martedì 6 luglio 2021

Come fare il Pollo Fritto Perfetto

https://video.lastampa.it/il-gusto/ricette/oggi-e-il-fried-chicken-day-ecco-i-segreti-per-preparare-il-pollo-fritto-perfetto/141586/141841?ref=LSHSP1-DF-S1-T1

domenica 4 luglio 2021

I PEPERONI TE SE RIPROPOGNONO, MA QUANTO SO’ BUONI

4 LUG 2021 13:00 Gemma Gaetani per "la Verità" – LO SAPEVATE CHE IL PEPERONE VERDE E’ SOLO UN PEPERONE DI UN ALTRO COLORE “CHE NON CE L’HA FATTA”? E L’ORIGINE DELLA PAROLA “CAPSICUM”? – IL PEPERONE E’ ANCHE L’ORTAGGIO PIU’ UTILIZZATO NELLA LINGUA ITALIANA (E NON SOLO) , DA “ROSSO COME UN PEPERONE” A SINONIMO PER DESCRIVERE IL SESSO MASCHILE – PIENI DI NUTRIENTI E VITAMINE ESSENZIALI PER IL SISTEMA IMMUNITARIO, SONO IDEALI PER IL CALDO ESTIVO. E SE VI RISULTANO UN PO’ PESANTI, PROVATE A… - VIDEO Il peperone è una pianta erbacea annua alta 100-150 centimetri, con bei fiori bianchi, solitari ossia uno per ascella fogliare e cadenti, coltivata per i frutti commestibili a bacca che possono essere di colore verde, rosso, arancione o giallo, più raramente viola, e di sapore dolce o piccante. Dal punto di vista del genere e della specie, il peperone e alcuni tipi di peperoncino sono la stessa cosa: il genere è infatti per tutti il Capsicum e la specie annuum, della grande famiglia delle Solanacee. Sono per esempio peperoncini della specie Capsicum annuum il pepe di Caienna, lo jalapeño, il serrano, il thai, il peperoncino calabrese, il peperoncino nero (detto anche violetto fuoco nero, mentre l' habanero appartiene alla specie Capsicum chinense e il tabasco alla specie Capsicum frutescens). Quelle che noi chiamiamo semplicemente peperone sono altre varietà della specie Capsicum annuum che, diversamente da quelle dei peperoncini, non contengono la capsaicina, responsabile della piccantezza del peperoncino: un peperone ha valore zero nella scala di Scoville, che misura la piccantezza. La specie Capsicum annuum è la più coltivata al mondo tra le specie del genere capsicum, il quale prende il nome dal latino capsa, cioè «scatola», perché, a prescindere dalla forma, che può essere allungata, conica, prismatica o globosa, la bacca del peperone, senza succo, rassomiglia a un contenitore il cui unico contenuto sono, appunto, i semi racchiusi in un tessuto detto placenta di colore bianco (nelle varietà piccanti, la capsaicina è prodotta da ghiandole situate tra la parete del frutto e la placenta, che ne è ricca, mentre i semi sono ricoperti in superficie di capsaicinoidi, ma ne sono privi all' interno, perciò non sono piccanti quanto la placenta, inoltre poca altra capsaicina si trova nelle parti carnose dei frutti). La parola peperone deriva dal latino piper, cioè «pepe». Il peperone è un frutto della terra molto bello anche per la sua varietà cromatica: quello verde, però, è semplicemente un peperone giallo, arancio, rosso o viola colto anzitempo. La sequenza cromatica della maturazione è proprio questa: verde da acerbo, giallo/arancio mediamente maturo, rosso/viola maturo. Oggi, comunque, esistono varietà che a maturazione compiuta raggiungono uno solo di questi colori. Metafore e sfottò Si usa molto, oggigiorno, l' espressione comparativa negativa «Tizio è un Caio che non ce l' ha fatta». Il giornalista Andrea Scanzi ha scritto di Carlo Calenda che «è come un Renzi che non ce l' ha fatta, cioè uno che non ce l' ha fatta due volte, però lui resiste e insiste come Rocky Balboa» e Matteo Renzi scrisse del suo omonimo: «Salvini che diffonde le foto delle sue cene è un' aspirante webstar, è una Chiara Ferragni che non ce l' ha fatta». Togliendo da questo tormentone linguistico lo snobismo col quale spesso viene usato e citandola in maniera neutrale, possiamo allora affermare che il peperone verde è un peperone di altro colore che non ce l' ha fatta - per scelta del coltivatore! - a maturare. Il peperone ricorre più di altre verdure, nella nostra lingua, in similitudini: si dice «diventare rosso come un peperone» nel senso di arrossire, oppure «a peperone», del naso, per intenderlo lungo e grosso. Forse per questo, il peperone è anche usato come sinonimo scherzoso per il sesso maschile: nella leggendaria canzone Servi della gleba, l' amico del protagonista innamorato di una ragazza che non lo ricambia (ma lui non lo ha ancora capito), gli chiede: «Le hai mostrato il popparuolo?» e lui, povero illuso, gorgheggia convinto: «No, ma ho buone possibilità». Quella della canzone del gruppo Elio e le storie tese è una citazione: già gli Squallor avevano Le nostre similitudini, comunque, sono tutte nostre: in inglese, pur esistendo il concetto (e pure, declinato al plurale, il gruppo musicale omonimo) del red hot chili pepper, cioè del peperoncino, non si dice «red as a pepper», ma «red as a beetroot» o «as a lobster», cioè come una barbabietola o un' aragosta. Il peperone è però protagonista di una bella filastrocca scioglilingua inglese registrata al n. 19745 del database di canzoni della tradizione orale Roud folk song index, Peter Piper, che dice: «Peter Piper picked a peck of pickled peppers./ A peck of pickled peppers Peter Piper picked./ If Peter Piper picked a peck of pickled peppers,/ Where' s the peck of pickled peppers Peter Piper picked?». La prima comparsa su carta di Peter Piper risale al 1813, nel Peter Piper' s practical principles of plain and perfect pronunciation di John Harris, una raccolta con uno scioglilingua per ogni lettera alfabetica, ma in versione orale era già nota da almeno una generazione. Secondo alcuni Peter Piper è la traslazione inglese del nome francese Pierre Poivre, botanico e missionario che per primo investigò il potenziale delle Seychelles per la coltivazione delle spezie. Ma Peter Piper era anche il nome col quale era conosciuto Aston Dalzell Piper, capitano della Royal naval reserve britannica della seconda guerra mondiale, ed è anche il titolo di una canzone del gruppo Run Dmc, e il nome che ha ispirato quello della catena di pizzerie statunitensi con aree giochi Peter Piper Pizza. Negli Stati Uniti, pepperoni non vuol dire peperoni: è un salame arricchito con paprika o altri tipi di peperoncino e la «pizza pepperoni» è un grandissimo classico che indica una margherita con fette di questo salame, di invenzione italo-americana tardo ottocentesca, che somiglia molto alla salsiccia secca piccante di Napoli o alla soppressata della Calabria, ma con grana più fina, simile a quella del salame Milano. La pizza pepperoni è la più prodotta negli Stati Uniti, dove si consumano 251,7 milioni di libbre di pepperoni all' anno, sul 36% di tutte le pizze prodotte a livello nazionale. Per un italiano, chiamare «pepperoni» il salame è buffo: spesso, nei film americani nei quali compare la pizza pepperoni, il doppiaggio traduce «pizza ai peperoni». Al contempo, in molti ristoranti e pizzerie d' Italia con clientela straniera, nella traduzione inglese del menù ora compare la parola «pepperoni» al posto di «salami» o «hot sausage» per indicare la pizza col salame piccante. Da Napoli alla Svezia D' altronde, anche noi abbiamo il nostro bel daffare coi nomi di peperoni: in Italia si chiamano «friggitelli» quelli che in America chiamano «pepperoncini», cioè i peperoni verdi piccoli e non piccanti, specialmente conservati sottaceto. Ma fate attenzione quando ordinate in Campania o nei ristoranti e pizzerie campane disseminate per lo Stivale, perché potreste scambiare i «friarielli» del menu partenopeo per i «friarelli»: ricordatevi che in napoletano i friarelli sono i friggitelli, ossia, all' americana, i pepperoncini, mentre i friarielli, chiamati anche broccoletti a Roma, broccoli di rapa in Calabria, cime di rapa in Puglia, rapini in Toscana o pulezze nell' Aretino e in Valdichiana, sono le infiorescenze appena sviluppate della cima di rapa. Per concludere la rassegna linguistica, ci sembra rilevante ricordare che esistono anche i fefferoni o feferoni: sono i «pepperoncini» in Svezia e Slovenia! Il peperone si consuma sia fresco, crudo come cotto, che secco, come nel caso del peperone crusco. Originario del continente americano, arriva in Europa col pomodoro nel Sedicesimo secolo grazie alle spedizioni spagnole e portoghesi e attecchisce presto, col nome ora scomparso di «pepe del Brasile». I valori nutrizionali del peperone possono variare in base alle diverse varietà, perciò abbiamo fatto una media di alcuni valori del peperone giallo, rosso e verde. Per 100 grammi di peperone abbiamo soltanto 26 calorie, che ne fanno un contorno leggerissimo; 92,7 grammi di acqua, quindi ottima fonte alimentare di idratazione; 5,6 grammi di carboidrati di cui 2,4 di zuccheri nel verde e 4,2 nel peperone rosso, che infatti risulta più dolce al palato; 0,34 grammi di grassi; 0,95 grammi di proteine; 1,5 grammi di fibre. C' è poi una quota rilevante di vitamina C, che aiuta a rafforzare il sistema immunitario ma anche a sintetizzare il collagene, la proteina più importante del corpo, così mantenendo integri vasi sanguigni, pelle e ossa. Ne abbiamo 80,4 milligrammi nel verde, 127,7 nel rosso e ben 183,5 nel giallo. Il verde ha il doppio della vitamina C di un' arancia, il giallo e il rosso il triplo. Importante è anche l' apporto di provitamina A cioè i carotenoidi. Sono pigmenti che troviamo in piante, alghe e alcuni batteri e sono considerati precursori della vitamina A perché animali e esseri umani che se ne cibano li trasformano in retinolo, cioè vitamina A. Esistono oltre 600 tipi di carotenoidi e si dividono in due classi, caroteni e xantofille: tra i primi (alfa e betacarotene e licopene) e i secondi (come criptoxantina, luteina e zeaxantina), i nostri peperoni ci forniscono un buon quantitativo di provitamina A, rispettivamente più alto nel peperone verde, poi giallo e infine rosso. Integratori naturali La vitamina A fortifica il sistema immunitario, aiuta la vista coadiuvando la visione notturna, protegge la pelle dai danni dell' esposizione solare, è un potente antiossidante perché combatte i radicali liberi responsabili dell' invecchiamento cellulare e protegge anche dal cancro, soprattutto da quello alla prostata. La vitamina A si trova negli alimenti di origine animale in forma definitiva di retinolo e in quelli di origine vegetale nella forma dei carotenoidi. Alcune vitamine sono termolabili, cioè la cottura ne diminuisce la bioaccessibilità. Lo è anche la provitamina A, ma non del tutto. Se una parte si degrada, la cottura rende il resto più accessibile. Essendo poi liposolubile - cioè si scioglie nei grassi e non nell' acqua -, basta aggiungere anche solo 1 cucchiaino cioè 5 grammi di olio extravergine di oliva (o burro) perché la provitamina A dei peperoni, cotti come crudi, diventi anche più biodisponibile, cioè più assorbibile da parte dell' intestino. Di contro, nel peperone verde abbiamo più clorofilla rispetto agli altri colori. Anch' essa è molto utile, in sinergia coi carotenoidi, per le sue proprietà antianemiche, ancora antiossidanti e antitumorali. In particolar modo il carotenoide beta-criptoxantina pare utile come preventivo del tumore ai polmoni nei soggetti a rischio e la clorofilla parrebbe ridurre l' assorbimento gastrointestinale di sostanze cancerogene, come idrocarburi aromatici del fumo di tabacco o le ammine eterocicliche, gli idrocarburi policiclici aromatici e l' acrilamide dei cibi bruciati e bruciacchiati, che hanno un ruolo nel cancro dello stomaco. Quanto ai sali minerali, abbiamo un buon quantitativo di magnesio (composto della clorofilla, ce ne sono 10 milligrammi nel verde, 12 nel giallo e nel rosso) e uno ancora migliore di potassio (175 milligrammi nel verde, 212 nel giallo, 211 nel rosso), alleati contro la stanchezza in generale e da caldo estivo che sono venduti in combo in integratori da farmacia e che possiamo invece assumere grazie ai peperoni. Si ritiene che i peperoni siano indigesti. In realtà, ad essere di difficile digestione rispetto alla polpa è la buccia. Se avete avuto problemi di appesantimento, provate a spellarli o, se amate mangiarli crudi anche per preservare tutta la vitamina C, semplicemente non mangiatene troppi. Condividi questo articolo

giovedì 1 luglio 2021

Pesce, come pulirlo, tagliarlo e sfilettarlo. La guida completa

di CHIARA AMATI Il pesce? Tra gli alimenti più cucinati a casa nell’ultimo anno e mezzo. Se un tempo la pratica della pulizia, del taglio e della sfilettatura scoraggiava, oggi si scopre che non è poi così difficile. Basta conoscere le tecniche giuste. Ecco una guida completa Pesce, come pulirlo, tagliarlo e sfilettarlo. La guida completa Il pesce? In pandemia, la metà degli italiani ne ha incrementato il consumo. E a oggi è terzo nella hit degli alimenti in crescita dietro soltanto a pasta e verdure. A dirlo è un recente studio — «Acquacoltura e Covid-19: quali impatti sui consumi?» — condotto da Crea Marketing Consulting per conto dell’Associazione Piscicoltori Italiani secondo cui le ripetute chiusure dovute al virus hanno sortito variazioni persino nel modo di prepararlo a casa: più raffinato e gourmet. Insomma il pesce piace. E fa bene. In genere lo si preferisce fresco e già pulito dal pescivendolo di fiducia. Ma, per chi avesse voglia di cimentarsi in squamatura, eviscerazione, sfilettatura & co., ecco un elenco di nozioni pratiche per una pulizia più semplice di quanto si possa immaginare. Pulizia del pesce: preliminari Punto primo: durante la preparazione accertatevi di seguire scrupolosamente le norme igieniche. Lavatevi spesso le mani con un buon detergente; tenete i pesci sul tavolo di lavoro lo stretto necessario per la preparazione; utilizzate un tagliere ben igienizzato e dedicato solo alla pulizia. Pulizia del pesce: le tecniche base L’avete acquistato fresco e integro: ora dovete pulirlo. È infatti sempre preferibile conservare il pesce già pulito, perché i visceri accelerano i processi di decomposizione e lo sviluppo dei microrganismi nel pesce stesso. Ecco come sgrossare: tagliate le pinne, grattate via le squame, eliminate dal pesce le interiora, lavatelo e asciugatelo. Se non lo preparate subito, riponetelo in frigorifero. Pulizia del pesce: la sbarbatura Munitevi di un paio di forbici da pesce, in acciaio inossidabile e di costruzione robusta, con lame corte per un taglio più preciso su pinne o per tagli consistenti. Attenzione all’impugnatura: deve essere ergonomica e garantire una buona presa anche con le mani bagnate. Cominciate eliminando le due pinne pettorali, la pinna dorsale e la pinna ventrale. Quindi pareggiate la coda tagliandola in linea dritta. Per questa operazione è bene proteggersi le mani con dei guanti, meglio se specifici per pesce: le pinne di alcuni pesci possono contenere sostanze irritanti. Pulizia del pesce: la squamatura Si tratta di un’operazione piuttosto invasiva, nel senso che in genere sporca tutta la cucina: le squame grattate saltellano, infatti, un po’ ovunque. E la loro natura viscida fa sì che non si riesca a ripulire così agevolmente. Motivo per cui consigliamo, se ne avete occasione, di rivolgervi al vostro pescivendolo di fiducia e farvi aiutare da lui. In alternativa potete lavorare tenendo il pesce dentro a un secchio piuttosto capiente così da limitare la dispersione delle squame. Avete due modi per procedere. Il primo prevede l’uso di un apposito squamatore. Nella fattispecie, grattate la pelle del pesce partendo dalla coda verso la testa: evitate di lacerarla. Prestate particolare attenzione, poi, alla zona ventrale e alla base della testa: vengono spesso trascurate. Se non disponete di uno squamatore, potete munirvi di guanti abrasivi pulisci-pesce, di quelli realizzati in nylon abrasivo: puliscono dai pesci ai frutti di mare, dai molluschi alle ostriche. E sono dotati di inserti in gomma che squamano, strofinano e puliscono, proteggendo le mani da tagli e cattivi odori. L’uso del coltello per squamare il pesce (foto iStock) L’uso del coltello per squamare il pesce (foto iStock) Pulizia del pesce: l’eviscerazione Questa operazione varia in base alla tipologia di pesce. Che può essere piatto o fusiforme. Se piatto, procedete facendo un’incisione di qualche centimetro nella parte ventrale. Quindi eliminate i visceri e grattate con un dito la parte sanguinolenta che si trova alla base della testa. Se fusiforme, sollevate invece gli opercoli (e cioè le coperture poste a protezione delle branchie) ed eliminate le branchie. Poi introducete le dita per staccare i visceri e asportarli delicatamente: se non escono tutti, praticate una piccola incisione a livello anale e togliete i rimanenti. Questa tecnica lascia integro il pesce che, in fase di cottura, resterà più compatto. Attenzione, però: se non siete sicuri di averlo pulito bene, procedete nel modo tradizionale. Con le forbici aprite la parte ventrale ed eliminate tutti i visceri. Procedura da seguire sempre nel caso di trota e salmone: in questo modo si raschia bene la lisca centrale dal sangue che vi rimane coagulato. Pulizia del pesce: lavaggio e asciugatura Dopo aver eseguito le operazioni fin qui descritte, procedete con il lavaggio e l’asciugatura del pesce. Lavate il pesce in acqua fredda corrente, facendo scorrere il liquido anche dentro la bocca. Lasciatelo sgocciolare per bene, quindi asciugatelo subito dentro e fuori. La maggior parte del grasso nei pesci si localizza, infatti, sotto la pelle. Una asciugatura accurata agevola l’eliminazione dei grassi in cottura. A questo punto potete procedere con la spellatura. Ecco le principali tecniche e i relativi tipi di pesce. Spellatura del pesce: la sogliola Con la punta di un’unghia o uno spelucchino sollevate un lembo di pelle nella zona dorsale vicino alla testa. Con una mano tenete fermo il pesce, con l’altra tirate la pelle verso la coda in modo che si distacchi del tutto. Girate la sogliola e levate l’altra pelle nello stesso modo. Potete anche sollevare la pelle nei pressi della coda e tirarla poi verso la testa. Noterete che la pelle scura si stacca più facilmente di quella chiara. Se si incontrano difficoltà anche nell’eliminare la pelle scura, significa che il pesce è molto fresco. Spellatura del pesce: l’anguilla Questa operazione richiede una buona dose di abilità. Se l’anguilla è ancora viva, come dovrebbe essere, occorre prima tramortirla. Quindi, strofinate l’anguilla con della farina gialla per togliere un po’ di viscosità e incidete la pelle attorno alla testa. Appendete il capo a un gancio e sfilate la pelle tirando energicamente i lembi staccati. Per lavorare meglio, aiutatevi con un guanto o con un panno. Spellatura del pesce cotto Se la pelle del pesce non è molto spessa, grattatela aiutandovi con uno spelucchino. In caso contrario incidetela tutta intorno, quindi sollevatela con entrambe le mani: fate in modo di non scalfire la carne. La parte grigiastra che appare sotto la pelle in certi pesci, come ad esempio il salmone, è il grasso che può essere facilmente eliminato grattandolo via con lo spelucchino. L’operazione di spellatura risulta più facile quando il pesce viene tolto dal liquido di cottura. Attenzione: se la pelle si secca, si stacca con maggiore difficoltà. La sfilettatura del pesce La tendenza a sfilettare il pesce è piuttosto recente: si sviluppa in particolare attorno agli anni Settanta, con l’affermarsi della nouvelle cuisine, il cui punto di forza è la presentazione della vivanda sul piatto del commensale. Fino ad allora i pesci venivano in genere sfilettati solo per essere farciti, quindi ricostruiti nella forma originaria e presentati sul piatto da portata ben guarniti. La sfilettatura del salmone (foto iStock) La sfilettatura del salmone (foto iStock) Sfilettatura dei filetti di pesce Appoggiate il filetto sul tagliere dal lato della pelle. Aiutandovi con una coltella stretta, a lama lunga, sottile e abbastanza flessibile, staccate un lembo di pelle dalla carne nella parte terminale verso la coda. Tenete la pelle del filetto ben ferma con la sinistra e fate scivolare la lama del coltello tra la pelle e la carne, avanzando con un movimento avanti e indietro, fino al completo distacco della pelle. L’abilità consiste nel mantenere il coltello nell’inclinazione corretta. Se troppo inclinato si può lasciare della carne attaccata alla pelle. Se poco inclinato si corre il rischio di tagliare la pelle prima di aver finito la sfilettatura. Sfilettatura dei pesci fusiformi I pesci più utilizzati sono il salmone, la trota, il branzino e l’orata. Appoggiate il pesce sul tagliere avendo cura di riporlo sulla parte dorsale destra, con la coda verso di voi. Muniti di coltello per sfilettare, incidete la carne lungo la lisca centrale, partendo dalla testa e arrivando fino alla coda. Ripetete l’operazione fino alla separazione del primo filetto. Per ottenere il secondo filetto si può procedere in due modi: togliete la lisca centrale seguendola man mano con il coltello, oppure voltate il pesce appoggiando la lisca sul tagliere. Incidendo poi la carne attorno alla testa, fate passare la lama del coltello lungo tutta la lisca, rimanendo il più aderenti possibile. Ottenuti i due filetti, eliminate le lische: se sono rimaste le costole della gabbia toracica, fate scivolare il coltello con un movimento avanti e indietro tra le costole e la carne, fino a staccare l’intero pezzo. Attenzione a che non vi resti della carne attaccata. Su uno dei due filetti saranno presenti anche le piccole lische dorsali, che andranno staccate facendovi correre il coltello tenuto bene aderente. Infine per salmone e trota si devono eliminare le ultime lische piantate nella carne, lungo una linea che si trova circa al centro della parte più spessa del filetto. Per individuarle, fate scorrere la mano sul filetto, dalla testa verso la coda. Per estrarle aiutatevi, invece, con le apposite pinzette oppure con quelle da filatelico o da sopracciglia, purché abbiano la lama poco tagliente. Sfilettatura dei pesci rotondi da farcire Per questo tipo di preparazione, i pesci più utilizzati sono salmone e trota. Pulite il pesce eliminando i visceri dalle branchie e dalla bocca. Appoggiatelo dalla parte del filetto destro su un tagliere, con la coda rivolta verso di voi. Con il coltello per sfilettare, incidete la carne del dorso lungo i due lati della lisca centrale, lasciandola però unita sul ventre. Tagliate la lisca centrale con le forbici all’altezza della testa e a pochi centimetri dalla coda, quindi eliminatela. Per finire: lavate accuratamente il pesce, ormai pronto per essere farcito. I due filetti risulteranno infatti attaccati nella parte ventrale, ai lati della testa e ai lati della coda. Sfilettatura della sogliola Posate la sogliola spellata sul tagliere. Con il coltello per sfilettare, incidete la parte esterna dei due filetti, quindi lungo la lisca centrale, per tutta la sua lunghezza, in direzione testa-coda. Partendo dalla lisca centrale, fate scivolare la lama tra la carne e la spina, togliendo il primo filetto. Staccate allo stesso modo il secondo filetto. Girate il pesce e procedete in maniera identica fino a ottenere gli altri due filetti. Il taglio dei pesci Il taglio dei grossi pesci in trance è una pratica eseguita abitualmente, ma sempre più spesso anche i pesci da porzione vengono presentati in parti più piccole, come ad esempio i filetti. Taglio in trance (o darne) È un tipo di taglio in genere riservato ai grossi pesci fusiformi, come il salmone, il merluzzo, il tonno, l’abadeco, l’ombrina e il pesce spada. Dopo avere pulito il pesce, tagliatelo in trance dello spessore di circa 2-3 cm così da formare fette del peso di 200-250 g ciascuna. Se il pesce è stato tagliato lungo il ventre, le trance si presentano aperte: in questo caso potete fermare le due punte con uno stecchino per dare una forma più composta. Generalmente le trance vengono cotte alla griglia o affogate in court-bouillon. Tranci di pesce spada (foto iStock) Tranci di pesce spada (foto iStock) Taglio in tronconi I pesci piatti, come le sogliole, i rombi e le passere, vengono in genere privati della testa, divisi in due parti seguendo la lisca centrale, quindi tagliati trasversalmente. Per rendere l’idea, in maniera quasi perpendicolare alla lisca e in due tronconi del peso di circa 300-350 g ciascuno. I pesci rotondi lunghi e sottili, come l’anguilla, vengono invece tagliati in segmenti di 5-8 cm. La porzione che si ottiene è di circa 250 g. Le cotture più comuni per questi tagli di pesce sono quelle alla griglia e in umido. Taglio in scaloppa I filetti dei pesci di grandi dimensioni generalmente vengono tagliati in scaloppe del peso di circa 140-180 g ciascuna. Potete procedere in due modi diversi. Nel primo caso tagliate il filetto in fette oblique dello spessore di 1-2 cm: così facendo otterrete delle scaloppe di forma ovale. In alternativa potete dare al filetto una forma regolare, tagliando le parti più esterne, per poi formare alcuni rettangoli che, nelle zone più alte, potrete tagliare a metà, stando attenti a non superare lo spessore di 1,5 cm. Taglio a medaglione Munitevi di un coltello per sfilettare. Diliscate una trancia di pesce, facendo scivolare la lama lungo la spina dorsale e avendo cura di lasciare il pezzo unito nella parte alta. Spellate quindi con delicatezza le due strisce di polpa ventrale e ripiegatele verso il centro così da formare un disco regolare completamente avvolto dalla pelle del pesce. Per finire, fermate il medaglione ottenuto con un giro di spago da cucina. In alternativa, potete aiutarvi con due spiedini incrociati. Taglio a dadolata Per dare al filetto una forma regolare, pareggiate le parti più esterne servendovi di un coltello affilato ed eliminate il ventre, quindi formate dei dadi di uguale grandezza. I ritagli di pesce rimasti potranno essere utilizzati per farce, tartare o altro. Taglio a turbante È un tipo di taglio utilizzato quasi esclusivamente per i filetti di sogliola. Arrotolate il filetto attorno a un tagliapasta rotondo del diametro di circa 2 cm, quindi sfilatelo e procedete allo stesso modo con gli altri filetti. Per agevolare l’estrazione del tagliapasta, ungetelo leggermente con olio o burro oppure, in alternativa, avvolgetelo con carta da forno. I turbanti di pesce vengono generalmente farciti e cotti al vapore oppure affogati. Avete pulito, eviscerato, tagliato il vostro pesce. Ora potete procedere con la vostra ricetta preferita. Qui ne proponiamo alcune 30 giugno 2021 (modifica il 30 giugno 2021 | 07:48)