domenica 27 novembre 2016

Novembre, tempo di bagna cauda: non fatevi scappare i topinambur


su "lastampa.it" del 26 Novembre 2016

Siamo a fine novembre, scriviamo queste righe da un Piemonte falcidiato dal maltempo e non possiamo non pensare ai danni, ai rischi corsi, ai problemi che avranno tanti cittadini e tanti amici agricoltori. Ci saranno inevitabili ripercussioni sulle produzioni, ma le capiremo e proveremo sulla nostra pelle di consumatori solo nei prossimi mesi. Mentre manifestiamo tutta la nostra solidarietà ai colpiti dagli eventi alluvionali, ci è d’obbligo concentrarci sui mercati e, visto il tempo, invitiamo al convivio casalingo, magari con una piemontesissima bagna cauda.  

Per restare in Piemonte, alla bagna cauda e ai mercati locali, novembre è il mese in cui si iniziano a commercializzare i buonissimi topinambur, perfetti con la salsa a base di aglio e acciughe. Come il girasole, il topinambur appartiene alla famiglia delle asteracee e, come la patata, approdò in Europa in seguito alla scoperta delle Americhe. La pianta, molto rustica, genera fiori gialli in primavera, ma è proprio adesso che si raccoglie la sua parte edule, quella sotterranea, perché bisogna attendere il suo completo essiccamento. Soprattutto nel caso degli esemplari selvatici, questi tuberi hanno un gusto che ricorda quello del carciofo. Non è dunque un caso che, intorno al 1600, quando era presente nella collezione del Giardino Farnese di Roma, il topinambur era chiamato girasole articocco. 

Da Roma finì in Inghilterra, dove diventò jerusalem artichocke, il carciofo di Gerusalemme. Il nome topinambur – simile in francese, spagnolo e portoghese – invece forse si deve al nome di una tribù d’indiani nordamericani, i Tupinambàs: leggenda o realtà? In Piemonte sono i ciapinabò, mentre i nomi usati altrove testimoniano comunque una sua buona diffusione in Italia: pera di terra, tartufo dei poveri, tartufo di canna, tartufala bastarda, patata americana o carciofo del Canada. Non costa mai caro e si adatta bene a tutte le preparazioni culinarie dedicate alle patate. Può essere lessato, tagliato a fettine e fritto, gratinato con burro e formaggio o mescolato a uova battute in sformati. È ottimo assieme alle carni più grasse, perché si insaporisce di più. Ma via, in onore al nostro Piemonte che negli ultimi giorni è stato in difficoltà, questo fine settimana cuciniamo una bella bagna cauda, facciamolo pure in tutta Italia, accompagnandola ai ciapinabò e ad altri meravigliosi frutti di questa stagione.  

lunedì 14 novembre 2016

I segreti della parmigiana di melanzane

Le origini, la tradizione, il segreto, la composizione: le quattro caratteristiche della ricetta la cui paternità è contesa da Campania e Sicilia

SALVO CAGNAZZO (NEXTA)


ORIGINI – A contendersi la paternità della ricetta della parmigiana di melanzane (o melanzane alla parmigiana) sono Sicilia e Campania. Ma ci sono delle differenze nella ricetta. Nella prima regione si preferisce caciocavallo e pecorino, mentre in Campania fior di latte o provola affumicata. Le prime fonti di questo piatto risalgono al libro Cucina teorico pratica di Cavalcanti, scritto nel 1837.

LA TRADIZIONE – Il procedimento è semplice, quasi elementare: tagliare a fette le melanzane, friggerle, alternarle a strati con salsa di pomodoro, formaggio e basilico. Le varianti sono molte e una delle ricette più autorevoli è di Jeanne Caròla Francesconi. Suo è il consiglio della salsa ottenuta con uova sbattute e salsa di pomodoro per ogni strato di melanzane. Il problema di questo piatto è però nel gusto e nella consistenza.

IL SEGRETO – Si rischia, infatti, di avere troppo liquido nel piatto. In questo modo il sapore si perde, si annacqua, un disastro. Innanzitutto meglio comprare le melanzane, oblunghe, dell’orto e non quelle di coltivazione da serra. Queste ultime sembra contengano più acqua. Diverse le scuole di pensiero sull’olio da usare: noi consigliamo l’olio extravergine d’oliva, più leggero possibile. Qualsiasi formaggio usiate, fate attenzione ad asciugarlo per bene, ma non troppo. Il sugo deve essere né troppo liquido né troppo concentrato. E asciugate le melanzane dall’olio in eccesso.

IL CONTORNO PERFETTO – La parmigiana è un piatto ben bilanciato, e ciascun sapore non deve coprire l’altro. Meglio quindi la semplicità. Attenzione comunque durante la composizione: leggero strato di sugo sul fondo, melanzane sovrapposte a mo’ di persiana, sugo e formaggio. Per tre volte. Magari con delle foglie di basilico in cima.

domenica 16 ottobre 2016

Allarme a tavola, dalle nocciole turche al pesce spagnolo: la lista nera dei cibi pericolosi



Nocciole turche e peperoncino indiano fra i cibi più pericolosi
di Luisa Mosello
Una tavola sempre più a rischio. Con una sfilza di portate che invece di nutrire in maniera sana rischiano seriamente di fare gravi danni alla nostra salute. Dalle nocciole turche alle arachidi dalla Cina inquinate da aflatossine cancerogene. Fino alle spezie dall’India, come il peperoncino contaminato da pesticidi oltre i limiti. Insomma è allarme.Da non sottovalutare. Soprattuto da parte di milioni regolarmente, che abbinano ingredienti italiani con prodotti provenienti da altri paesi, come dei 9,7 milioni di italiani che regolarmente abbinano ingredienti locali con prodotti provenienti dall'estero. Come la curcuma originaria dell’India o le bacche di goji, i fagioli azuchi e lo zenzero in gran parte di provenienza cinese.

 Per comprendere la portata dei rischi basta scorrere la Classifica dei cibipiù pericolosi presentata da Coldiretti al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio ed elaborato sulla base del Rapporto del Ministero della Salute sui sistema di allerta europeo. Si tratta di una lista ben precisa che registra gli allarmi per rischi alimentari verificati a causa di residui chimici, micotossine, metalli pesanti, contaminanti microbiologici, diossine o additivi e coloranti nel 2015.

E già si parla di "invasione" visto l'aumento in maniera esponenziale delle percentuali di prodotti pericolosi importati nel nostro Pese : si va dal +141 per cento di arachidi cinesi al 60 per cento di peperoni turchi
arrivati in Italia solo lo scorso anno.

Dopo la frutta secca proveniente da Turchia e Cina e le spezie indiane a contare un alto numero di allarmi il pesce proveniente dalla Spagna (per contenuti fuori norma di metalli pesanti per tonno e pesce spada). Segnalati anche  i pistacchi che sbarcano dagli Usa per la presenza
di aflatossine cancerogene. Fuori classifica oltre il decimo posto non mancano i formaggi francesi con contaminazioni microbiologiche, i prodotti alimentari con vendita non autorizzati da parte degli Stati Uniti e il pollame con contaminazioni.

LA LISTA NERA DEI CIBI PIU’ PERICOLOSI                                
1)    Frutta secca proveniente dalla Turchia (nocciole)                aflatossine oltre i limiti

2)    Frutta secca proveniente dalla Cina (arachidi)                      aflatossine oltre i limiti

3)    Erbe officinali e spezie dall’India (peperoncino)                    microbiologici/pesticidi oltre i limiti

4)    Pesce proveniente dalla Spagna (tonno/pesce spada)         metalli pesanti in eccesso

5)    Frutta e verdura dalla Turchia (fichi secchi/peperoni)           aflatossine e pesticidi oltre i limiti

6)    Frutta secca proveniente dall’India (semi di sesamo)           contaminazione salmonella

7)    Frutta secca proveniente dall’Iran (pistacchi)                        aflatossine oltre i limiti

8)    Frutta e verdura da Egitto (olive e fragole)                            pesticidi oltre i limiti

9)    Frutta secca proveniente dagli Stati Uniti (pistacchi)                        aflatossine oltre i limiti

10) Pesce proveniente dal Vietnam (pangasio)                           metalli pesanti in eccesso

11)  Erbe e spezie dalla Cina (paprika/peperoncino)                   microbiologici/pesticidi oltre i limiti

12) Latte proveniente dalla Francia (formaggi)                           contaminazioni microbiologiche

13) Novel food proveniente dagli Stati Uniti                                sostanze non autorizzate

14) Pollame proveniente dalla Polonia                                        contaminazioni microbiologiche

15) Frutta e verdura proveniente dalla Cina (broccoli/funghi)     pesticidi oltre i limiti

lunedì 10 ottobre 2016

La dieta mediterranea "salva" il cuore dei cardiopatici. I risultati della ricerca finanziata dalla Fondazione Veronesi

 |  Di Fabio Di Todaro

Che la dieta mediterranea sia uno dei pilastri per mantenere un buono stato di salute,prevenire diverse malattie e assicurarsi una vita più longeva era noto. Ma pochi studi avevano finora indagato il ruolo del modello alimentare mediterraneo applicato ai pazienti affetti da malattie cardiovascolari. La lacuna è stata colmata dai ricercatori dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia), che sono giunti a una conclusione significativa. «Abbiamo scoperto che tra chi segue una dieta ricca di alimenti di origine vegetale, con un apporto contenuto di prodotti di origine animale, i tassi di mortalità per qualsiasi causa sono ridotti del 37 per cento», afferma Giovanni De Gaetano, responsabile del dipartimento di epidemiologia e prevenzione, che ha presentato gli esiti della ricerca durante l’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia, assieme alla ricercatrice Maria Laura Bonaccio, finanziata dalla Fondazione Umberto Veronesi.
PROTETTI DALLA DIETA MEDITERRANEA - Nello studio, che è una costola del più grande trial Moli-Sani, partito nel 2005 per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari e dei tumori, i ricercatori hanno arruolato 1.197 individui con età media pari a 67 anni e con una storia di malattia cardiaca (malattie coronariche ed eventi cerebrovascolari, come gli ictus). I dati sulla dieta sono stati tratti dai questionari alimentari, mentre l’aderenza alla dieta mediterranea è stata valutata attraverso uno specifico score che assegna un punteggio compreso tra 0 e 9. Tanto più i consumi sono conformi alla dieta mediterranea, così come era stata studiata da Ancel Keys, tanto più il punteggio è alto. Durante il periodo di follow-up, durato sette anni e mezzo, si sono verificati 208 decessi. Ma confrontando i dati con il tipo di dieta seguita, s’è notato che l’incremento di due punti nello score era associato a una diminuzione del rischio di morte del 21 per cento in media, mentre la maggiore aderenza alla dieta mediterranea abbassava il rischio del 37 per cento.
FRUTTA E VERDURA FANNO LA DIFFERENZA - Isolando i singoli elementi è stato possibile calcolare il «peso» degli elementi protettivi. È così emerso che l’apporto di vegetali influisce per il 26 per cento, mentre il pesce garantisce un beneficio quantificabile in una riduzione del rischio di morte pari al 23 per cento. Seguono l’assunzione di frutta e noci (- 13,4 per cento) e un elevato apporto di acidi grassi monoinsaturi e saturi (-12,9 per cento). I risultati dell’indagine sono stati tratti dopo aver escluso alcuni fattori che avrebbero potuto condizionare il decorso della malattia, inizialmente presente in tutte le persone coinvolte: come l’età, il sesso, l’introito calorico, il livello di attività fisica, l’abitudine al fumo, l’ipertensione, la presenza di elevati livelli di colesterolo nel sangue e una precedente diagnosi di diabete. Come precisato dallo stesso Gaetano, «si tratta dei risultati di uno studio osservazionale, che non ci permette dunque di dire nulla in merito ai rapporti di causa ed effetto». Restano dunque da indagare i meccanismi che rendono la dieta mediterranea un fattore protettivo. «Ma non possiamo escludere che alcuni composti apportati dagli alimenti di origine vegetale riducano lo stato infiammatorio e contribuiscano in questo modo a ridurre i tassi di mortalità per tutte le cause», chiosa lo specialista.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito della Fondazione Veronesi
Per approfondire vai su www.fondazioneveronesi.it
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sabato 8 ottobre 2016

"Pasta Revolution", in un libro la storia del piatto italiano per eccellenza diventato gourmet

 |  Di

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È la pasta la rivoluzione in cucina. Perché? Perché fino a 10 anni fa era impensabile che l’ingrediente per eccellenza della nostra cucina finisse nelle pentole dei grandi chef. Di certo, non è mai mancata sulle tavole degli italiani che amano non solo mangiarla, ma anche discuterne. A esempio: il sale va messo prima che l’acqua arrivi a ebollizione o dopo? Meglio cotta o al dente? Del resto, come scrive Eleonora Cozzella nel suo libro “Pasta Revolution” “è difficile essere semplici”.
“Dimmi che pasta mangi e ti dirò chi sei” è uno dei capitoli, dedicato al formato della pasta, altro grande argomento di dibattito. “Corta o lunga, liscia o rigata, - scrive Cozzella - piccola da brodo o più robusta da sugo, bucata, incava o, al contrario, piena: a ognuna corrisponde un preciso cassetto nell’archivio gustativo, individuale e collettivo. Ogni tipo ha caratteristiche sue, una specifica resistenza alla masticazione e, di conseguenza, il richiamo a un matrimonio speciale con altri ingredienti. Così è la pasta: una e mille”. Sì, per gli italiani, e solo per gli italiani, ogni pasta ha un sapore diverso, anche se è fatta con gli stessi ingredienti. Il motivo è che siamo così abituati a mangiarne che ogni tipo di formato ci evoca un ricordo e, quindi, un sapore.
Scelta la pasta è ora di cucinare. Pentola, acqua e sale. Ma il sale prima o dopo che l’acqua sia bollente? Qual è il giusto grado di cottura? La pasta deve arrivare in tavola fumante o è meglio farla un po’ riposare? Tutti gli italiani si sentono depositari del modo migliore di prepararla, “con un’investitura che viene dalla tradizione familiare: “A casa mia, mamma la faceva così!””.
Per rispondere alla domanda sulla salatura dell’acqua Eleonora Cuzzella ha cercato in rete. Su Google si ottengono 384mila risultati nelle sole pagine italiane. “Ne dibattono tutti – scrive Eleonora - food blogger, cuochi, appassionati, ciascuno con la sua verità. La più popolare è la convinzione che il sale si mette quando l’acqua bolle perché così impiega meno tempo. Il consiglio giusto, casomai, è di mettere il coperchio sulla pentola: l’acqua bollirà in circa il 20% di tempo in meno (una volta buttata la pasta, però, niente coperchio!).
Un altro concetto chiave della pasta è l’essere “al dente”, “così italiano che non esiste all’estero una traduzione per questa parola”. In qualunque situazione conviviale, arrivata la pasta si aprirà il dibattito: “L’avrei scolata due minuti prima, no è giusta così, per me è cruda”. Ecco, si dice al dente nel momento in cui conserva ancora un “nerbo” all’interno, cioè l’anima dura, ma ha perso il nucleo bianco. “Impossibile, insomma, mettere d’accordo una tavolata di ‘mangiaspaghetti’. Una cosa è certa: ci fidiamo più di noi che del minutaggio indicato sulla confezione, non per nulla i minuti che precedono il pasto diventano una grande responsabilità se chi cucina domanda: «Chi assaggia?»”.
Pasta pronta. Ora va servita, e qui si apre una nuova discussione: “Secondo lo storico sommelier Giuseppe Vaccarini – si legge su “Pasta Revolution” - deve essere servita fumante, in un piatto di portata concavo preriscaldato. Ma i giovani cuochi non la pensano così: se la pasta è troppo calda non si sente il gusto del grano”.
A dividere non tanto gli italiani, ma noi rispetto al resto del mondo è infine l’uso del cucchiaio per aiutare la forchetta con gli spaghetti. “Noi diciamo no all’arrotolamento assistito. Ma all’estero, specie negli Stati Uniti, non solo usano il cucchiaio ma credono pure che sia ‘italian style’. E se in effetti un tempo c’era anche in Italia chi lo usava, oggi il cucchiaio è bandito dal piatto di spaghetti e peggio ancora il coltello: “Così scriveva nei primi anni Ottanta anche Miss Manners, alias di Judith Martin, giornalista americana esperta di galateo, nella sua Guida al comportamento estremamente corretto: «Nel mondo civile, nel quale vengono inclusi gli Stati Uniti e l'Italia, non è corretto mangiare gli spaghetti con il cucchiaio. La definizione di “civile” è una società che non considera corretto mangiare gli spaghetti con un cucchiaio”.

Insomma, “Pasta Revolution” è un racconto dell’evoluzione (e la rivoluzione) della pasta, dalle origini allo sviluppo del design e dei formati fino all’arte di inventare nuove ricette. La storia della pasta s’intreccia con le moderne interpretazioni gourmet, con gli aneddoti curiosi, fino a una raccolta di ricette di alcuni grandi chef tra cui Massimo Bottura e Carlo Cracco.

sabato 17 settembre 2016

Dal Sud America e dall'Asia, l'invasione dei superpeperoncini. Settembre è il mese della raccolta

 |  Di Luca Faenzi

Gialli, arancioni, rossi, viola, a fine estate i superpeperoncini sudamericani e asiatici colorano i balconi di moltissimi italiani. Basta infatti un po’ di cura, acqua e sole per veder crescere anche nel terrazzo di casa le varietà più piccanti del mondo: Habanero, Trinidad Moruga, Caroline Reaper, Naga Bhut Jolokia. Settembre è il mese della raccolta.
Fin dall’inizio della primavera i vivai offrono piantine di moltissime varietà alloctone di peperoncini piccanti, mentre molti coltivatori fanno crescere la piantina direttamente dai semi. La produzione in proprio è diventata quasi un fenomeno di massa e si sono affacciati sul mercato centinaia di piccoli produttori che hanno portato i loro superpeperoncini negli scaffali della grande distribuzione.
Dire peperoncino è di sicuro riduttivo: tra razze, modifiche e derivazioni ne esistono infatti oltre 3000 varietà. Le ibridazioni sono infatti molto frequenti e consegnano un panorama vastissimo fatto di colori, forme e differenti piccantezze. A propostio di piccantezza: nel 1912 Wilbur Scoville sviluppò una scala che va da 0 a 16milioni per misurare il contenuto della sostanza responsabile della sensazione piccante: la capsaicina. Per capire di cosa stiamo parlando si consideri che un diavolicchio calabrese, uno dei peperoncini più diffusi in Italia, sviluppa circa 30mila SHU (Scoville Heat Unity), un Habanero 350mila, la varietà Red Savina 855mila, il Naga Moric arriva al milione, Trinidad Moruga sfiora i due e il peperoncino più piccante del mondo, il Carolina Reaper, li supera. A due e mezzo c’è lo spray che la polizia americana usa come arma.
habanero
Tra le varietà più diffuse e coltivate ci sono anche il Rocoto (175mila SHU) simile a una mela in miniatura, lo Scotch Bonnet (350mila SHU) bellissimo peperoncino che prende il suo nome dal tradizionale cappello scozzese a cui somiglia, l’Habanero Chocolate (700mila SHU) caratterizzato da un colore marrone cioccolato.
I superpeperoncini hanno spesso un sentore fruttato molto percepibile, ad esempio in alcuni Habanero dove ricorda il melone e la frutta esotica, ma possono avere anche sfumature di agrume, di ciliegia, o più banalmente di peperone.
La gestione di un superpeperoncino in cucina è molto difficile, basta sbagliare di poco la dose per coprire i sapori del piatto che si sta cucinando. Cosa fare dunque se un amico porta in dono una scorta di piccole bombe colorate alla capsaicina? Una possibilità è quella di partecipare alle sfide che circolano su Youtube e mangiarne uno intero ripresi dalla telecamera per poi contorcersi nel dolore, con gli occhi che lacrimano, il volto paonazzo e il bocca in fiamme; un’altra, più intelligente, è quella cercare di diluire la potenza del peperoncino in salse, composte e marmellate: due Habanero rendono piccantissimo mezzo chilo di salsa al pomodoro per tortillas, un Trinidad Moruga rende quasi intollerabile un chilo di purea di peperoni e pomodori, con mezzo Chocolate si può dare una decisa nota piccante ad un barattolo di composta di cipolle da utilizzare coi formaggi stagionati.
Altre alternative sono gli olii piccanti, che assumono le stesse aromaticità dei peperoncini e dopo qualche giorno sono pronti per essere usati o l’essiccamento, tanto più complicato quanto i peperoncini sono carnosi come ad esempio Habanero e Rocoto. Se invece si vuole avere sempre a disposizione un peperoncino fresco il metodo che altera di meno sapori e consistenze è il congelamento.
La cosa da ricordare sempre è che quando si vuole tagliare, sminuzzare, frullare peperoncini di questa potenza è necessario dotarsi di guanti in lattice e possibilmente di occhiali. Il contatto diretto con una dose così ingente di capsaicina con occhi e mucose potrebbe dare fastidio per giorni.
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martedì 6 settembre 2016

BASTA DIETE! NON PESATEVI PER UN ANNO E SCEGLIETE IL METODO INTUITIVO: MANGIATE SOLO QUANDO AVETE DAVVERO FAME E SMETTETE APPENA SIETE SAZI - PREPARATEVI DA SOLI IL CIBO, FATE GLI ESERCIZI FISICI CHE VI DIVERTONO (E NON VI PUNISCONO) E SOSTITUITE LE PESSIME ABITUDINI CON NUOVI RITI - LA RIPETIZIONE E' LA CHIAVE DEL SUCCESSO

Sandra Aamodt per Daily Mail

la dieta yo yo non funziona maiLA DIETA YO YO NON FUNZIONA MAI
Come quasi tutte le donne, mi sono abbuffata e poi sono morta di fame per gran parte della mia vita adulta, aumentando e calando di peso in continuazione. Poi, a Capodanno, ho preso una decisione: trascorrere un anno senza pesarmi e senza fare diete, esercitandomi ogni giorno e mangiando sano.

Ha funzionato. Non è colpa vostra se riprendete il peso. Nel giro di cinque anni circa il 41% delle persone a dieta riprende il peso perduto. Il cervello fa quello che è predisposto a fare: lottare contro il pericolo potenziale di morire di fame. Ha un modello di peso che difende fieramente, varia da persona a persona, dipende dai geni e dalle esperienze di vita.
il peso non deve diventare ossessioneIL PESO NON DEVE DIVENTARE OSSESSIONE

Se negli anni siete ingrassati, e le successive diete hanno dato come risultato un girovita allargato, il vostro cervello si sarà probabilmente settato su un livello di peso più alto di quello che era stato sognato. Se fate lo yo yo, probabilmente il vostro livello di peso (secondo il cervello) è più alto di quanto dovrebbe. Se agite entro 12 mesi dall’aumento di peso, potete ristabilire il livello più basso, altrimenti il nuovo peso massimo sarà considerato dal cervello il nuovo peso normale. Si può sempre calare però, ed è una buona notizia. 

le pessime abitudini vanno sostituite con le nuoveLE PESSIME ABITUDINI VANNO SOSTITUITE CON LE NUOVE
Il mio consiglio da neuropsichiatra è smettete di fare la dieta e optare per un modo di mangiare intuitivo. E’ semplice: mangiate solo quando siete affamati e smettete quando siete sazi. Non abbiamo più bisogno di accumulare, come facevano i nostri antenati. L’industria alimentare ci tenta e il “junk food”, che ci dà dipendenza e ci fa ingrassare, ma fare la dieta ignorando i segnali di fame che il corpo ci invia, peggiora le cose.
gli esercizi devono piacervi e divertirviGLI ESERCIZI DEVONO PIACERVI E DIVERTIRVI

Non demonizzate il cibo. Imparate a selezionarlo, a mangiarlo in modo soddisfacente e rilassato, così che il peso si stabilizzi e sia quello che il cervello difende. Mangiate tanta verdura, riducete al minimo gli zuccheri, e cucinate il più possibile. La preparazione vi aiuterà a mangiare solo quando ne avete davvero voglia.

vinoVINO
Lo sport non va vissuto come una punizione. Scegliete esercizi utili ma che vi piacciono e vi divertano. Non si tratta solo di bruciare calorie, ma di regolare il metabolismo e liberarsi dallo stress. L’importante è che lo facciate con regolarità. Alcune abitudini alimentari sono facili da abbandonare, basta pensarci due volte. Altre sono dure a morire, e l’unico modo per sostituirle è trovarne di migliori.

DIETA VERDUREDIETA VERDURE
Ad esempio, quando i figli sono a letto, invece di versarvi vino, accendete il bollitore e sorseggiate tè alle erbe. Se siete a cena fuori, sgranocchiare olive al posto del pane. La ripetizione è la chiave. Le nuove abitudini si radicano meglio quando iniziano in un periodo di poco stress: un cervello rilassato ha più capacità di ottenere successi.
dieta mediterraneaDIETA MEDITERRANEAdieteDIETE


lunedì 22 agosto 2016

Lo chef Bruno Barbieri risponde al New York Times: "La ricetta del Ragù alla Bolognese è questa"


 |  Di Nicoletta Moncalero

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Quali sono gli ingredienti per preparare un perfetto ragù alla bolognese?
"Questa è la mia ricetta personale. Io utilizzo 300 g di polpa di manzo. Si possono usare cartella, pancia, fesone di spalla o fusello, l’importante è che sia macinata grossa. Poi 150 g di pancetta di maiale, 50 g di carota gialla, 50 g di costa di sedano, 50 g di cipolla. Servono poi 50 g di doppio concentrato di pomodoro, ½ bicchiere di vino bianco secco, ½ bicchiere di latte intero, poco brodo, olio d’oliva o burro, sale, pepe. Infine un mazzetto aromatico: io lo preparo con salvia, rosmarino, timo e alloro. Nella ricetta del New York Times ci sono pochi passaggi da fare, cose poco poetiche, mentre noi italiani sappiamo bene che per preparare un ragù come si deve serve molta cura".
Il tempo di cottura per un ragù alla bolognese è di almeno due ore. La ricetta del New York Times arriva a stento a mezz’ora. Qual è allora il procedimento corretto?
"Questi sono i passaggi da fare, per non commettere errori e per avere un ragù alla bolognese come si deve. Si scioglie in un tegame la pancetta tagliata prima a dadini e poi tritata fine. Poi si uniscono 3 cucchiai d’olio o 50 g di burro e gli odori tritati fini e si fanno appassire dolcemente. Poi si unisce la carne macinata e si mescola bene con un mestolo facendola rosolare finché non “sfrigola”. Poi si sala leggermente la carne e si aggiunge il pepe, si bagna con il vino e si mescola delicatamente fino a quando non sarà completamente evaporato. Si unisce il doppio concentrato di pomodoro e si lasciar cuocere per un po’. Poi si copre e si fa sobbollire lentamente per circa 2ore aggiungendo, quando occorre, del brodo. Solo verso la fine unire il latte per smorzare l’acidità del pomodoro. Aggiustare di sale e di pepe".

lunedì 15 agosto 2016

ll Lardo di Colonnata fa solo bene, non date retta a chi sostiene il contrario.

In risposta a quanto appare sul sito:
http://www.lospicchiodaglio.it/rubrica/%C3%A8-vero-lardo-colonnata-privo-colesterolo

Buonasera Dott. Schiavo,
mi dispiace per lei, ma la sua risposta alla Sig.a Federica sul Blog "lo spicchio d'aglio! in merito all'oggetto è del tutto errata. Ciò perché la stagionatura di minimo 6 mesi nelle conche di marmo PORTA VIA TUTTO IL COLESTEROLO. Tant'è che  il Lardo di Colonnata  (frazione montana di Carrara) è addirittura consigliato nella dieta anticolesterolomia. Se non crede cerchi di rintracciare gli atti del Convegno tenuto nel 1998 a Carrara dalla USL nella sala di rappresentanza del Comune di Carrara e leggerà quanto le ho detto. Quindi W il Lardo di Colonnata, baluardo anticolesterolo.

Ennio Di Benedetto
ennioincucina.blogspot.it

Domanda

Salve, in una trasmissione televisiva hanno detto che il lardo di Colonnata - per la sua particolare lavorazione - è privo di colesterolo: è vero?
Grazie
Federica da Bergamo


Risposta

Carissima Federica,
a mio sapere, il lardo di colonnata contiene 95 mg di colesterolo per ogni 100 grammi di prodotto per cui non lo prescriverei ad un ipercolesterolemico; chiaramente, di tanto in tanto, uno strappo alla regola è concesso a tutti.
Serena giornata
Dott. Luigi Schiavo

giovedì 11 agosto 2016

Spaghetti alle acciughe...finite.

Questo che suggerisco è un accorgimento per utilizzare l'olio evo con cui avete conservato le acciughe (sott'olio, a modo mio):


Mentre fate cuocere gli spaghetti, al dente mi raccomando, versate in padella l'olio che avete utilizzato per conservare, si fa per dire perché le avrete mangiate in fretta, le acciughe. Non serve altro. Quando scolate gli spaghetti li versate nella padella, aggiungendo un po' di acqua di cottura degli spaghetti stessi, e rigirateli per una trentina di secondi. Buon appetito.

Acciughe sott'olio, a modo mio



Acciughe sott'olio preparate da Ennio

Ingredienti: Acciughe conservate sotto sale, aglio, prezzemolo, peperoncino piccante e olio e.v.o.

Preparazione:
  1. eviscerate e pulite le acciughe ottenendo due filetti ognuna che laverete e asciugherete con cura
  2. fate un trito di aglio, prezzemolo e peperoncino piccante
  3. mettete le acciughe a strati in un vasetto e su ogni strato mettete un po' di trito e peproncino
  4. quando avrete quasi riempito il vasetto mettete l'olio evo, facendo attenzione a coprire tutte le acciughe, e richiudete con cura il vasetto.


Dopo pochi giorni potete gustarvi le acciughe, magari sorprendendo i vostri cari e amici.

domenica 7 agosto 2016

Cena Epicurea al campo

Sabato sera, il 6/8 la cena al campo di Vera e Domiziano si è conclusa felicemente con il Tiramisù fatto da Margherita, la Crostata di frutta fatta da Silva e la Torta di riso, rivista, fatta da Donatella.
 Si vedano le foto a testimonianza!



lunedì 27 giugno 2016

BROCCOLI SALVA-VITA - BISOGNEREBBE MANGIARE BROCCOLI DALLA MATTINA ALLA SERA PERCHE' SONO RICCHI DI SOSTANZE ANTICANCEROGENE E SUPER ANTIOSSIDANTI, RIDUCONO IL RISCHIO DI MALATTIE CORONARICHE, IL DIABETE DI TIPO 2, ASMA E DIVERSI TIPI DI TUMORE


Secondo una nuova ricerca dell’Università dell’Illinois, i broccoli possiedono numerose virtù. Il suo consumo regolare ridurrebbe il rischio di contrarre molte temute malattie dell’ultimo secolo. Come sempre il merito è degli antiossidanti. Ecco i risultati dello studio...



broccoli 2BROCCOLI 2
La mamma aveva proprio ragione quando diceva ‘mangia la verdura’ perché fa bene alla salute. Ecco un’altra ricerca che mette in evidenza le preziose virtù di un ortaggio: il broccolo. Appartenendo alla famiglia dei cavoli, si sa che è ricchissimo di sostanze anticancerogene. Ma non finisce qui: secondo gli scienziati, infatti, il suo consumo regolare ridurrebbe il rischio di contrarre molte temute malattie dell’ultimo secolo – tra cui anche le patologie cardiovascolari e il diabete. Ecco i risultati dello studio.

Come sempre il merito è degli antiossidanti
Quando si parla di vegetali non si possono non menzionare i composti antiossidanti. E secondo i ricercatori dell’Università dell’Illinois, sarebbero i composti fenolici che si trovano all’interno dei broccoli a conferire all’ortaggio preziose virtù preventive. In particolare, grazie all’azione di alcuni flavonoidi, si potrebbe ridurre il rischio di malattie coronariche, cancro, diabete di tipo 2 e asma.
BROCCOLIBROCCOLI

Via l’infiammazione
“I composti fenolici hanno una buona attività antiossidante – spiega il genetista Jack Juvik – e vi è una crescente evidenza che l'attività antiossidante colpisce vie biochimiche correlate con l'infiammazione presente nei mammiferi. Abbiamo bisogno di un principio di infiammazione perché è una risposta fisiologica a una malattia o a un danno, ma è anche associato con l'inizio di una serie di malattie degenerative. Le persone la cui dieta è composta da un certo livello di questi composti hanno un rischio minore di contrarre tali malattie”.

Riduzione dei radicali dell’ossigeno
broccoliBROCCOLI
Durante lo studio – pubblicato su Molecular Breeding – i ricercatori hanno voluto esaminare alcuni tipi di broccoli testando il contenuto di acidi fenolici in grado di neutralizzare i radicali dell’ossigeno. Per capirne di più hanno sfruttato una tecnica denominata Quantitative Trait Locus (QTL), in italiano Tratto quantitativo. Il QTL è, in sostanza, una regione del DNA associata a un carattere fenotipico, come per esempio il tipo e il numero di foglie di una pianta, la sua altezza o l’aspetto. Tutto ciò aveva lo scopo di rilevare i geni coinvolti nella produzione di fenoli nella pianta stessa e nei relativi 'figli'.

In arrivo broccoli super antiossidanti?
problemi cardiaciPROBLEMI CARDIACI
Il lavoro dei ricercatori è quello di riuscire a ottenere piante di broccoli che contengano un altissimo numero di composti fenolici al fine di ottenere ortaggi che prevengano le malattie più comuni anche a piccole dosi. “Questo lavoro è un passo in questa direzione, ma non è la risposta finale. Abbiamo in programma di prendere i geni candidati che abbiamo identificato qui e utilizzarli in un programma di coltura per migliorare i benefici per la salute di queste verdure. Nel frattempo, dovremo fare in modo che il rendimento, l'aspetto e il gusto siano mantenuti tali”, concludono i ricercatori.

venerdì 13 maggio 2016

KissinGarlic: l’aglio a prova di bacio “salvato” da una coppia di amici

Tipi tosti
Aglio - Bacio italiano
La scoperta di un’eccellenza quasi scomparsa si trasforma in un’idea di marketing: ecco la storia di Lorenzo e Alessandro
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Due amici e una sfida: coltivare e vendere un aglio a prova di bacio: il kissinGarlic. È la storia di Lorenzo Bianchi (Roma, ‘69), avvocato e Alessandro Guagni (Roma, ‘70), ingegnere edile e imprenditore che, tre anni fa, si sono lanciati in un’avventura: tentare di far rivivere piante perdute. Per essere precisi, un tipo di aglio, gigante, che pesa tra i 300 e i 400 grammi, è grande cinque volte quello normale, si usava nella Val Di Chiana fino agli anni Settanta e che qualche agricoltore toscano oggi ancora coltiva per uso personale, comunque, in piccole quantità. Insomma, un’eccellenza italiana perduta.
“Tutto è iniziato per caso – racconta Alessandro – Nel 2013 ero in vacanza vicino Siena e per strada vidi un agricoltore che vendeva sulla sua bancarella un tipo di aglio mai visto. Gigante. Tornai a casa, lo cucinai e mi accorsi subito che aveva un aroma molto leggero. Era facilmente digeribile e, soprattutto, non puzzava. Potevo baciare mia moglie senza problemi. Il giorno successivo tornai dal signore che me lo aveva venduto e chiesi informazioni. Mi confermò le mie impressioni. Dopo qualche settimana, l’illuminazione. Chiamai Lorenzo, l’amico di una vita e gli feci la grande proposta: proviamo a coltivare il super aglio. Accettò. Siamo due matti. Viviamo di sfide continue. Il lavoro che abbiamo e del quale non ci possiamo lamentare, ci lascia poco tempo. Però, decidemmo di provare. Lorenzo ha da sempre un podere in collina nelle Marche, vicino il Monte Cònero dell’Appennino umbro-marchigiano, alto 572 metri, situato sulla costa del Mar Adriatico, nella provincia di Ancona e che è uno dei più importanti promontori italiani dell’Adriatico. Un posto suggestivo, con rupi che sembrano scivolare nel mare e affascinanti sentieri. Strapiombi altissimi permettono anche le arrampicate. Decidemmo di coltivare lì il nostro aglio del bacio. Abbiamo impiegato tre mesi, attraversando tutta la Val di Chiana, per trovare duecento teste da piantare. Ed è stata la cosa più tosta che abbiamo fatto. Erano pochissimi quelli che le avevano e le volevano vendere. La maggior parte delle piante l’ abbiamo comprata da un simpatico agricoltore, Alberto. Ci siamo messi a piantarle nelle Marche, con l’aiuto di un ragazzo, Massimiliano. Abbiamo studiato nelle ore libere del nostro lavoro e siamo tornati in Toscana più volte per raccogliere informazioni su semina e raccolta. L’unico che ci ha dato notizie utili è stato il primo agricoltore toscano, quello che mi aveva fatto conoscere per primo l’aglio, in verità, piuttosto geloso delle sue conoscenze, ma che ringrazio per averci dato i rudimenti. Si può dire che senza una valida guida sul campo, abbiamo improvvisato parecchio e, ovvio, fatto tanti errori. Ma tra batoste e piccoli risultati, siamo andati avanti”.
Oggi i due amici hanno un campo esteso per un ettaro e ventimila piantine. Si sentono ogni sera al telefono per programmare il lavoro e ogni week end fanno seicento chilometri per essere sul campo.
1“Tutto quello che abbiamo raccolto sino ad ora – spiega Lorenzo – lo abbiamo reimpiantato per ampliare la distesa. Pensiamo di raccogliere a giugno prossimo e iniziare a vendere a settembre. Un chilogrammo potrebbe costare 25 euro. Abbiamo creato un marchio stupendo (uno spicchio d’aglio con una bocca), è pronto il packaging per la commercializzazione. Lo abbiamo fatto assaggiare a molti chef della capitale, che sono entusiasti. Il nostro prodotto è leggero, leggermente piccante, molto digeribile, è ideale per tutti quelli che amano l’aglio, ma non ne sopportano le conseguenze. Inoltre l’aglio – dicono gli chef – è un ingrediente fondamentale della nostra cucina, ma loro spesso non possono utilizzarlo e sono costretti ad usare dei sostitutivi come il porro e lo scalogno, oppure a lavorarlo per stemperarne il forte aroma, perché i clienti non lo tollerano. Per questo il kissinGarlic è perfetto. Il nostro super aglio, quindi, sarebbe rivoluzionario in cucina. Per giunta è un prodotto più che sano, dal momento che è lavorato a mano, in modo selvatico, la concimazione è naturale. Non usiamo diserbanti, ma animali, oche, che mangiano le piante infestanti, ma che  non toccano né le foglie, né le piante, nonostante l’aroma leggero. Anche su questo abbiamo fatto tutto da soli, facendo prove su un campo di 3 mila metri quadrati. È stata dura e lo è ancora, ma sembra che la nostra intuizione, e diciamolo, la voglia di buttarci in questa avventura, siano state una buona cosa. Per ora non abbiamo concorrenti. Il prodotto è apprezzato. Stiamo organizzando cene, test con gli chef e il passaparola funziona.  Puntiamo a distribuire il prodotto nei ristoranti di qualità e nelle gastronomie d’eccellenza di Roma e Milano. Abbiamo nuovi progetti. Vorremmo provare a coltivare altri prodotti persi. In Italia ce ne sono tanti da recuperare, spazzati via per semplici logiche di mercato. Ci stiamo pensando, un’ idea ce l’ abbiamo per quella che potrebbe diventare anche una battaglia a difesa dell’identità di alcuni territori. Famiglie e professioni, permettendo, ovvio.  Teniamo molto alle nostre attività e la cosa più tosta è trovare il tempo per una seconda vita che ci appassiona e sta diventando un business. Detto fra noi adoriamo le seconde vite”.