domenica 16 ottobre 2016

Allarme a tavola, dalle nocciole turche al pesce spagnolo: la lista nera dei cibi pericolosi



Nocciole turche e peperoncino indiano fra i cibi più pericolosi
di Luisa Mosello
Una tavola sempre più a rischio. Con una sfilza di portate che invece di nutrire in maniera sana rischiano seriamente di fare gravi danni alla nostra salute. Dalle nocciole turche alle arachidi dalla Cina inquinate da aflatossine cancerogene. Fino alle spezie dall’India, come il peperoncino contaminato da pesticidi oltre i limiti. Insomma è allarme.Da non sottovalutare. Soprattuto da parte di milioni regolarmente, che abbinano ingredienti italiani con prodotti provenienti da altri paesi, come dei 9,7 milioni di italiani che regolarmente abbinano ingredienti locali con prodotti provenienti dall'estero. Come la curcuma originaria dell’India o le bacche di goji, i fagioli azuchi e lo zenzero in gran parte di provenienza cinese.

 Per comprendere la portata dei rischi basta scorrere la Classifica dei cibipiù pericolosi presentata da Coldiretti al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio ed elaborato sulla base del Rapporto del Ministero della Salute sui sistema di allerta europeo. Si tratta di una lista ben precisa che registra gli allarmi per rischi alimentari verificati a causa di residui chimici, micotossine, metalli pesanti, contaminanti microbiologici, diossine o additivi e coloranti nel 2015.

E già si parla di "invasione" visto l'aumento in maniera esponenziale delle percentuali di prodotti pericolosi importati nel nostro Pese : si va dal +141 per cento di arachidi cinesi al 60 per cento di peperoni turchi
arrivati in Italia solo lo scorso anno.

Dopo la frutta secca proveniente da Turchia e Cina e le spezie indiane a contare un alto numero di allarmi il pesce proveniente dalla Spagna (per contenuti fuori norma di metalli pesanti per tonno e pesce spada). Segnalati anche  i pistacchi che sbarcano dagli Usa per la presenza
di aflatossine cancerogene. Fuori classifica oltre il decimo posto non mancano i formaggi francesi con contaminazioni microbiologiche, i prodotti alimentari con vendita non autorizzati da parte degli Stati Uniti e il pollame con contaminazioni.

LA LISTA NERA DEI CIBI PIU’ PERICOLOSI                                
1)    Frutta secca proveniente dalla Turchia (nocciole)                aflatossine oltre i limiti

2)    Frutta secca proveniente dalla Cina (arachidi)                      aflatossine oltre i limiti

3)    Erbe officinali e spezie dall’India (peperoncino)                    microbiologici/pesticidi oltre i limiti

4)    Pesce proveniente dalla Spagna (tonno/pesce spada)         metalli pesanti in eccesso

5)    Frutta e verdura dalla Turchia (fichi secchi/peperoni)           aflatossine e pesticidi oltre i limiti

6)    Frutta secca proveniente dall’India (semi di sesamo)           contaminazione salmonella

7)    Frutta secca proveniente dall’Iran (pistacchi)                        aflatossine oltre i limiti

8)    Frutta e verdura da Egitto (olive e fragole)                            pesticidi oltre i limiti

9)    Frutta secca proveniente dagli Stati Uniti (pistacchi)                        aflatossine oltre i limiti

10) Pesce proveniente dal Vietnam (pangasio)                           metalli pesanti in eccesso

11)  Erbe e spezie dalla Cina (paprika/peperoncino)                   microbiologici/pesticidi oltre i limiti

12) Latte proveniente dalla Francia (formaggi)                           contaminazioni microbiologiche

13) Novel food proveniente dagli Stati Uniti                                sostanze non autorizzate

14) Pollame proveniente dalla Polonia                                        contaminazioni microbiologiche

15) Frutta e verdura proveniente dalla Cina (broccoli/funghi)     pesticidi oltre i limiti

lunedì 10 ottobre 2016

La dieta mediterranea "salva" il cuore dei cardiopatici. I risultati della ricerca finanziata dalla Fondazione Veronesi

 |  Di Fabio Di Todaro

Che la dieta mediterranea sia uno dei pilastri per mantenere un buono stato di salute,prevenire diverse malattie e assicurarsi una vita più longeva era noto. Ma pochi studi avevano finora indagato il ruolo del modello alimentare mediterraneo applicato ai pazienti affetti da malattie cardiovascolari. La lacuna è stata colmata dai ricercatori dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia), che sono giunti a una conclusione significativa. «Abbiamo scoperto che tra chi segue una dieta ricca di alimenti di origine vegetale, con un apporto contenuto di prodotti di origine animale, i tassi di mortalità per qualsiasi causa sono ridotti del 37 per cento», afferma Giovanni De Gaetano, responsabile del dipartimento di epidemiologia e prevenzione, che ha presentato gli esiti della ricerca durante l’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia, assieme alla ricercatrice Maria Laura Bonaccio, finanziata dalla Fondazione Umberto Veronesi.
PROTETTI DALLA DIETA MEDITERRANEA - Nello studio, che è una costola del più grande trial Moli-Sani, partito nel 2005 per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari e dei tumori, i ricercatori hanno arruolato 1.197 individui con età media pari a 67 anni e con una storia di malattia cardiaca (malattie coronariche ed eventi cerebrovascolari, come gli ictus). I dati sulla dieta sono stati tratti dai questionari alimentari, mentre l’aderenza alla dieta mediterranea è stata valutata attraverso uno specifico score che assegna un punteggio compreso tra 0 e 9. Tanto più i consumi sono conformi alla dieta mediterranea, così come era stata studiata da Ancel Keys, tanto più il punteggio è alto. Durante il periodo di follow-up, durato sette anni e mezzo, si sono verificati 208 decessi. Ma confrontando i dati con il tipo di dieta seguita, s’è notato che l’incremento di due punti nello score era associato a una diminuzione del rischio di morte del 21 per cento in media, mentre la maggiore aderenza alla dieta mediterranea abbassava il rischio del 37 per cento.
FRUTTA E VERDURA FANNO LA DIFFERENZA - Isolando i singoli elementi è stato possibile calcolare il «peso» degli elementi protettivi. È così emerso che l’apporto di vegetali influisce per il 26 per cento, mentre il pesce garantisce un beneficio quantificabile in una riduzione del rischio di morte pari al 23 per cento. Seguono l’assunzione di frutta e noci (- 13,4 per cento) e un elevato apporto di acidi grassi monoinsaturi e saturi (-12,9 per cento). I risultati dell’indagine sono stati tratti dopo aver escluso alcuni fattori che avrebbero potuto condizionare il decorso della malattia, inizialmente presente in tutte le persone coinvolte: come l’età, il sesso, l’introito calorico, il livello di attività fisica, l’abitudine al fumo, l’ipertensione, la presenza di elevati livelli di colesterolo nel sangue e una precedente diagnosi di diabete. Come precisato dallo stesso Gaetano, «si tratta dei risultati di uno studio osservazionale, che non ci permette dunque di dire nulla in merito ai rapporti di causa ed effetto». Restano dunque da indagare i meccanismi che rendono la dieta mediterranea un fattore protettivo. «Ma non possiamo escludere che alcuni composti apportati dagli alimenti di origine vegetale riducano lo stato infiammatorio e contribuiscano in questo modo a ridurre i tassi di mortalità per tutte le cause», chiosa lo specialista.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito della Fondazione Veronesi
Per approfondire vai su www.fondazioneveronesi.it
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sabato 8 ottobre 2016

"Pasta Revolution", in un libro la storia del piatto italiano per eccellenza diventato gourmet

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È la pasta la rivoluzione in cucina. Perché? Perché fino a 10 anni fa era impensabile che l’ingrediente per eccellenza della nostra cucina finisse nelle pentole dei grandi chef. Di certo, non è mai mancata sulle tavole degli italiani che amano non solo mangiarla, ma anche discuterne. A esempio: il sale va messo prima che l’acqua arrivi a ebollizione o dopo? Meglio cotta o al dente? Del resto, come scrive Eleonora Cozzella nel suo libro “Pasta Revolution” “è difficile essere semplici”.
“Dimmi che pasta mangi e ti dirò chi sei” è uno dei capitoli, dedicato al formato della pasta, altro grande argomento di dibattito. “Corta o lunga, liscia o rigata, - scrive Cozzella - piccola da brodo o più robusta da sugo, bucata, incava o, al contrario, piena: a ognuna corrisponde un preciso cassetto nell’archivio gustativo, individuale e collettivo. Ogni tipo ha caratteristiche sue, una specifica resistenza alla masticazione e, di conseguenza, il richiamo a un matrimonio speciale con altri ingredienti. Così è la pasta: una e mille”. Sì, per gli italiani, e solo per gli italiani, ogni pasta ha un sapore diverso, anche se è fatta con gli stessi ingredienti. Il motivo è che siamo così abituati a mangiarne che ogni tipo di formato ci evoca un ricordo e, quindi, un sapore.
Scelta la pasta è ora di cucinare. Pentola, acqua e sale. Ma il sale prima o dopo che l’acqua sia bollente? Qual è il giusto grado di cottura? La pasta deve arrivare in tavola fumante o è meglio farla un po’ riposare? Tutti gli italiani si sentono depositari del modo migliore di prepararla, “con un’investitura che viene dalla tradizione familiare: “A casa mia, mamma la faceva così!””.
Per rispondere alla domanda sulla salatura dell’acqua Eleonora Cuzzella ha cercato in rete. Su Google si ottengono 384mila risultati nelle sole pagine italiane. “Ne dibattono tutti – scrive Eleonora - food blogger, cuochi, appassionati, ciascuno con la sua verità. La più popolare è la convinzione che il sale si mette quando l’acqua bolle perché così impiega meno tempo. Il consiglio giusto, casomai, è di mettere il coperchio sulla pentola: l’acqua bollirà in circa il 20% di tempo in meno (una volta buttata la pasta, però, niente coperchio!).
Un altro concetto chiave della pasta è l’essere “al dente”, “così italiano che non esiste all’estero una traduzione per questa parola”. In qualunque situazione conviviale, arrivata la pasta si aprirà il dibattito: “L’avrei scolata due minuti prima, no è giusta così, per me è cruda”. Ecco, si dice al dente nel momento in cui conserva ancora un “nerbo” all’interno, cioè l’anima dura, ma ha perso il nucleo bianco. “Impossibile, insomma, mettere d’accordo una tavolata di ‘mangiaspaghetti’. Una cosa è certa: ci fidiamo più di noi che del minutaggio indicato sulla confezione, non per nulla i minuti che precedono il pasto diventano una grande responsabilità se chi cucina domanda: «Chi assaggia?»”.
Pasta pronta. Ora va servita, e qui si apre una nuova discussione: “Secondo lo storico sommelier Giuseppe Vaccarini – si legge su “Pasta Revolution” - deve essere servita fumante, in un piatto di portata concavo preriscaldato. Ma i giovani cuochi non la pensano così: se la pasta è troppo calda non si sente il gusto del grano”.
A dividere non tanto gli italiani, ma noi rispetto al resto del mondo è infine l’uso del cucchiaio per aiutare la forchetta con gli spaghetti. “Noi diciamo no all’arrotolamento assistito. Ma all’estero, specie negli Stati Uniti, non solo usano il cucchiaio ma credono pure che sia ‘italian style’. E se in effetti un tempo c’era anche in Italia chi lo usava, oggi il cucchiaio è bandito dal piatto di spaghetti e peggio ancora il coltello: “Così scriveva nei primi anni Ottanta anche Miss Manners, alias di Judith Martin, giornalista americana esperta di galateo, nella sua Guida al comportamento estremamente corretto: «Nel mondo civile, nel quale vengono inclusi gli Stati Uniti e l'Italia, non è corretto mangiare gli spaghetti con il cucchiaio. La definizione di “civile” è una società che non considera corretto mangiare gli spaghetti con un cucchiaio”.

Insomma, “Pasta Revolution” è un racconto dell’evoluzione (e la rivoluzione) della pasta, dalle origini allo sviluppo del design e dei formati fino all’arte di inventare nuove ricette. La storia della pasta s’intreccia con le moderne interpretazioni gourmet, con gli aneddoti curiosi, fino a una raccolta di ricette di alcuni grandi chef tra cui Massimo Bottura e Carlo Cracco.