martedì 30 novembre 2021

Spaghetti al vino rosso

DI MARIA TERESA DI MARCO Difficoltà: -Preparazione: -Dosi: - INGREDIENTI • 320 g di spaghetti • 1 litro di vino rosso • 4 cucchiai di olio extravergine di oliva • 2 spicchi di aglio • 2 foglie di alloro • prezzemolo tritato o timo fresco o anche foglie di sedano • q.b. sale e pepe PREPARAZIONE Dare nuova vita agli avanzi rischia di suonare come qualcosa di virtuoso ma triste A meno che si torni al vero mangiare di una volta, quando si portavano in tavola piatti del risparmio ma anche del gusto. Senza accontentarsi mai, nemmeno il giorno dopo, in cui il pane avanzato si trasformava in una torta con la perseveranza cocciuta di volerla fare bene. Che è, in fondo, il senso vero dello stare ai fornelli. E il tema del menu d'autore di questo mese ideato da Maria Teresa Di Marco 1. Spesso capita che avanzi del vino a pranzo o a cena: questa ricetta, che ho imparato molti anni fa in un’osteria fiorentina, è il modo migliore per approfittarne. Scegliete, se potete, un vino rosso corposo e non troppo giovane. Per prepararla, procedete così. 2. In una pentola versate il vino meno un bicchiere, aggiungete un litro di acqua e le foglie di alloro. Portate a bollore lentamente e calate gli spaghetti. In una padella larga fate dorare gli spicchi di aglio in camicia con l’olio extravergine di oliva e appena saranno biondi spegnete. 3. Cuocete gli spaghetti per la metà del tempo di cottura previsto, prelevateli con un forchettone da cucina e metteteli direttamente nella padella con l’olio extravergine e l’aglio, aggiungete un mestolo del liquido di cottura e quindi il bicchiere di vino tenuto da parte. 4. Portate a cottura mescolando regolarmente, salate e quando mancano pochi minuti alzate la fiamma per far evaporare l’eccesso di liquido. Spegnete e aggiungete il prezzemolo tritato, o il timo fresco o anche le foglie verdi del sedano. Se vi piace un tocco piccante completate con pepe macinato fresco o pepe di cayenna.(Ha collaborato Tommaso Galli)

Come e quanto si conserva una bottiglia di vino aperta?

I consigli dell'esperto di MARTINA BARBERO Conservare una bottiglia di vino aperto: quanto dura, la temperatura, i trucchi e i consigli: ecco cosa dice l’esperto 1 / 8 Conservare una bottiglia di vino aperto L'autocontrollo a tavola non è certo un dono concesso a tutti, ma anche al più ghiotto è capitato, almeno una volta, di stappare una bottiglia di vino, assaporarla e, con diligente contegno, fermarsi alla così detta dose consigliata. Uno, due bicchieri, anche in solitaria. Poi? Che fine fa il rimanente succo preziosissimo? Per evitare di vagare con una bottiglia a metà in mano – «lo metto in frigo? Ma è rosso, quanto durerà?» –, abbiamo chiesto a un esperto cosa fare. Ecco , nelle prossime pagine, le risposte. 2 / 8 Ogni vino ha la sua durata «Il mio consiglio – spiega Martina Laura Miccione, fondatrice, insieme alla madre Carla De Girolamo, della vineria «TipA», a Milano – è di riflettere sempre prima di aprire una bottiglia. Una volta stappati, i rossi hanno in genere capacità di mantenersi più a lungo rispetto ai bianchi perché hanno più tannini e polifenoli, conservanti presenti naturalmente nell’uva. La durata di un vino aperto dipende poi molto dagli additivi chimici che si trovano all’interno: più solfiti ci sono, più si conserverà a lungo. Quando da TipA scegliamo la lista di bottiglie in mescita, ad esempio, sappiamo di dover escludere quelle con zero solfiti, preferendo invece vini che ne contengono. Sia chiaro, sempre in quantità minima perché siamo una vineria naturale in cui tutto ciò che supera i 20-30 ml di solfiti al litro è bandito (il limite per le etichette certificate bio è di 150 ml/l nei bianchi e 100 ml/l nei rossi, ndr). I vini passiti sono quelli che durano di più per via della presenza di più zuccheri». 3 / 8 E le bollicine? «Una bollicina, a meno che non abbiate uno stopper (per me, i migliori sono quelli della Waf), va bevuta subito altrimenti perde tutto il perlage. Ecco, grazie a uno stopper, un metodo classico, un Franciacorta per intenderci, si mantiene aperto con la bollicina giusta per 2-3 giorni. Attenzione, però, a quando lo riaprite perché, nel frattempo, l’anidride carbonica si è concentrata e il vino potrebbe fuoriuscire di colpo», spiega lei. 4 / 8 Come mi accorgo se un vino è andato a male? «Il topo, o "mousiness", se un vino non ha conservanti, arriva dopo due giorni», continua Martina Laura Miccione. «È quel difetto che Nadia Verrua, produttrice di Cascina ‘Tavjin, chiama esplicitamente salame, rendendo a pieno l’idea. Lo si capisce subito se è andato a male, fidatevi. E poi, dopo una settimana/dieci giorni dall'apertura, in un vino inizia a percepirsi il classico sapore aspro d’aceto, dovuto al contatto con l’ossigeno». 5 / 8 In frigo o fuori? «La temperatura è importante a prescindere che una bottiglia di vino sia aperta o chiusa. Il mio consiglio è di tenere il vino sotto i 20 gradi sempre, anche il rosso. Se non avete a disposizione una cantina o un luogo fresco, mettetelo in frigo, soprattutto se l'intenzione è quella di berlo non prima di 4-5 mesi». 6 / 8 Va ritappato? «Per mantenere una bottiglia – spiega Miccione – è necessario evitare il più possibile che il vino entri in contatto con l’ossigeno. Potete usare il tappo in sughero originario, che aderisce bene al collo della bottiglia, o procurarvene uno in silicone, di quelli che eliminano l’aria dall’ambiente». Alcuni per le bollicine usano un cucchiaino di acciaio al posto del tappo, funziona? «Sinceramente, non riesco a vederne il senso. Non lo capisco dal punto di vista chimico. Ma se qualcuno riesce a spiegarmelo, ascolto…». 7 / 8 Del vino non si butta via nemmeno una goccia È un peccato buttare del vino e, a patto che non ci siano difetti, si può sempre trovare il modo per riutilizzarlo: «Fate un soffritto o un risotto, – consiglia Miccione – anche se il vino è aperto da due settimane va bene. Altrimenti, noi da "TipA" facciamo l’aceto: uniamo tutti i fondi di bottiglia sani in un contenitore e li lasciamo fermentare insieme alla madre».

domenica 21 novembre 2021

Dalla farcitura alle salse, 8 consigli per fare il panino perfetto

di MARTINA BARBERO La scelta del pane, come disporre salumi, formaggi e verdure, l’uso delle salse. Come fare un panino perfetto e gourmet 1 / 10 Il sandwich perfetto Esiste una grammatica precisa dietro la composizione di un panino: il pane non può essere uno qualunque ma scelto con criterio, bisogna pensare alle giuste proporzioni nel farcire e nel sovrapporre gli strati e non sono da trascurare gli abbinamenti delle salse. Il panino, per la sua versatilità e praticità, è lo spuntino fuori casa amato universalmente. A patto che sia fatto con ingredienti di stagione e, come spiega il «Manifesto del Panino Italiano», sempre fresco e preparato al momento. Dal tipo di condimento al miglior modo per conservarlo, ecco gli 8 consigli necessari per fare del vostro panino una pausa pranzo golosa e appagante. 2 / 10 Scegliere il pane giusto Pane tondo, rustico, a fette. Il pane da usare è quello che sarebbe buonissimo mangiato anche solo, senza accompagnamento. Il pane va pensato e variato in funzione della farcitura. Se si abbinano ripieni molto umidi e liquidi ad un pane morbido si otterrà una consistenza molliccia. Per evitare un panino al cucchiaio, scegliete un pane con la mollica più fitta, meno spumosa e più secca. Un altro aspetto da tenere a mente è lo spessore: l’abbondanza di ingredienti richiede un pane morbido, flessibile e che non faccia sgusciare la farcitura fuori ad ogni morso. Avere un panino troppo spesso mette in difficoltà al momento di addentarlo: scomodi movimenti tettonici fanno scivolare gli strati interni e ci si trova con rondelle di pomodoro a terra e antipatiche macchie di salsa sul maglione. 3 / 10 La farcitura Il panino deve essere imbottito e con attenzione all’ordine della disposizione in strati. A molti piace l’effetto simmetrico, componete allora gli strati a specchio in modo, ad esempio, che il tutto sia raccolto in due fette di formaggio all’estremità, salsa su entrambe le fette di pane, e prosciutto nel mezzo. Condimenti piccanti e forti non su tutta la superficie, sfumateli dal centro verso l’esterno per arrivare poi, un morso alla volta, alla piena complessità del sapore. Salse e grassi invece spandeteli omogeneamente e a contatto diretto con la pasta del pane. 4 / 10 Giocare con le consistenze Il mondo del panino è fatto di preferenze e molte varianti. Una caratteristica sulla quale ci si può soffermare è la consistenza, tra croccantezza e morbidezza. L’approccio per un panino da Re è considerare gli ingredienti come una fonte di contrasti. Se la farcitura è croccante (frutta secca, filetto di pollo impanato e fritto, foglie di verza) preferite un pane morbido. Mentre formaggi, uova e creme intrappolateli in fette di pane rustico dalla crosta importante. 5 / 10 Trattare bene le verdure Se volete inserire verdure crude, lavatele in acqua ghiacciata per prolungare la consistenza tonica delle fibre e conditele prima di inserirle nel panino. Lattuga e pomodoro usateli solo se consumate il panino nell'immediato: sono quasi interamente composti di acqua e l’intero panino rischia di afflosciarsi. Per avere l'effetto fresco e piacevole della verdura senza le controindicazioni da conservazione, preferire peperoni grigliati, cetrioli, spinaci, verza, finocchio. Se si vuole scaldare e grigliare il panino, rimuovere le verdure che si vogliono mantenere fresche, crude e croccanti. 6 / 10 I condimenti gourmet Ogni mangiatore seriale di panini conosce e vuole la sua variante personalizzata. Per dei sandwich ben farciti e appaganti occorre creatività nei condimenti. Pesto di mandorle, succo di limone, salvia, pecorino e fette di pane tostato con un filo l’olio. Bagel morbidi con salmone affumicato, avocado maturo e robiola. Crema di formaggio di capra con trito di capperi e olive nere, foglie di spinaci fresche precedentemente condite con olio sale e limone. Il panino del bar all’angolo non reggerà il confronto. 7 / 10 La salsa La salsa va aggiunta nella giusta quantità, non deve sovrastare gli altri gusti. Se è un tramezzino, partite in anticipo per dare tempo alla fetta di impregnarsi bene. Le salse infatti non solo danno sapore, ma assumono l’importantissimo compito di inumidire pane e farcitura. Maionese e mostarda sono i classici ma ne esistono altri: vinagrettes, pesti, salsa chutney, salsa BBQ. 8 / 10 Come conservarlo Se non lo si può preparare appena prima di partire, esistono alcuni trucchi per conservarlo al meglio. Il tramezzino può essere assemblato in anticipo e riposto in frigo avvolto da pellicola, il panino no. Soprattutto se si vuole mantenere croccante il pane. Preparate quindi la farcitura la sera prima e conservatela in frigo. Il giorno seguente riempite il panino, resterà così più fragrante al consumo. 9 / 10 Come impacchettare un panino Tagliate a metà la vostra delizia e soffermatevi alcuni secondi nella contemplazione degli strati, sarà il riflesso del vostro impegno, solo allora potrete procedere al confezionamento. Per non rovinare il panino, anche in questa fase servono alcune accortezze. Se molto farcito e soffice utilizzate della pellicola e fasciatelo ben stretto, i condimenti si amalgameranno meglio e risulteranno in un panetto compatto. Se invece croccante, con foglie di lattuga o altra verdura fresca, allora preferite della carta oleata da alimento o quella da forno. Fate una confezione morbida per non soffocare la farcitura. Un errore da non fare è quello di interporre un tovagliolo tra panino e carta da confezione.

“BOLLITO” A CHI?

20 NOV 2021 17:00 “BOLLITO” A CHI? – IL BOLLITO È AMATISSIMO IN TUTTA ITALIA E IN TUTTE LE FORME, CON VARIAZIONI SUI TAGLI DI CARNE E SULLE SALSE – DALLE POLPETTE DI BOLLITO ROMANE AL GRAN BOLLITO ALLA PIEMONTESE, CHE PREVEDE SETTE TAGLI DI MANZO E BEN SETTE AMMENNICOLI, PASSANDO DAL BOLLITO VENETO, CON IL CREN E LA PEARÀ, UNA SALSA MEDIOEVALE A BASE DI MIDOLLO DI BUE, MOLLICA DI PANE E PEPE – MA LA SAPEVATE LA DIFFERENZA TRA “BOLLITO” E “LESSO”? SECONDO IL GRANDE PELLEGRINO ARTUSI… - Giacomo A. Dente per “il Messaggero” Bisogna aspettare il secondo giovedì che precede il Natale e varcare le porte nebbiose della Langa per vivere un evento gastronomico arcaico e imperdibile. La festa del Bue Grasso di Carrù, che origina da antichi mercati del bestiame (il primo documentato risale al 1473) è infatti l'occasione per avvicinare i riti e le meraviglie del Gran Bollito Misto Piemontese. «È dal 1910 che a Carrù si fa la Fiera intorno al bue grasso: bianco, maestoso, fantastico esemplare della razza piemontese», spiega Umberto Chiodi Latini, esperto di Barolo e patron del Vintage, autentico salotto di cucina tradizionale nel cuore di Torino. «Il cuore dell'evento», spiega Chiodi Latini, «è il rito del Gran Bollito alla Piemontese, una vera e propria cerimonia che ha perfino prodotto una Confraternita con sede a Guarene nel Roero, e con appassionati affiliati - con tanto di Gran Priori e mantelli rossi - che si impegnano da quasi quarant' anni a tutelare un piatto icona del Piemonte più antico». GLI INGREDIENTI In effetti il gran bollito è una meravigliosa bouffe: ci si arriva come ad un rito dionisiaco, che prevede sette tagli di manzo (tenerone, stinco, scaramella, culatta o scamone, cappello da prete, punta col suo fiocco, noce) e ben sette ammennicoli - lingua, testina col musetto, coda, zampino, gallina, cotechino, rollata - che cuociono separati. Il tutto servito di nuovo, all'insegna del cabalistico sette, con il potenziamento di altrettante salse e di sette contorni: verde rustica, verde ricca, rubra, cren, al miele, mostarda, côgna (frutta secca, cannella, chiodi di garofano) e, accanto, cipolline, finocchi, zucchini, foglie di verza al burro, e cipolle rosse, patate, rape, carote lesse. Ma il bollito attraversa tutto il Nord Italia con piccole variazioni sui tagli di carne e sulle salse: basti pensare, nel Veneto veronese, alla pervasiva presenza del cren e della pearà, una salsa medioevale a base di midollo di bue, mollica di pane e pepe. Inutile dire che, nel paese dei campanili, anche sul nome di questo piatto straordinario non manca un poco di confusione, visto che in alcune regioni come la Toscana o l'Emilia, si usa spesso il termine lesso al posto di bollito, Artusi compreso, salvo che il grande gastronomo aveva ben chiara la distinzione: se si vuole puntare tutto sul brodo si mette la carne in acqua fredda, e allora parliamo di lesso; se il cuore del nostro discorso è la carne, si parte invece dall'acqua bollente, che sigilla i succhi e ne evita la dispersione, ed eccoci al bollito. NELLA CAPITALE «Da noi a Roma il lesso non è serie B, ma intelligenza e sciccheria», spiega Annibale Mastroddi, guru dei macellai romani e gastronomo finissimo. «Pensate al picchiapò, uno stufato di lesso sfilacciato con pomodoro e cipolle che è una vera squisitezza». POLPETTE DI BOLLITO Gli fanno eco Roberto e Loretta Mancinelli dell'omonima, storica trattoria dietro piazza Epiro a Roma: «Da noi un piatto irrinunciabile sono le polpette di lesso fritte, accompagnata da cicoria ripassata in aglio, olio e peperoncino per raccontare la Roma vera di Pasquino». Nella diversità dei bolliti, una spinta all'unità si può trovare in un oste toscano vissuto nella prima metà dell'800, Luigi Bicchierai, detto Pennino con locanda a Ponte a Signa, autore di un immaginifico brogliaccio dove, in un pensiero del 1849, si legge: Con tutti questi moti di ribellioni e voglia di accorpare l'Italia io che sono oste me la figuro come un bel pentolone di bollito: zampa, lingua, carne varie, odori».

domenica 7 novembre 2021

Dahl di lenticchie con curcuma e coriandolo

di ANGELA FRENDA Difficoltà: - Preparazione: - Dosi: 6 PERSONE INGREDIENTI 400 grammi di lenticchie rosse decorticate 1 testa d’aglio 1 pomodoro rosso maturo 1 carota 1 costa di sedano 1 cipolla dorata q.b. acqua succo di mezzo limone q.b. olio extravergine di oliva 1 mazzetto di prezzemolo 2 cm di curcuma fresca 1 cucchiaino di paprika di coriandolo in polvere di cucchiaino di semi di cumino ½ cucchiaino di cannella q.b. sale PREPARAZIONE Il dahl di lenticchie mi parla di viaggi. E di Oriente. È un piatto indiano molto speziato che si può servire come zuppa o come contorno, magari accompagnandolo con un piatto di verdure stufate o con del riso basmati. È un’idea alternativa per cucinare le lenticchie tutto l’anno. Io lo amo particolarmente nei mesi invernali, perché mi scalda il cuore. E poi anche perché è un viaggio attraverso le spezie. Curcuma, paprika, coriandolo e cumino: i sapori e i colori si fondono e si sposano tra loro e con le lenticchie. La curcuma, in particolare, è il superfood del momento: si è guadagnata uno spazio privilegiato anche nelle dispense degli italiani, basti pensare che negli ultimi cinque anni le ricerche di Google riguardanti la curcuma sono cresciute del 75 per cento. E sono soprattutto le proprietà terapeutiche a renderla così popolare: antiossidante, antiinfiammatoria, rinforza il sistema immunitario, facilita la digestione e, secondo lo studio condotto dall’ Università della California pubblicato nel 2018 sull’American Journal of Geriatric Psychiatry, la radice preverrebbe anche problemi legati alla memoria. Ma vediamo come preparare il dahl (ha collaborato Martina Barbero). Iniziate dall’aglio, separate gli spicchi ma lasciateli in camicia. Fateli abbrustolite in una padella con un filo d’olio. Una volta dorati sbucciateli, privateli dell’anima e schiacciateli con una forchetta in un tegame capiente. Unite quattro cucchiai di olio extravergine e aggiungete le spezie: la curcuma tagliata finemente, il coriandolo, il cumino, la paprika e la cannella. Accendete il fuoco su fiamma medio-alta e versate anche la cipolla affettata finemente. Lasciate appassire per 5 minuti continuando a mescolare. Preparate allora la verdura: tagliate a cubetti il pomodoro, tritate il sedano e affettate la carota a tocchetti grossolani. Quindi aggiungeteli al soffritto. Mescolate e unite anche le lenticchie. Queste, essendo dei legumi di piccole dimensioni, non hanno bisogno di un precedente ammollo. Fate abbrustolite tutto per un paio di minuti alzando la fiamma e poi coprite con acqua. È importante versarla bollente per non bloccare la cottura delle lenticchie. Abbassate la fiamma e lasciate sul fuoco per 20 minuti, fino a che le lenticchie non risultano morbide. Trascorso il tempo spegnete e aggiungete il succo di limone per creare un contrasto di sapori. A questo punto, per rendere la zuppa più cremosa, mettete in un contenitore alto e stretto due mestoli di lenticchie cotte e frullatele con il minipimer a immersione. Riunite i due composti e, appena prima di servire, aggiungete il prezzemolo sminuzzato in modo da dare un tocco di freschezza. Portate in tavola caldo accompagnato, se volete, da riso basmati integrale.

giovedì 4 novembre 2021

Mafalde corte, ceci e acciughe

https://www.corriere.it/cook/ricette/ricetta-one-pot-mafalde-integrali-ceci-acciughe-romana_8af12b3e-3007-11eb-a612-c98d07fbf341.shtml

Spaghettoni al vino rosso

https://www.corriere.it/cook/ricette/ricetta-one-pot-spaghettone-vino-rosso_9f126f98-22af-11eb-bd01-ee72f0d01280.shtml

martedì 2 novembre 2021

Pizza, la ricetta perfetta per farla a casa senza errori (e in 5 passaggi)

di TOMMASO GALLI Dall’impasto alla farcitura, fino alla cottura: tutti i trucchi per una tonda perfetta (anche) nel forno di casa 1 / 6 Una storia lunga In principio fu quella napoletana. Con il cornicione spesso e morbido, condita con pomodoro e mozzarella. Poi anche per la pizza c’è stata un’evoluzione. Dalla sua nascita intorno alla fine del XIX secolo, per come la conosciamo noi oggi, si sono susseguite diverse variazioni. Di cui la più recente, in ordine d’apparizione, è quella gourmet, tagliata a spicchi e farcita con ingredienti originali, perfetta da condividere. Che sia però alla romana, o in teglia, sono in tanti a cimentarsi la domenica sera in questa preparazione. Che come ogni lievitato nasconde i suoi segreti. Ma seguendo questi semplici passaggi, preparare la pizza a casa sarà molto più semplice. Leggi anche: 2 / 6 La farina Cercate di sperimentare e non fossilizzarvi solo sulla classica farina bianca. Anche una buona, anzi ottima pizza, può essere utilizzata un cereale diverso. Che sia il farro monococco o la farina integrale, il segreto è miscelarla con un'altra farina un po' più forte, quindi resistente alle lunghe lievitazioni, come potrebbe essere un tipo 1, per ottenere un ottimo risultato. 3 / 6 La lievitazione Altro fattore fondamentale è la lievitazione: affinché la vostra pizza sia più digeribile, lasciatela riposare almeno una notte in frigo. In questo modo gli aromi e i profumi s’intensificheranno lasciandovi anche una sensazione di leggerezza non appena avrete finito di mangiarla. La stessa che cercate anche quando andate fuori in pizzeria, ma che spesso viene disattesa. La colpa non è del lievito di birra come molti potrebbero pensare ma della cattiva gestione dell’impasto. La tipica sete che vi viene dopo aver mangiato una margherita è frutto del fatto che la pizza non ha avuto il tempo necessario per lievitare correttamente. Vuoi perché il pizzaiolo andava di fretta, vuoi perché la farina utilizzata era sbagliata per il tempo a disposizione. Gli enzimi che avrebbero dovuto scindere amidi e proteine non hanno fatto il loro lavoro lasciando al vostro stomaco l’ingrato compito della digestione (che richiama più liquidi, ecco il perché della sete atavica). 4 / 6 Ingredienti 800 g di farina tipo 1 – 200 g di farina integrale (io metto 00) – 5 g di lievito di birra fresco – 750/800 g di acqua – 20 g di sale – 30 g di olio extravergine d’oliva 5 / 6 Procedimento Iniziate disponendo nell’impastatrice la farina tipo 1, quella integrale e la prima metà d’acqua. Iniziate a lavorare a velocità bassa per 2/3 minuti fino a ottenere un impasto grezzo. Fate poi riposare il tutto per 15/20 minuti. Riprendete a impastare aggiungendo il lievito di birra sbriciolato e, una volta che si sarà formata la maglia glutinica, aggiungete a filo la restante acqua, il sale e l’olio. Fate partire la lievitazione in massa in una ciotola capiente per almeno 30 minuti a temperatura ambiente (l’ideale sarebbe intorno ai 24°/25°C) dando una piega dopo 20 minuti. Riponete poi l’impasto in frigo per 18/24 ore. Il giorno dopo l’asciatelo acclimatare a temperatura ambiente per 30 minuti e procedete alla formazione delle palline del peso desiderato. Lasciatele lievitare a temperatura ambiente per altre 3/4 ore circa. Trascorso il tempo necessario, stendete delicatamente l’impasto con le mani, riponetelo in una teglia precedentemente oliata e aggiungete gli ingredienti della farcitura. Cuocete a 250°C in forno statico. La cottura si può svolgere in due fasi: prima cottura di 7 minuti circa (anche solamente con olio) e seconda cottura dopo che la pizza si sarà raffreddata per altri 4 minuti circa, giusto prima di servirla. _____________________________________ La ricetta della pizza tonda nel forno di casa di Renato Bosco di RENATO BOSCO Difficoltà: FACILE Preparazione: 30 MIN Dosi: 3 INGREDIENTI PER TRE BASI DA PIZZA 450 g di farina tipo 0 50 g di farina integrale (IO METTO 00) 5 g di lievito di birra fresco (oppure 2 g di lievito di birra secco) 350 g di acqua 12 g di sale fino q.b. di semola di grano duro PER LA FARCITURA q.b. di passata di pomodoro q.b. di fiordilatte q.b. di funghi porcini q.b. di radicchio q.b. di monte Veronese Dop Stravecchio PREPARAZIONE Non è impossibile fare una buona pizza nel forno di casa. Anzi. Con i consigli di Renato Bosco diventa davvero semplice. Basta organizzarsi con il tempo e poi sarà l’impasto a fare tutto (praticamente) da solo. Non servono infatti lunghe ore sulla spianatoia per formare la maglia glutinica (essenziale per una corretta lievitazione), ma un giro di pieghe cadenzato ogni venti minuti. Poi sta a voi la scelta degli ingredienti. Che in questo caso sono un vero inno all’autunno: porcini, radicchio, fiordilatte e monte Veronese Dop . Leggi anche: — «Pizza Crunch», la ricetta speciale di Renato Bosco con il trucco per la croccantezza; — Pizza a casa, gli 8 errori da non fare mai per prepararla perfetta; — Le ricette della pizza da provare assolutamente; — Il lievito madre di Iginio Massari e i tutti segreti; — Il galateo della pizza — Pizza nel forno di casa, la ricetta del maestro pizzaiolo Ciro Salvo In una ciotola mescolate le farine e aggiungere il lievito. Unite l’acqua, amalgamate per bene e infine aggiungete il sale. Una volta mescolato il tutto, coprite la ciotola con la pellicola e lasciate riposare 20 minuti. Successivamente, prendete l’impasto, impastatelo a mano facendo la prima piega e riponetelo in una ciotola coperta con pellicola e fate riposare a temperatura ambiente per altri 20 minuti. Trascorso il tempo necessario, lavorate l’impasto nuovamente procedendo dunque con la seconda piega e riponete l’impasto di nuovo nella ciotola. Lasciate infine lievitare per 1 ora a temperatura ambiente. A questo punto, formate le palline e mettetele in un contenitore a lievitare per 4-6 ore a temperatura ambiente (24-26°C). Una volta finito il tempo di lievitazione, stendete la pizza, ponetela in un vassoio di alluminio precedentemente unto con olio evo, aggiungete in superficie la salsa di pomodoro condita con olio, sale e basilico e lasciate nuovamente riposare 20 minuti a temperatura ambiente. Cuocete a 240°C a forno statico per 5-6 minuti o secondo il grado di cottura desiderato. A metà cottura aggiungete il fiordilatte, il radicchio e i porcini precedentemente cotti in padella con dell’olio evo. Una volta sfornata ultimate con delle scaglie di Monte Veronese stravecchio.