sacchetto della spesa. Nella vendita all’ingrosso la filiera si allunga. Andrea Manca la paragona al giocare in Borsa. «Bisogna avere fiuto e piazzare i prodotti al momento giusto, anche perché su questi mercati i prezzi si fanno giorno per giorno», dice. Quest’anno, per come sta andando la stagione, gli agricoltori della sua zona sono contenti se un chilo di pomodoro di varietà camone viene pagato 1,70 euro, un chilo di pomodorini ciliegini 1,80, per i piccadilly 1,30, e 2,70 euro un chilo di datterini. Ma sono appunto prezzi che possono cambiare rapidamente, di settimana in settimana, e diversi da regione a regione. Il grande potere della grande distribuzione La vendita attraverso la grande distribuzione organizzata è impostata in modo ancora diverso. La GDO è la rete di fornitura e vendita di prodotti a largo consumo, basata su punti vendita di grandi dimensioni, come i supermercati. Fanno parte della GDO marchi come Conad, Carrefour, Lidl, Coop, Esselunga. Per ognuna di queste aziende avere un unico canale di fornitura a livello nazionale è un vantaggio in termini di costi e organizzazione. Tra gli agricoltori e la grande distribuzione c’è un rapporto ambivalente: essere scelti dalla GDO è considerata una grande opportunità, ma allo stesso tempo i margini sono bassissimi e c’è il rischio di svalutare la produzione. I supermercati pagano molto meno rispetto ai mercati ortofrutticoli, ma in modo costante, puntando sulla quantità e sul meccanismo degli sconti. Di solito i prezzi vengono fissati di settimana in settimana, non giorno per giorno, e nel periodo degli sconti si impone ai fornitori un abbassamento del prezzo con poche possibilità di trattare. Fino al 2021 erano diffuse le aste al ribasso organizzate online, una pratica che ora è vietata da una direttiva europea, che costringeva gli agricoltori a contendersi la fornitura offrendo la propria merce a un prezzo sempre inferiore, in alcuni casi fino a perdere soldi pur di rimanere agganciati alla GDO. L’obiettivo della grande distribuzione è strappare il prezzo più favorevole, spostando il valore della filiera dalla coltivazione al lavoro di distribuzione e vendita. Sugli scaffali il prezzo di una confezione di pomodori viene venduta a quattro o cinque volte il prezzo pagato all’agricoltore, una differenza che solo in parte è attribuibile ai passaggi intermedi. La GDO ha molto potere nelle trattative perché sa di poter trovare forniture alternative in poco tempo, anche all’estero, e senza troppi sforzi. Gli agricoltori accettano queste condizioni perché perdere una commessa della grande distribuzione arrecherebbe loro troppi danni. Il massiccio ricorso al sottocosto non altera solo il mercato, ma l’intero settore, fino alla produzione: i margini bassi limitano gli investimenti e costringono tutte le parti della filiera a comprimere il più possibile i costi. Vale soprattutto per gli agricoltori. L’alternativa è aumentare le rese – cioè produrre più pomodori dalla stessa pianta, limitando gli scarti – usando sementi più performanti e trattando le piante con più concimi e pesticidi. Il valore si concentra così sulla quantità e meno sulla qualità, a dispetto dei messaggi pubblicitari incentrati sulla genuinità e sul rispetto della tradizione agricola italiana. Una delle conseguenze più sottovalutate coinvolge i consumatori, che in un mercato invaso dagli sconti faticano a percepire il giusto valore dei prodotti. Le promozioni, le offerte, gli sconti e il sottocosto non sono più un’eccezione: sono campagne di marketing ormai ricorrenti, proposte quasi ogni settimana. Molte persone cambiano supermercato proprio in funzione delle promozioni, alimentando una competizione tra marchi pronti a proporre il prezzo più basso. Nessuno degli agricoltori sentiti per questo articolo si è lamentato apertamente della GDO, anzi molti sperano di avere sempre più contatti con i supermercati, ma tutti ammettono che è complicato tirare avanti con questi prezzi. «Non guadagni i miliardi, però almeno porti a casa il pezzo di pane», dice Andrea Manca. Vale anche per chi produce pomodoro da industria, che non ha rapporti diretti con la grande distribuzione. Gli agricoltori vendono alle aziende di trasformazione, produttrici di sughi e passate, che a loro volta riforniscono la GDO. «Da tempo chiediamo un dialogo più diretto con la grande distribuzione», dice Luigi Sidoli, direttore dell’AINPO, l’associazione interprovinciale produttori ortofrutticoli attiva soprattutto in Emilia-Romagna. «È giusto mantenere sughi e passate a un prezzo abbordabile, ma sarebbe sufficiente qualche centesimo in più al chilo per sistemare definitivamente i bilanci delle aziende agricole senza comportare grossi sconvolgimenti a valle». «Che fatica» Nella piana di Foggia Massimo Cardente coltiva una varietà di pomodoro oblungo, solitamente usata per fare i sughi. Lui però negli ultimi anni ha cercato di renderlo un prodotto adatto anche alle insalate, quindi per il consumo fresco. La raccolta è fatta a mano, perché il frutto è piuttosto delicato. I costi di produzione sono più alti rispetto al pomodoro da industria, e per questo non è semplice proporli a un prezzo giusto. «Vendiamo un chilo di pomodori tra 90 centesimi e un euro: a dirlo in giro sembra che sia un prezzo esagerato. Dicono che dovremmo farli a 50 centesimi, ma io mi sono imposto», dice Cardente. «Per ora il mercato ci ha dato ragione perché abbiamo trovato una clientela che ci asseconda e preferisce un prodotto di qualità. Però che fatica». Cassette di pomodori al mercato ortofrutticolo di Milano Cassette di pomodori al mercato ortofrutticolo di Milano (LaPresse/ Claudio Furlan) Chi non riesce a imporre il proprio prezzo, e sono migliaia di agricoltori, deve trovare altri modi per ottenere margini adeguati. Il più semplice è il risparmio sulla manodopera, sulle persone a cui viene affidata in particolare la raccolta. Sono per lo più braccianti stranieri, assunti con contratti irregolari pagati pochi euro all’ora, senza diritti e tutele. Il rapporto Agromafie e caporalato, pubblicato dall’osservatorio Placido Rizzotto del sindacato CGIL, stima che nei campi italiani vengano sfruttate circa 230mila persone, un quarto di tutti i braccianti, dati che dimostrano quanto questo problema sia esteso e pervasivo nel settore. Il lavoro irregolare ha un’incidenza elevata soprattutto in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio, dove si stima che oltre il 40 per cento dei braccianti abbia un contratto irregolare, per poche ore alla settimana, oppure non abbia proprio un contratto, e quindi lavori in nero. In molte regioni del Nord il tasso di irregolarità è solo leggermente più basso, tra il 20 e il 30 per cento. Migliaia di braccianti lavorano in condizioni proibitive, senza minime misure di sicurezza. Molti non hanno i documenti. Il caporalato è un reato sentinella, l’avvisaglia di possibili altri problemi nella filiera legati alla presenza della criminalità organizzata, interessata a estorsioni e all’appropriazione di terreni per intercettare illegalmente fondi europei destinati all’agricoltura. Negli ultimi anni sono state aperte molte inchieste per riciclaggio di denaro nella gestione dei mercati ortofrutticoli, nella rete di trasporto della merce e nella fornitura alla grande distribuzione. Finora i tentativi dei governi di introdurre più controlli nelle filiere agroalimentari e renderle più trasparenti hanno avuto scarsi risultati. La legge 185 del 2016, nota anche come decreto Caporalato, ha istituito tra le altre cose la Rete del lavoro agricolo di qualità (RLAQ), pensata per valorizzare le aziende agricole virtuose che rispettano i diritti dei lavoratori. La rete è un elenco gestito dall’INPS a cui le aziende possono aderire se hanno pagato regolarmente i contributi, se rispettano i contratti collettivi, se i titolari non hanno condanne per reati legati allo sfruttamento del lavoro. In teoria chi fa parte della rete dovrebbe avere agevolazioni burocratiche, maggiore visibilità sul mercato e più possibilità di accedere a finanziamenti pubblici. Basta un dato, uno solo, per dimostrare che finora la rete non ha raggiunto il suo obiettivo: in tutta Italia hanno aderito poco più di novemila aziende agricole, una quota minima del totale. Secondo i dati del censimento generale dell’agricoltura – i più recenti sono del 2020 – in Italia le aziende agricole sono 1 milione e 100mila. I motivi di un’adesione così scarsa sono molti, soprattutto il fatto che i benefici per le aziende sono insufficienti. Le serre della cosiddetta Fascia trasformata, un'area di 80 chilometri in provincia di Ragusa (foto Il Post) Le serre della cosiddetta Fascia trasformata, un’area lunga 80 chilometri in provincia di Ragusa (foto Il Post) Cosa fare, quindi? Secondo Davide Donatiello, professore di sociologia dell’università di Torino che ha collaborato al rapporto Agromafie della fondazione Placido Rizzotto, una strategia per rendere più sicura la filiera è la collaborazione tra le aziende produttrici. È un principio valido per i pomodori come per qualsiasi altro ortaggio o prodotto. Un gruppo di aziende costituite in un consorzio ha la possibilità di ottimizzare la produzione e soprattutto avere più potere nelle trattative con la grande distribuzione organizzata. «Finora è sempre stato complicato promuovere la tracciabilità della filiera perché le aziende pensano che qualsiasi tipo di bollino o certificazione nasconda dei costi, e in parte è vero», dice Donatiello. «Però siamo arrivati a un punto in cui è indispensabile creare corpi intermedi, per esempio i consorzi, per garantire più solidità e trasparenza nei vari passaggi della filiera. Altrimenti i margini rimarranno sempre bassi, e continuerà a esserci sfruttamento». La stessa richiesta è stata fatta più volte da associazioni, come Oxfam e Terra!, che da anni chiedono alla grande distribuzione di rendere pubbliche informazioni relative ai fornitori di cui si servono. Da alcuni anni in Francia alcuni marchi di supermercati come Leclerc oppure progetti sperimentali come C’est qui le patron?!, una cooperativa fondata da consumatori, mostrano il prezzo pagato all’agricoltore accanto al prezzo di vendita nei negozi. In Italia esiste un progetto con lo stesso nome, “Chi è il padrone?”, che però ha avuto molta meno fortuna che in Francia. La trasparenza dei passaggi tra campo e supermercato è il primo passo verso un consumo più consapevole, molto complesso da incentivare su larga scala: gli agricoltori sentiti per questo articolo dicono che ci sono troppi interessi all’interno della filiera e che ormai le disuguaglianze sono consolidate. Tuttavia tutti pensano che il cambiamento possa passare solo da un’attenzione e una sensibilità maggiori dal basso, da parte dei consumatori, anche partendo da cerchie limitate. È un processo lento e faticoso perché servono molti più sforzi rispetto all’acquisto al buio nei supermercati. Per esempio si può scegliere la filiera corta, acquistando direttamente dai contadini, oppure per chi abita in città attraverso gruppi d’acquisto solidali: si hanno molte più informazioni sulla provenienza dei prodotti e ci sono molti meno intermediari e passaggi tra i campi e l’acquisto. Al supermercato invece si possono evitare le filiere lunghissime, che importano pomodori dall’estero a prezzi molto bassi, controllando l’origine sull’etichetta. Allo stesso modo si può fare attenzione alle informazioni riportate sulle confezioni, se per esempio c’è un codice QR o altre indicazioni per risalire con più precisione all’area di coltivazione. Queste informazioni aiutano a escludere i pomodori di origine troppo generica, solitamente indicati con la scritta “provenienza Italia”. Se si vuole andare ancora più a fondo, va controllata l’affidabilità delle aziende produttrici in aree particolarmente interessate dallo sfruttamento come la Capitanata di Foggia, la Fascia trasformata in provincia di Ragusa, la Chjiana di Gioia Tauro, l’Agro pontino nel Lazio. Non tutte sfruttano le persone o si affidano ai caporali: bisogna controllare – principalmente online – se in passato sono state coinvolte in inchieste per reati di questo tipo. – Leggi anche: Nelle serre in provincia di Ragusa i diritti non esistono Bisogna anche tenere a mente che l’etichetta bio o quelle di noti marchi della grande distribuzione non escludono automaticamente lo sfruttamento o pessime condizioni di lavoro nei campi o all’interno della filiera. Le uniche certificazioni valide sono quelle di consorzi o cooperative etiche, dell’equo e solidale, che garantiscono la tracciabilità dell’intera filiera. La filiera corta, le aziende che non sfruttano, i marchi della filiera certificata e trasparente vendono pomodori e altri ortaggi a prezzi più alti rispetto ai supermercati proprio perché assicurano che tutti i lavoratori siano assunti regolarmente e vengano pagati secondo i contratti collettivi. Se si guardasse solo alla convenienza, non ci sarebbe gara rispetto ai prezzi proposti nei supermercati. Anche se il prezzo non è tutto, per iniziare a pagare il giusto bisogna quindi pagare un po’ di più. «Spesso le persone non si rendono conto che al prezzo di una tazzina di caffè si può comprare un chilo di pomodori, e soprattutto non sanno quanto lavoro c’è dietro quel chilo di pomodori», dice Massimo Cardente. «Si cerca sempre il prezzo più basso, senza rendersi conto che è un danno per chi li coltiva».

venerdì 6 giugno 2025

Tartare di tonno alla mediterranea

ChatGPT ha detto: La Tartare di tonno alla mediterranea è un antipasto raffinato e fresco, che abbina la delicatezza del tonno crudo a sapori intensi tipici della cucina mediterranea. Ecco una ricetta gourmet per prepararla. Tartare di Tonno alla Mediterranea 🐟 Ingredienti (per 2 persone): 200 g di filetto di tonno rosso freschissimo (abbattuto per consumo a crudo) 8–10 olive taggiasche denocciolate 6–8 capperi sotto sale (ben dissalati) 1/2 pomodoro ramato (privato dei semi) 1/2 limone (succo e scorza grattugiata) 1 cucchiaio di olio extravergine d'oliva (di qualità) 1 cucchiaino di erbe fresche tritate (prezzemolo, basilico, origano fresco) Pepe nero macinato fresco Sale q.b. 🧑‍🍳 Preparazione: Preparare il tonno Taglia il tonno a cubetti molto piccoli con un coltello affilato. Non tritare, ma tagliare a coltello per mantenere la consistenza. Condire gli ingredienti mediterranei Trita finemente le olive, i capperi, il pomodoro (senza semi e acqua), le erbe aromatiche. Unire e insaporire In una ciotola, unisci il tonno con gli ingredienti tritati. Aggiungi il succo di limone, la scorza grattugiata, l’olio, un pizzico di sale e una macinata di pepe. Mescola delicatamente. Impiattamento elegante Guarnisci con un filo d’olio a crudo, qualche fogliolina di basilico o microgreens, e magari una fettina sottile di limone candito o una cialda croccante.

Pasta e lenticchie cremosa

Difficoltà: Facile Preparazione: 10 min Cottura: 30 min Dosi per: 4 persone Nota + il tempo di ammollo delle lenticchie (3 h) Spaghetti 320 g Lenticchie secche 400 g Guanciale 150 g Aglio in camicia 2 spicchi Rosmarino 2 rametti Peperoncino secco q.b. Parmigiano Reggiano DOP da grattugiare q.b. Olio extravergine d'oliva non filtrato q.b. Preparazione Come preparare la Pasta e lenticchie cremosa Pasta e lenticchie cremosa - 1 Pasta e lenticchie cremosa - 2 Pasta e lenticchie cremosa - 3 Per realizzare la pasta e lenticchie cremosa, per prima cosa mettete in ammollo le lenticchie per circa 3 ore 1. Trascorso questo tempo scolate le lenticchie 2 e sciacquatele. In una pentola capiente rosolate gli spicchi d’aglio in camicia schiacciati, i rametti di rosmarino e il peperoncino con un giro d’olio extravergine d’oliva 3. Pasta e lenticchie cremosa - 4 Pasta e lenticchie cremosa - 5 Pasta e lenticchie cremosa - 6 Aggiungete le lenticchie 4 e coprite con l’acqua 5. Portate a sfiorare il bollore, poi abbassate la fiamma e cuocete per circa 20 minuti o per il tempo indicato sulla confezione 6. Pasta e lenticchie cremosa - 7 Pasta e lenticchie cremosa - 8 Pasta e lenticchie cremosa - 9 Nel frattempo tagliate il guanciale a listarelle 7. Rosolate il guanciale in una padella ben calda 8 fino a quando il grasso diventerà trasparente 9. Pasta e lenticchie cremosa - 10 Pasta e lenticchie cremosa - 11 Pasta e lenticchie cremosa - 12 Trasferite il guanciale su carta assorbente e tenete da parte 10. Quando le lenticchie saranno cotte, eliminate l’aglio e passatele con un passaverdure 11 per ottenere una crema omogenea 12. Intanto portate a bollore una pentola di acqua salata per cuocere la pasta. Pasta e lenticchie cremosa - 13 Pasta e lenticchie cremosa - 14 Pasta e lenticchie cremosa - 15 Spezzate gli spaghetti 13 e cuoceteli al dente 14. Alla fine del tempo di cottura della pasta versate il guanciale nella crema di lenticchie 15. Pasta e lenticchie cremosa - 16 Pasta e lenticchie cremosa - 17 Pasta e lenticchie cremosa - 18 Aggiungete anche gli spaghetti 16 e mescolate bene 17. Impiattate completando la pasta e lenticchie cremosa con Parmigiano Reggiano DOP grattugiato e un filo di olio extravergine d’oliva a crudo 18! Consiglio Se preferite potete sostituire il guanciale con la pancetta.

martedì 27 maggio 2025

Spaghetti aglio olio e peperoncino con pomodori secchi e pangrattato

Ingredienti per gli spaghetti aglio olio e peperoncino con pomodori secchi e pangrattato 320 gspaghetti 3 spicchiaglio 1peperoncino piccante 40 gpomodori secchi 2 cucchiaiaceto di vino bianco 4 cucchiaipangrattato q.b.olio extravergine d’oliva q.b.Sale Come preparare gli spaghetti aglio olio e peperoncino con pomodori secchi e pangrattato Mettere a bagno i pomodori secchi in una ciotolina con dell’acqua e due cucchiai di aceto di vino bianco per almeno mezz’ora. Dopodiché scolarli, strizzarli bene e tagliarli a pezzetti tenendoli da parte. In alternativa possiamo usare dei pomodori secchi sott’olio scolandoli molto bene. In una piccola padella mettere un cucchiaino di olio extravergine di oliva e il pangrattato facendolo tostare a fiamma bassa per alcuni minuti. Mescolare spesso e fare attenzione a non farlo scurire troppo. Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata scolandoli tre minuti prima del tempo di cottura scritto sulla confezione. spaghetti aglio olio e peperoncino con pomodori secchi e pangrattato Nel frattempo in una capiente padella soffriggere gli spicchi d’aglio spellati e privati dell’anima e il peperoncino tagliato in due e privato dei semi con quattro cucchiai di olio extravergine di oliva. Se la pasta piace molto piccante tritare il peperoncino e lasciare anche i suoi semi. Eliminare l’aglio e il peperoncino se è stato lasciato intero. Versare nella padella i pomodori secchi e gli spaghetti assieme ad un mestolo di acqua di cottura. Finire di cuocere per tre minuti finché il liquido si sarà asciugato, ma non del tutto. Impiattare gli spaghetti aglio olio e peperoncino con pomodori secchi e servirli spolverandoli con il pangrattato. Se lo gradite potete aggiungere a questi spaghetti aglio olio e peperoncino con pomodori secchi e pangrattato anche una spolverata di Parmigiano Reggiano o di Grana Padano.

Spaghetti con alici e pecorino

Spaghetti con alici e pecorino Scritto il26 Agosto 2024 delizieinpentola Gli spaghetti con alici e pecorino sono un piatto molto particolare, perché molti inorridiscono di fronte all’abbinamento pesce/formaggio, ma vi assicuro che in questo caso le alici si sposano perfettamente con il sapore del pecorino. Almeno una volta provate questo accostamento. Ecco la ricetta. Ingredienti per 2 persone: 160 g spaghetti 150 g alici 3 cucchiai polpa di pomodoro 30 g pecorino romano (grattugiato) 1 ciuffo prezzemolo 1 spicchio aglio q.b. sale (poco) q.b. olio extravergine d’oliva 288,87 Kcal calorie per porzione Pulire le alici: togliere la testa e la spina centrale, poi sciacquarle sotto l’acqua (potete anche farvele pulire dal pescivendolo). Grattugiare il pecorino e tritare il prezzemolo. Sbucciare l’aglio, tagliarlo in 2 e farlo rosolare in una padella con un filo di olio. Unire le alici e farle rosolare per 5 minuti. A questo punto togliere l’aglio e unire la polpa di pomodoro, regolare di sale (ma poco, perché poi si aggiungerà il pecorino) e cuocere per 2/3 minuti. Lessare gli spaghetti in abbondante acqua salata, scolarli e ripassarli nella padella con le alici e un cucchiaio di acqua di cottura della pasta. Spegnere il fuoco, aggiungere il pecorino e mescolare bene. Terminare con il prezzemolo tritato. Gli spaghetti con alici e pecorino sono pronti da portare in tavola. Varianti In estate potete sostituire la polpa di pomodoro con dei pomodori o pomodorini freschi.