venerdì 31 dicembre 2021

SAPETE COSA VUOL DIRE IL CODICE STAMPATO SULLE UOVA? VE LO DICIAMO NOI!

SAPETE COSA VUOL DIRE IL CODICE STAMPATO SULLE UOVA? VE LO DICIAMO NOI! - OGNI PARTE HA IL SUO SIGNIFICATO E PERMETTE DI SAPERE TUTTO SU PROVENIENZA E CARATTERISTICHE: VENGONO INDICATE LA TAGLIA, L'ORIGINE DELL'ALLEVAMENTO, LO STATO DI PRODUZIONE E IL COMUNE, E LA DATA DI SCADENZA... Da anni, ormai, sulle uova è necessaria una etichettatura tramite stampa di un apposito codice sul guscio. Si tratta di un sistema di classificazione che serve a indicare diversi fattori. Il codice è necessario per la classificazione delle uova in base a diversi fattori (modalità di allevamento, qualità o categoria, dimensioni e tracciabilità). Sulle confezioni viene indicata la taglia dell'uovo (S per le uova fino a 53 grammi; M per le uova da 53 a 63 grammi; L per le uova da 63 a 73 grammi; XL per le uova dal peso superiore ai 73 grammi). In base alla modalità di allevamento, la classificazione distingue tra uova provenienti da allevamenti biologici, allevamenti all'aperto, allevamenti a terra e allevamenti in gabbia (si tratta del primo numero presente nel codice sul guscio, rispettivamente 0, 1, 2 e 3). Subito dopo il numero che indica il tipo di allevamento, nel codice compare la sigla dello Stato di produzione e, ancora dopo, il codice Istat del Comune di produzione. Le due lettere successive a quel codice sono invece la sigla della Provincia di produzione e le tre cifre indicano invece il codice di riconoscimento del singolo allevamento. Al di sotto del codice, infine, c'è la data di scadenza. C'è poi un altro tipo di classificazione delle uova: la categoria, che indica di fatto la qualità dell'uovo. La categoria A comprende le uove fresche o extra fresche, la categoria B quelle di seconda qualità o conservate, la categoria C infine quelle declassate e destinate all'industria alimentare (se compriamo prodotti non biologici che tra gli ingredienti presentano l'uovo, si tratta quasi sempre di quest'ultima categoria).

giovedì 30 dicembre 2021

Cozze e vongole, come pulirle da barbetta e sabbia in poche e semplici mosse

di MARTINA BARBERO In qualunque modo si cucinino, cozze e vongole sono le regine dell’estate. Per gustarne il delizioso sapore, pulitele con cura. Qui vi suggeriamo come fare 1 / 9 Cozze e vongole fresche Un succulento spaghetto allo scoglio, un’insalata ai frutti di mare, una gustosissima impepata o, ancora, una ricca paella. Cozze e vongole sono le protagoniste indiscusse di questi piatti che fanno tanto estate e a cui è sempre difficile dire no. Per un risultato gourmand ci vogliono, però, prodotti freschi e ben chiusi. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, cozze e vongole sono da pulire perché nessuno lo ha fatto prima di noi. In che modo lo spieghiamo qui. 2 / 9 Cozze: acqua e coltello Primo step: le cozze vanno sciacquate sotto abbondante acqua corrente. Potete farlo velocemente riponendole tutte quante in una bacinella. Secondo: eliminate le incrostazioni e i parassiti che trovate sul guscio. Verranno via grattandoli con un coltello. 3 / 9 Cozze: via la barbetta Staccate la barbetta — tecnicamente «bisso» — che fuoriesce dalla conchiglia della cozza. Strappatela con le mani: occorre un movimento deciso. Per essere sicuri di eliminare tutte le impurità, passate sul guscio della cozza una paglietta d’acciaio da cucina, quindi risciacquate. 4 / 9 Cozze, ok si apre! Aprite le cozze: potete farlo a crudo, passando un coltellino nella fessura tra le due valve e facendo leva così da staccare il muscolo senza romperlo. Ma potete farlo anche cuocendo le cozze per 5 minuti in una padella chiusa da un coperchio. Occhio alle cozze che non si saranno aperte: vanno buttate. 5 / 9 Vongole: preliminari Nel caso delle vongole, la prima cosa da fare è eliminare quelle aperte o rotte: essendo morte, potrebbero avere un cattivo sapore e fare persino male. Anche in questo caso la «spurgatura» richiede tempo e pazienza. 6 / 9 Vongole, il tempo Vi conviene cominciare la procedura circa 2 ore e mezza prima di cucinarle. Sciacquatele più volte sotto l’acqua corrente. Quindi immergetele in una ciotola e copritele con tre cucchiai di sale fino. Lasciate riposare per un paio di ore. 7 / 9 Vongole, l’acqua Pian piano, l’acqua comincerà a sporcarsi. Quando le impurità saranno diventate consistenti, cambiatela e versatevi un cucchiaio di sale grosso. Infine, lasciate in immersione per altri 30 minuti. 8 / 9 Cozze e vongole, la rifinitura Battete ogni singola vongola su di un piano o sopra un tagliere, così da eliminare eventuali rimasugli di sabbia. Lasciatele sotto l’acqua corrente per un minuto et voilà, le vongole saranno pronte per essere cucinate come meglio credete.

mercoledì 29 dicembre 2021

Tutti i colori della polenta (e le caratteristiche nutrizionali)

di Daniela Natali Quella gialla e quella bianca, quella scura e poi quelle di avena, di orzo, di castagne. Adatte ai celiaci oppure no. Tutte nutrienti, tutte diverse Si fa presto a dire polenta, ma di polente ce ne sono tante. E non parliamo dei modi di condirle, o di accompagnarle, ma proprio delle diverse tipologie di polenta o meglio delle farine da cui derivano. C’è la polenta gialla, ma anche quella bianca e quella scura, quella di castagne e di orzo. Quali caratteristiche nutrizionali hanno e che cosa le differenzia? «La polenta gialla — risponde Marina Carcea, dirigente tecnologo al Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione del Crea — già si distingue in due tipi: bramata e fioretto, la prima deriva dalla parte più esterna del chicco, la seconda dal “cuore” ed è a grana più fine. Questo comporta più che una differenza nutrizionale una diversità negli utilizzi. La bramata è la classica farina da polenta, la seconda può servire anche per preparazioni dolci o torte salate. Quanto alla farina bianca, deriva dalla macinazione del mais bianco quindi manca di carotenoidi, antiossidanti responsabili del colore giallo, che proteggono la salute di pelle, ossa e occhi. Essendo derivata pur sempre dal mais è priva di glutine e, come del resto la farina gialla, è adatta a chi soffre di celiachia». Anche la farina «scura» è di mais? «Quella che si usa per preparare la notissima polenta taragna è costituita in genere da un misto di farina di mais e di grano saraceno, privo di glutine e caratterizzato da una presenza un po’ più alta di proteine, di fibra e anche ricco di sali minerali come ferro, zinco e selenio». Particolarità, invece, della farina di segale? «La segale, che cresce bene anche in zone fredde di montagna, è sempre un cereale pertanto ricco in carboidrati e questo ne ha fatto un cibo fondamentale in tempi passati nelle zone agricole e povere. Poiché la segale è una graminacea, contiene glutine e perciò non è adatta ai celiaci». E che dire dell’avena e della farina che ne deriva? «L’avena appartiene anch’essa alla famiglia delle graminacee. Come la farina di mais, crea problemi di lievitazione e quindi non è del tutto adatta, se utilizzata da sola, e non miscelata con farina di grano, per le preparazioni da forno. È comunque molto nutriente e adatta per essere consumata a colazione come prodotto soffiato o sotto forma di fiocchi nel classico porridge all’inglese». Meno nota è la farina di orzo. «L’orzo è un cereale con una composizione proteica non adatta ai celiaci, però, come ci dice la letteratura scientifica, grazie alle sue fibre, è utile nel controllo della glicemia e dei livelli di colesterolo quindi protegge il nostro sistema cardiocircolatorio. La farina di orzo è infatti particolarmente ricca di betaglucani, polisaccaridi indigeribili, che aiutano a ridurre l’assorbimento di colesterolo e glucosio della dieta e stimolare il nostro senso di sazietà». Manca la farina di castagne. « Più che per la polenta, viene utilizzata per preparare dolci. Non solo il castagnaccio tipico del Nord Italia, ma anche i “necci” della Garfagnana, una specie di crepes da completare con un ripieno sia dolce, che salato, a base però sempre di ricotta. E qui vorrei spendere una parola “sull’accompagnamento” di tutte queste farine che ci hanno salvato dalla fame, ultima quella di mais diffusasi in Europa dopo la sua importazione dalle Americhe. Da sole saziano e danno energia di pronto utilizzo, dato che sono fondamentalmente a base di carboidrati, ma non bastano e infatti quando l’alimentazione era soprattutto a base di polente e affini, era diffusa la “pellagra”, dovuta alla carenza di vitamine, ma già l’abbinamento con i non costosi latticini, o con il latte, come si fa nella bergamasca, costituiva un rimedio perché all’organismo venivano anche fornite proteine e vitamine. Un uso saggio delle risorse che può insegnarci ancora qualcosa». 28 dicembre 2021 (modifica il 28 dicembre 2021 | 09:52)

sabato 25 dicembre 2021

Tortellini

https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/tortellino-altro-nome-avrebbe-suo-sapore-bologna-292795.htm Carlo Ottaviano per "il Messaggero" Se esistesse un San Tortellino, oggi sarebbe la sua festa (secondo l'International Food Day, che ha decretato il 14 dicembre la Giornata internazionale del tortellino in brodo). Ma come per i nomi propri, anche in altre date si celebra uno dei piatti più amati nelle fredde giornate d'inverno. Del resto, non c'è certezza neanche sull'origine, sugli ingredienti, sullo stesso nome (cappelletti, altrove). Un punto fermo poche settimane fa hanno provato a metterlo a Bologna dichiarando il tortellino bolognese De.Co. (Denominazione comunale), a condizione d'esser fatto con prosciutto, mortadella, lombo di maiale, parmigiano, uova e noce moscata. Ma stiamone certi dalle vicine città emiliane la contestazione non tarderà ad arrivare. L'unica certezza è che i tortellini devono avere la forma del perfetto ombelico di Venere (ma chi l'ha visto mai?) e il ripieno di carne. C'è chi giura sintetizziamo da Storia della pasta in 10 piatti di Luca Cesari, edito da ilSaggiatore - che sia frutto di un'ispirazione divina: lo avrebbe inventato un oste guercio e bolognese di Castelfranco Emilia affascinato dalla vista dell'ombelico della dea Venere: «Preda di una bramosia creativa, si precipita in cucina dove afferra un dischetto di sfoglia e, a forza di rigirarlo sulle dita, riesce a riprodurre le forme del divin bellico». In realtà i ricettari spiega Cesari nel volume premio Bancarella Cucina 2021 - raccontano una storia diversa da quando un anonimo cuoco ne scrive nel 1501 a quando a fine Ottocento Pellegrino Artusi tramanda la ricetta odierna (salvo la sostituzione del midollo di bue col lombo di maiale). Innumerevoli le varianti. C'è chi mette tutte le carni a crudo, chi utilizza al posto del vitello il petto di tacchino; chi dosa in modo diverso i vari ingredienti e chi taglia i tortellini, invece che a quadrati, a dischi. La disputa su quale sia la ricetta originale rimane insanabile. Il ripieno, più che la forma, caratterizza la provenienza geografica. La sfoglia, preparata in precedenza con uova e farina, deve essere comunque sottile e tagliata in quadretti della dimensione di pochi centimetri. I quadretti vengono poi ripiegati con il ripieno. Si procede quindi alla piegatura formando un triangolo le cui estremità si uniscono facendole ruotare attorno al dito indice. Tante versioni anche nel resto d'Italia. I parenti fuori regione più stretti sono i piemontesi agnolott del plin. Il nome deriverebbe da un cuoco di nome Angelòt e dal dialettale plin, cioè pizzicotto, il gesto per chiudere il rettangolino di pasta. Ovviamente, i grandi chef non sono rimasti a guardare. Il più noto Massimo Bottura che è di Modena li ha trasformati in minuscola Arca di Noè (il nome che gli ha dato). «Le nostre nonne -racconta dicevano che per fare un grande brodo serve il piccione; per un brodo raffinato la faraona; che non va mai buttato il brodo ricavato dalla testa del maiale (quando lo sgrassi bene, nelle notti fredde della pianura, esce il suo lato più buono e gustoso). Sentiti questi racconti, il mio sous chef Yoji Tokuyoshi, dopo aver scoperto lungo il Po altre ricette di brodo con rane e anguille, ha voluto contaminare la tradizione con la cultura del suo Giappone, ritrovando l'umami perfetto con l'alga kombu al posto del Parmigiano Reggiano. A questo punto è nato un brodo poliglotta». L'unico limite di questi e di tutti i tortellini? Che il piatto ne accoglie sempre troppo pochi.

mercoledì 8 dicembre 2021

Pesto di broccoli, la ricetta facile da preparare in 10 minuti

di REDAZIONE COOK La ricetta facile e veloce per un condimento perfetto 1 / 10 La ricetta vincente Una costante sulla tavola della stagione fredda è il broccolo. Puntualmente fatto al vapore o, nel migliore dei casi, arrosto. La verdura prodigio — ricca di vitamina C, fibre e ottima per il sistema immunitario — rischia così di stancare e di essere bistrattata. Un rimedio contro la monotonia dei sapori è allora il pesto di broccoli. La ricetta piace davvero a tutti, anche ai più pigri al fornello perché si prepara in 10 minuti e si adatta facilmente a qualsiasi tipo di piatto. Dall'aperitivo con crostini alla pasta, ma anche alle insalate. Come cucinarla? Ecco i trucchi per non sbagliare. 2 / 10 Ingredienti 250 grammi di broccolo, 2 spicchi d'aglio, 50 g di foglie di basilico, 100 ml di olio extra vergine d'oliva, sale q.b., pepe macinato q.b., 100 grammi di parmigiano. 3 / 10 Sbollentare Per questa ricetta sono sufficienti pochi minuti di cottura: a vapore o in acqua bollente, l’importante è che il broccolo rimanga croccante e di un verde brillante. Cuocete quindi per 5 minuti e bloccate immediatamente la cottura passando in acqua ghiacciata la verdura. 4 / 10 L'aglio Il primo ingrediente da sminuzzare è l’aglio. Per non rischiare di incontrare pezzi troppo grossi nel pesto, triturate prima con un coltello e poi nel robot da cucina gli spicchi. 5 / 10 I broccoli A questo punto potete aggiungere i broccoli, il basilico e il parmigiano nel robot. Se vi piace una consistenza vellutata azionate per almeno 2 minuti. Per sentire, invece, la croccantezza del broccolo azionate a intervalli vicini il robot fino a quando non ottenete la texture che preferite. 6 / 10 L'errore da evitare assolutamente L’errore che fanno in molti è quello di aggiungere l’extravergine e lavorarlo nel mixer insieme agli altri ingredienti. Il risultato? L’olio si emulsiona conferendo un colore più chiaro al pesto e una consistenza collosa. Per evitarlo, amalgamate l’extravergine a robot spento aiutandovi con una spatola o con un cucchiaio. Aggiustate di pepe e sale. 7 / 10 Con i crostini Il pesto ottenuto è perfetto come aperitivo, servito con fette di pane tostate o crostini profumati alle erbe. 8 / 10 La pasta Se volete servirlo con pasta assicuratevi di mettere da parte un po’ di acqua di cottura. Passate in padella per due minuti con un mestolo abbondante di pesto, bagnate leggermente e servite. 9 / 10 In insalata Per un pranzo leggero e veloce, il pesto diventa il condimento giusto per l’insalata composta. La ricetta è di Food52: unite noci, succo di limone, broccoli crudi tagliati a fettine sottili, pezzetti di mela e striscioline di pollo alla piastra.

giovedì 2 dicembre 2021

La pasta fresca, come farla in casa in 3 facili mosse e il trucco dell’aceto

di Carlotta Garancini 2 .Gli ingredienti Per fare la pasta fresca quello che occorre sono pochi ingredienti semplicissimi che con molta probabilità avete già in casa: 4 uova intere, 4 tuorli, 500 g di farina 00, 50 g di farina di semola, aceto bianco, sale. 3 .Mani in pasta Versate le farine a fontana, quindi incorporate le uova intere e i tuorli, un goccio di aceto e un pizzico di sale. Iniziate a impastare e continuate fino a ottenere un composto liscio. 4 .Impasto a riposo Formate un panetto e avvolgetelo nella pellicola trasparente. Ponetelo in frigo e lasciatelo riposare per almeno un paio d'ore. 5 .La sfoglia Trascorso il tempo, stendete l’impasto prima con il mattarello, quindi tirate la sfoglia con l'aiuto di una macchina. Una volta che le avrete dato la forma desiderata, la pasta sarà pronta per essere cotta. 6 .Video-lezione Se qualcosa della preparazione non vi è chiaro, guardate lo chef all'opera in questo video: https://video.corriere.it/pasta-fresca-come-farla-casa-3-facili-mosse-trucco-dell-aceto/3629118e-a29d-11e7-82cf-331a0e731b92

martedì 30 novembre 2021

Spaghetti al vino rosso

DI MARIA TERESA DI MARCO Difficoltà: -Preparazione: -Dosi: - INGREDIENTI • 320 g di spaghetti • 1 litro di vino rosso • 4 cucchiai di olio extravergine di oliva • 2 spicchi di aglio • 2 foglie di alloro • prezzemolo tritato o timo fresco o anche foglie di sedano • q.b. sale e pepe PREPARAZIONE Dare nuova vita agli avanzi rischia di suonare come qualcosa di virtuoso ma triste A meno che si torni al vero mangiare di una volta, quando si portavano in tavola piatti del risparmio ma anche del gusto. Senza accontentarsi mai, nemmeno il giorno dopo, in cui il pane avanzato si trasformava in una torta con la perseveranza cocciuta di volerla fare bene. Che è, in fondo, il senso vero dello stare ai fornelli. E il tema del menu d'autore di questo mese ideato da Maria Teresa Di Marco 1. Spesso capita che avanzi del vino a pranzo o a cena: questa ricetta, che ho imparato molti anni fa in un’osteria fiorentina, è il modo migliore per approfittarne. Scegliete, se potete, un vino rosso corposo e non troppo giovane. Per prepararla, procedete così. 2. In una pentola versate il vino meno un bicchiere, aggiungete un litro di acqua e le foglie di alloro. Portate a bollore lentamente e calate gli spaghetti. In una padella larga fate dorare gli spicchi di aglio in camicia con l’olio extravergine di oliva e appena saranno biondi spegnete. 3. Cuocete gli spaghetti per la metà del tempo di cottura previsto, prelevateli con un forchettone da cucina e metteteli direttamente nella padella con l’olio extravergine e l’aglio, aggiungete un mestolo del liquido di cottura e quindi il bicchiere di vino tenuto da parte. 4. Portate a cottura mescolando regolarmente, salate e quando mancano pochi minuti alzate la fiamma per far evaporare l’eccesso di liquido. Spegnete e aggiungete il prezzemolo tritato, o il timo fresco o anche le foglie verdi del sedano. Se vi piace un tocco piccante completate con pepe macinato fresco o pepe di cayenna.(Ha collaborato Tommaso Galli)

Come e quanto si conserva una bottiglia di vino aperta?

I consigli dell'esperto di MARTINA BARBERO Conservare una bottiglia di vino aperto: quanto dura, la temperatura, i trucchi e i consigli: ecco cosa dice l’esperto 1 / 8 Conservare una bottiglia di vino aperto L'autocontrollo a tavola non è certo un dono concesso a tutti, ma anche al più ghiotto è capitato, almeno una volta, di stappare una bottiglia di vino, assaporarla e, con diligente contegno, fermarsi alla così detta dose consigliata. Uno, due bicchieri, anche in solitaria. Poi? Che fine fa il rimanente succo preziosissimo? Per evitare di vagare con una bottiglia a metà in mano – «lo metto in frigo? Ma è rosso, quanto durerà?» –, abbiamo chiesto a un esperto cosa fare. Ecco , nelle prossime pagine, le risposte. 2 / 8 Ogni vino ha la sua durata «Il mio consiglio – spiega Martina Laura Miccione, fondatrice, insieme alla madre Carla De Girolamo, della vineria «TipA», a Milano – è di riflettere sempre prima di aprire una bottiglia. Una volta stappati, i rossi hanno in genere capacità di mantenersi più a lungo rispetto ai bianchi perché hanno più tannini e polifenoli, conservanti presenti naturalmente nell’uva. La durata di un vino aperto dipende poi molto dagli additivi chimici che si trovano all’interno: più solfiti ci sono, più si conserverà a lungo. Quando da TipA scegliamo la lista di bottiglie in mescita, ad esempio, sappiamo di dover escludere quelle con zero solfiti, preferendo invece vini che ne contengono. Sia chiaro, sempre in quantità minima perché siamo una vineria naturale in cui tutto ciò che supera i 20-30 ml di solfiti al litro è bandito (il limite per le etichette certificate bio è di 150 ml/l nei bianchi e 100 ml/l nei rossi, ndr). I vini passiti sono quelli che durano di più per via della presenza di più zuccheri». 3 / 8 E le bollicine? «Una bollicina, a meno che non abbiate uno stopper (per me, i migliori sono quelli della Waf), va bevuta subito altrimenti perde tutto il perlage. Ecco, grazie a uno stopper, un metodo classico, un Franciacorta per intenderci, si mantiene aperto con la bollicina giusta per 2-3 giorni. Attenzione, però, a quando lo riaprite perché, nel frattempo, l’anidride carbonica si è concentrata e il vino potrebbe fuoriuscire di colpo», spiega lei. 4 / 8 Come mi accorgo se un vino è andato a male? «Il topo, o "mousiness", se un vino non ha conservanti, arriva dopo due giorni», continua Martina Laura Miccione. «È quel difetto che Nadia Verrua, produttrice di Cascina ‘Tavjin, chiama esplicitamente salame, rendendo a pieno l’idea. Lo si capisce subito se è andato a male, fidatevi. E poi, dopo una settimana/dieci giorni dall'apertura, in un vino inizia a percepirsi il classico sapore aspro d’aceto, dovuto al contatto con l’ossigeno». 5 / 8 In frigo o fuori? «La temperatura è importante a prescindere che una bottiglia di vino sia aperta o chiusa. Il mio consiglio è di tenere il vino sotto i 20 gradi sempre, anche il rosso. Se non avete a disposizione una cantina o un luogo fresco, mettetelo in frigo, soprattutto se l'intenzione è quella di berlo non prima di 4-5 mesi». 6 / 8 Va ritappato? «Per mantenere una bottiglia – spiega Miccione – è necessario evitare il più possibile che il vino entri in contatto con l’ossigeno. Potete usare il tappo in sughero originario, che aderisce bene al collo della bottiglia, o procurarvene uno in silicone, di quelli che eliminano l’aria dall’ambiente». Alcuni per le bollicine usano un cucchiaino di acciaio al posto del tappo, funziona? «Sinceramente, non riesco a vederne il senso. Non lo capisco dal punto di vista chimico. Ma se qualcuno riesce a spiegarmelo, ascolto…». 7 / 8 Del vino non si butta via nemmeno una goccia È un peccato buttare del vino e, a patto che non ci siano difetti, si può sempre trovare il modo per riutilizzarlo: «Fate un soffritto o un risotto, – consiglia Miccione – anche se il vino è aperto da due settimane va bene. Altrimenti, noi da "TipA" facciamo l’aceto: uniamo tutti i fondi di bottiglia sani in un contenitore e li lasciamo fermentare insieme alla madre».

domenica 21 novembre 2021

Dalla farcitura alle salse, 8 consigli per fare il panino perfetto

di MARTINA BARBERO La scelta del pane, come disporre salumi, formaggi e verdure, l’uso delle salse. Come fare un panino perfetto e gourmet 1 / 10 Il sandwich perfetto Esiste una grammatica precisa dietro la composizione di un panino: il pane non può essere uno qualunque ma scelto con criterio, bisogna pensare alle giuste proporzioni nel farcire e nel sovrapporre gli strati e non sono da trascurare gli abbinamenti delle salse. Il panino, per la sua versatilità e praticità, è lo spuntino fuori casa amato universalmente. A patto che sia fatto con ingredienti di stagione e, come spiega il «Manifesto del Panino Italiano», sempre fresco e preparato al momento. Dal tipo di condimento al miglior modo per conservarlo, ecco gli 8 consigli necessari per fare del vostro panino una pausa pranzo golosa e appagante. 2 / 10 Scegliere il pane giusto Pane tondo, rustico, a fette. Il pane da usare è quello che sarebbe buonissimo mangiato anche solo, senza accompagnamento. Il pane va pensato e variato in funzione della farcitura. Se si abbinano ripieni molto umidi e liquidi ad un pane morbido si otterrà una consistenza molliccia. Per evitare un panino al cucchiaio, scegliete un pane con la mollica più fitta, meno spumosa e più secca. Un altro aspetto da tenere a mente è lo spessore: l’abbondanza di ingredienti richiede un pane morbido, flessibile e che non faccia sgusciare la farcitura fuori ad ogni morso. Avere un panino troppo spesso mette in difficoltà al momento di addentarlo: scomodi movimenti tettonici fanno scivolare gli strati interni e ci si trova con rondelle di pomodoro a terra e antipatiche macchie di salsa sul maglione. 3 / 10 La farcitura Il panino deve essere imbottito e con attenzione all’ordine della disposizione in strati. A molti piace l’effetto simmetrico, componete allora gli strati a specchio in modo, ad esempio, che il tutto sia raccolto in due fette di formaggio all’estremità, salsa su entrambe le fette di pane, e prosciutto nel mezzo. Condimenti piccanti e forti non su tutta la superficie, sfumateli dal centro verso l’esterno per arrivare poi, un morso alla volta, alla piena complessità del sapore. Salse e grassi invece spandeteli omogeneamente e a contatto diretto con la pasta del pane. 4 / 10 Giocare con le consistenze Il mondo del panino è fatto di preferenze e molte varianti. Una caratteristica sulla quale ci si può soffermare è la consistenza, tra croccantezza e morbidezza. L’approccio per un panino da Re è considerare gli ingredienti come una fonte di contrasti. Se la farcitura è croccante (frutta secca, filetto di pollo impanato e fritto, foglie di verza) preferite un pane morbido. Mentre formaggi, uova e creme intrappolateli in fette di pane rustico dalla crosta importante. 5 / 10 Trattare bene le verdure Se volete inserire verdure crude, lavatele in acqua ghiacciata per prolungare la consistenza tonica delle fibre e conditele prima di inserirle nel panino. Lattuga e pomodoro usateli solo se consumate il panino nell'immediato: sono quasi interamente composti di acqua e l’intero panino rischia di afflosciarsi. Per avere l'effetto fresco e piacevole della verdura senza le controindicazioni da conservazione, preferire peperoni grigliati, cetrioli, spinaci, verza, finocchio. Se si vuole scaldare e grigliare il panino, rimuovere le verdure che si vogliono mantenere fresche, crude e croccanti. 6 / 10 I condimenti gourmet Ogni mangiatore seriale di panini conosce e vuole la sua variante personalizzata. Per dei sandwich ben farciti e appaganti occorre creatività nei condimenti. Pesto di mandorle, succo di limone, salvia, pecorino e fette di pane tostato con un filo l’olio. Bagel morbidi con salmone affumicato, avocado maturo e robiola. Crema di formaggio di capra con trito di capperi e olive nere, foglie di spinaci fresche precedentemente condite con olio sale e limone. Il panino del bar all’angolo non reggerà il confronto. 7 / 10 La salsa La salsa va aggiunta nella giusta quantità, non deve sovrastare gli altri gusti. Se è un tramezzino, partite in anticipo per dare tempo alla fetta di impregnarsi bene. Le salse infatti non solo danno sapore, ma assumono l’importantissimo compito di inumidire pane e farcitura. Maionese e mostarda sono i classici ma ne esistono altri: vinagrettes, pesti, salsa chutney, salsa BBQ. 8 / 10 Come conservarlo Se non lo si può preparare appena prima di partire, esistono alcuni trucchi per conservarlo al meglio. Il tramezzino può essere assemblato in anticipo e riposto in frigo avvolto da pellicola, il panino no. Soprattutto se si vuole mantenere croccante il pane. Preparate quindi la farcitura la sera prima e conservatela in frigo. Il giorno seguente riempite il panino, resterà così più fragrante al consumo. 9 / 10 Come impacchettare un panino Tagliate a metà la vostra delizia e soffermatevi alcuni secondi nella contemplazione degli strati, sarà il riflesso del vostro impegno, solo allora potrete procedere al confezionamento. Per non rovinare il panino, anche in questa fase servono alcune accortezze. Se molto farcito e soffice utilizzate della pellicola e fasciatelo ben stretto, i condimenti si amalgameranno meglio e risulteranno in un panetto compatto. Se invece croccante, con foglie di lattuga o altra verdura fresca, allora preferite della carta oleata da alimento o quella da forno. Fate una confezione morbida per non soffocare la farcitura. Un errore da non fare è quello di interporre un tovagliolo tra panino e carta da confezione.

“BOLLITO” A CHI?

20 NOV 2021 17:00 “BOLLITO” A CHI? – IL BOLLITO È AMATISSIMO IN TUTTA ITALIA E IN TUTTE LE FORME, CON VARIAZIONI SUI TAGLI DI CARNE E SULLE SALSE – DALLE POLPETTE DI BOLLITO ROMANE AL GRAN BOLLITO ALLA PIEMONTESE, CHE PREVEDE SETTE TAGLI DI MANZO E BEN SETTE AMMENNICOLI, PASSANDO DAL BOLLITO VENETO, CON IL CREN E LA PEARÀ, UNA SALSA MEDIOEVALE A BASE DI MIDOLLO DI BUE, MOLLICA DI PANE E PEPE – MA LA SAPEVATE LA DIFFERENZA TRA “BOLLITO” E “LESSO”? SECONDO IL GRANDE PELLEGRINO ARTUSI… - Giacomo A. Dente per “il Messaggero” Bisogna aspettare il secondo giovedì che precede il Natale e varcare le porte nebbiose della Langa per vivere un evento gastronomico arcaico e imperdibile. La festa del Bue Grasso di Carrù, che origina da antichi mercati del bestiame (il primo documentato risale al 1473) è infatti l'occasione per avvicinare i riti e le meraviglie del Gran Bollito Misto Piemontese. «È dal 1910 che a Carrù si fa la Fiera intorno al bue grasso: bianco, maestoso, fantastico esemplare della razza piemontese», spiega Umberto Chiodi Latini, esperto di Barolo e patron del Vintage, autentico salotto di cucina tradizionale nel cuore di Torino. «Il cuore dell'evento», spiega Chiodi Latini, «è il rito del Gran Bollito alla Piemontese, una vera e propria cerimonia che ha perfino prodotto una Confraternita con sede a Guarene nel Roero, e con appassionati affiliati - con tanto di Gran Priori e mantelli rossi - che si impegnano da quasi quarant' anni a tutelare un piatto icona del Piemonte più antico». GLI INGREDIENTI In effetti il gran bollito è una meravigliosa bouffe: ci si arriva come ad un rito dionisiaco, che prevede sette tagli di manzo (tenerone, stinco, scaramella, culatta o scamone, cappello da prete, punta col suo fiocco, noce) e ben sette ammennicoli - lingua, testina col musetto, coda, zampino, gallina, cotechino, rollata - che cuociono separati. Il tutto servito di nuovo, all'insegna del cabalistico sette, con il potenziamento di altrettante salse e di sette contorni: verde rustica, verde ricca, rubra, cren, al miele, mostarda, côgna (frutta secca, cannella, chiodi di garofano) e, accanto, cipolline, finocchi, zucchini, foglie di verza al burro, e cipolle rosse, patate, rape, carote lesse. Ma il bollito attraversa tutto il Nord Italia con piccole variazioni sui tagli di carne e sulle salse: basti pensare, nel Veneto veronese, alla pervasiva presenza del cren e della pearà, una salsa medioevale a base di midollo di bue, mollica di pane e pepe. Inutile dire che, nel paese dei campanili, anche sul nome di questo piatto straordinario non manca un poco di confusione, visto che in alcune regioni come la Toscana o l'Emilia, si usa spesso il termine lesso al posto di bollito, Artusi compreso, salvo che il grande gastronomo aveva ben chiara la distinzione: se si vuole puntare tutto sul brodo si mette la carne in acqua fredda, e allora parliamo di lesso; se il cuore del nostro discorso è la carne, si parte invece dall'acqua bollente, che sigilla i succhi e ne evita la dispersione, ed eccoci al bollito. NELLA CAPITALE «Da noi a Roma il lesso non è serie B, ma intelligenza e sciccheria», spiega Annibale Mastroddi, guru dei macellai romani e gastronomo finissimo. «Pensate al picchiapò, uno stufato di lesso sfilacciato con pomodoro e cipolle che è una vera squisitezza». POLPETTE DI BOLLITO Gli fanno eco Roberto e Loretta Mancinelli dell'omonima, storica trattoria dietro piazza Epiro a Roma: «Da noi un piatto irrinunciabile sono le polpette di lesso fritte, accompagnata da cicoria ripassata in aglio, olio e peperoncino per raccontare la Roma vera di Pasquino». Nella diversità dei bolliti, una spinta all'unità si può trovare in un oste toscano vissuto nella prima metà dell'800, Luigi Bicchierai, detto Pennino con locanda a Ponte a Signa, autore di un immaginifico brogliaccio dove, in un pensiero del 1849, si legge: Con tutti questi moti di ribellioni e voglia di accorpare l'Italia io che sono oste me la figuro come un bel pentolone di bollito: zampa, lingua, carne varie, odori».

domenica 7 novembre 2021

Dahl di lenticchie con curcuma e coriandolo

di ANGELA FRENDA Difficoltà: - Preparazione: - Dosi: 6 PERSONE INGREDIENTI 400 grammi di lenticchie rosse decorticate 1 testa d’aglio 1 pomodoro rosso maturo 1 carota 1 costa di sedano 1 cipolla dorata q.b. acqua succo di mezzo limone q.b. olio extravergine di oliva 1 mazzetto di prezzemolo 2 cm di curcuma fresca 1 cucchiaino di paprika di coriandolo in polvere di cucchiaino di semi di cumino ½ cucchiaino di cannella q.b. sale PREPARAZIONE Il dahl di lenticchie mi parla di viaggi. E di Oriente. È un piatto indiano molto speziato che si può servire come zuppa o come contorno, magari accompagnandolo con un piatto di verdure stufate o con del riso basmati. È un’idea alternativa per cucinare le lenticchie tutto l’anno. Io lo amo particolarmente nei mesi invernali, perché mi scalda il cuore. E poi anche perché è un viaggio attraverso le spezie. Curcuma, paprika, coriandolo e cumino: i sapori e i colori si fondono e si sposano tra loro e con le lenticchie. La curcuma, in particolare, è il superfood del momento: si è guadagnata uno spazio privilegiato anche nelle dispense degli italiani, basti pensare che negli ultimi cinque anni le ricerche di Google riguardanti la curcuma sono cresciute del 75 per cento. E sono soprattutto le proprietà terapeutiche a renderla così popolare: antiossidante, antiinfiammatoria, rinforza il sistema immunitario, facilita la digestione e, secondo lo studio condotto dall’ Università della California pubblicato nel 2018 sull’American Journal of Geriatric Psychiatry, la radice preverrebbe anche problemi legati alla memoria. Ma vediamo come preparare il dahl (ha collaborato Martina Barbero). Iniziate dall’aglio, separate gli spicchi ma lasciateli in camicia. Fateli abbrustolite in una padella con un filo d’olio. Una volta dorati sbucciateli, privateli dell’anima e schiacciateli con una forchetta in un tegame capiente. Unite quattro cucchiai di olio extravergine e aggiungete le spezie: la curcuma tagliata finemente, il coriandolo, il cumino, la paprika e la cannella. Accendete il fuoco su fiamma medio-alta e versate anche la cipolla affettata finemente. Lasciate appassire per 5 minuti continuando a mescolare. Preparate allora la verdura: tagliate a cubetti il pomodoro, tritate il sedano e affettate la carota a tocchetti grossolani. Quindi aggiungeteli al soffritto. Mescolate e unite anche le lenticchie. Queste, essendo dei legumi di piccole dimensioni, non hanno bisogno di un precedente ammollo. Fate abbrustolite tutto per un paio di minuti alzando la fiamma e poi coprite con acqua. È importante versarla bollente per non bloccare la cottura delle lenticchie. Abbassate la fiamma e lasciate sul fuoco per 20 minuti, fino a che le lenticchie non risultano morbide. Trascorso il tempo spegnete e aggiungete il succo di limone per creare un contrasto di sapori. A questo punto, per rendere la zuppa più cremosa, mettete in un contenitore alto e stretto due mestoli di lenticchie cotte e frullatele con il minipimer a immersione. Riunite i due composti e, appena prima di servire, aggiungete il prezzemolo sminuzzato in modo da dare un tocco di freschezza. Portate in tavola caldo accompagnato, se volete, da riso basmati integrale.

giovedì 4 novembre 2021

Mafalde corte, ceci e acciughe

https://www.corriere.it/cook/ricette/ricetta-one-pot-mafalde-integrali-ceci-acciughe-romana_8af12b3e-3007-11eb-a612-c98d07fbf341.shtml

Spaghettoni al vino rosso

https://www.corriere.it/cook/ricette/ricetta-one-pot-spaghettone-vino-rosso_9f126f98-22af-11eb-bd01-ee72f0d01280.shtml

martedì 2 novembre 2021

Pizza, la ricetta perfetta per farla a casa senza errori (e in 5 passaggi)

di TOMMASO GALLI Dall’impasto alla farcitura, fino alla cottura: tutti i trucchi per una tonda perfetta (anche) nel forno di casa 1 / 6 Una storia lunga In principio fu quella napoletana. Con il cornicione spesso e morbido, condita con pomodoro e mozzarella. Poi anche per la pizza c’è stata un’evoluzione. Dalla sua nascita intorno alla fine del XIX secolo, per come la conosciamo noi oggi, si sono susseguite diverse variazioni. Di cui la più recente, in ordine d’apparizione, è quella gourmet, tagliata a spicchi e farcita con ingredienti originali, perfetta da condividere. Che sia però alla romana, o in teglia, sono in tanti a cimentarsi la domenica sera in questa preparazione. Che come ogni lievitato nasconde i suoi segreti. Ma seguendo questi semplici passaggi, preparare la pizza a casa sarà molto più semplice. Leggi anche: 2 / 6 La farina Cercate di sperimentare e non fossilizzarvi solo sulla classica farina bianca. Anche una buona, anzi ottima pizza, può essere utilizzata un cereale diverso. Che sia il farro monococco o la farina integrale, il segreto è miscelarla con un'altra farina un po' più forte, quindi resistente alle lunghe lievitazioni, come potrebbe essere un tipo 1, per ottenere un ottimo risultato. 3 / 6 La lievitazione Altro fattore fondamentale è la lievitazione: affinché la vostra pizza sia più digeribile, lasciatela riposare almeno una notte in frigo. In questo modo gli aromi e i profumi s’intensificheranno lasciandovi anche una sensazione di leggerezza non appena avrete finito di mangiarla. La stessa che cercate anche quando andate fuori in pizzeria, ma che spesso viene disattesa. La colpa non è del lievito di birra come molti potrebbero pensare ma della cattiva gestione dell’impasto. La tipica sete che vi viene dopo aver mangiato una margherita è frutto del fatto che la pizza non ha avuto il tempo necessario per lievitare correttamente. Vuoi perché il pizzaiolo andava di fretta, vuoi perché la farina utilizzata era sbagliata per il tempo a disposizione. Gli enzimi che avrebbero dovuto scindere amidi e proteine non hanno fatto il loro lavoro lasciando al vostro stomaco l’ingrato compito della digestione (che richiama più liquidi, ecco il perché della sete atavica). 4 / 6 Ingredienti 800 g di farina tipo 1 – 200 g di farina integrale (io metto 00) – 5 g di lievito di birra fresco – 750/800 g di acqua – 20 g di sale – 30 g di olio extravergine d’oliva 5 / 6 Procedimento Iniziate disponendo nell’impastatrice la farina tipo 1, quella integrale e la prima metà d’acqua. Iniziate a lavorare a velocità bassa per 2/3 minuti fino a ottenere un impasto grezzo. Fate poi riposare il tutto per 15/20 minuti. Riprendete a impastare aggiungendo il lievito di birra sbriciolato e, una volta che si sarà formata la maglia glutinica, aggiungete a filo la restante acqua, il sale e l’olio. Fate partire la lievitazione in massa in una ciotola capiente per almeno 30 minuti a temperatura ambiente (l’ideale sarebbe intorno ai 24°/25°C) dando una piega dopo 20 minuti. Riponete poi l’impasto in frigo per 18/24 ore. Il giorno dopo l’asciatelo acclimatare a temperatura ambiente per 30 minuti e procedete alla formazione delle palline del peso desiderato. Lasciatele lievitare a temperatura ambiente per altre 3/4 ore circa. Trascorso il tempo necessario, stendete delicatamente l’impasto con le mani, riponetelo in una teglia precedentemente oliata e aggiungete gli ingredienti della farcitura. Cuocete a 250°C in forno statico. La cottura si può svolgere in due fasi: prima cottura di 7 minuti circa (anche solamente con olio) e seconda cottura dopo che la pizza si sarà raffreddata per altri 4 minuti circa, giusto prima di servirla. _____________________________________ La ricetta della pizza tonda nel forno di casa di Renato Bosco di RENATO BOSCO Difficoltà: FACILE Preparazione: 30 MIN Dosi: 3 INGREDIENTI PER TRE BASI DA PIZZA 450 g di farina tipo 0 50 g di farina integrale (IO METTO 00) 5 g di lievito di birra fresco (oppure 2 g di lievito di birra secco) 350 g di acqua 12 g di sale fino q.b. di semola di grano duro PER LA FARCITURA q.b. di passata di pomodoro q.b. di fiordilatte q.b. di funghi porcini q.b. di radicchio q.b. di monte Veronese Dop Stravecchio PREPARAZIONE Non è impossibile fare una buona pizza nel forno di casa. Anzi. Con i consigli di Renato Bosco diventa davvero semplice. Basta organizzarsi con il tempo e poi sarà l’impasto a fare tutto (praticamente) da solo. Non servono infatti lunghe ore sulla spianatoia per formare la maglia glutinica (essenziale per una corretta lievitazione), ma un giro di pieghe cadenzato ogni venti minuti. Poi sta a voi la scelta degli ingredienti. Che in questo caso sono un vero inno all’autunno: porcini, radicchio, fiordilatte e monte Veronese Dop . Leggi anche: — «Pizza Crunch», la ricetta speciale di Renato Bosco con il trucco per la croccantezza; — Pizza a casa, gli 8 errori da non fare mai per prepararla perfetta; — Le ricette della pizza da provare assolutamente; — Il lievito madre di Iginio Massari e i tutti segreti; — Il galateo della pizza — Pizza nel forno di casa, la ricetta del maestro pizzaiolo Ciro Salvo In una ciotola mescolate le farine e aggiungere il lievito. Unite l’acqua, amalgamate per bene e infine aggiungete il sale. Una volta mescolato il tutto, coprite la ciotola con la pellicola e lasciate riposare 20 minuti. Successivamente, prendete l’impasto, impastatelo a mano facendo la prima piega e riponetelo in una ciotola coperta con pellicola e fate riposare a temperatura ambiente per altri 20 minuti. Trascorso il tempo necessario, lavorate l’impasto nuovamente procedendo dunque con la seconda piega e riponete l’impasto di nuovo nella ciotola. Lasciate infine lievitare per 1 ora a temperatura ambiente. A questo punto, formate le palline e mettetele in un contenitore a lievitare per 4-6 ore a temperatura ambiente (24-26°C). Una volta finito il tempo di lievitazione, stendete la pizza, ponetela in un vassoio di alluminio precedentemente unto con olio evo, aggiungete in superficie la salsa di pomodoro condita con olio, sale e basilico e lasciate nuovamente riposare 20 minuti a temperatura ambiente. Cuocete a 240°C a forno statico per 5-6 minuti o secondo il grado di cottura desiderato. A metà cottura aggiungete il fiordilatte, il radicchio e i porcini precedentemente cotti in padella con dell’olio evo. Una volta sfornata ultimate con delle scaglie di Monte Veronese stravecchio.

sabato 30 ottobre 2021

Uova, quante balle sul colesterolo: dalla vitamina D alle proteine, ciò che non tutti sanno

30 ottobre 2021 Esplora: uova alimentazione salute vitamina d proteine liberotg Sono le uova l’alimento più completo in natura. Contengono proteine, grassi saturi, vitamina D, zinco, ferro e potassio. Ne basta uno di 70 grammi per fornire il 16 % del fabbisogno giornaliero di proteine per un adulto. Ricchissimo di proprietà e indicato per chi vuole dimagrire è il tuorlo che contiene omega 3 e ferro, difficile da trovare in natura. Ma quali uova scegliere al bancone del supermercato? Ebbene quelle provenienti da agricoltura biologica sono le migliori, seguite da quelle di allevamento all’aperto, e a terra. E’ bene sapere che non esiste alcuna correlazione tra il consumo di uova e l’aumento dei livelli di colesterolo. Un uomo che osserva una dieta sana ed equilibrata può consumarne fino a 6 a settimana, una donna 4. Unica controindicazione: non mangiatele crude perché non danno benefici né ai muscoli né all’organismo e possono essere pericolose per via di possibili infezioni da salmonella. Infine, conservatele in frigo e fate attenzione alla data di scadenza. Ma se la superate, tranquilli. Mettete le uova dentro un recipiente d’acqua, se non galleggiano sono ancora buone! .

lunedì 18 ottobre 2021

Uova al microonde, la ricetta dello chef stellato José Andrés

L’IDEA ANTI-SPRECO Uova al microonde, la ricetta dello chef stellato José Andrés di FEDERICA MACCOTTA Servono pochi minuti e ingredienti che spesso si dimenticano in frigorifero (come la maionese) per preparare una ricetta gustosa e che lascia la cucina pulita Uova al microonde, la ricetta dello chef stellato José Andrés Non serve avere una stella Michelin per cuocere un uovo. E nemmeno per farlo con il microonde. Ma i consigli di uno chef stellato potrebbero essere utili per ottenere un risultato a prova di critico gastronomico. Le dritte per l’uovo microonde perfetto arrivano da José Andrés, chef del bistellato Minibar a Washington, ma anche filantropo impegnato, con l’organizzazione World Central Kitchen creata con la moglie Patricia, nello sfamare persone in difficoltà. Una nobile missione che lo ha portato a ricevere una nomination per il Nobel per la Pace, il Basque Culinary World Prize nel 2020 e cento milioni di dollari dal fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Proprio parlando di un progetto legato alla lotta agli sprechi alimentari lo chef, che è a capo di un impero di locali, ha svelato la sua ricetta per preparare le uova con la maionese al microonde in pochi minuti. Per non sporcare la cucina José Andrés, spagnolo trasferito negli Stati Uniti da tempo, sta collaborando con la marca di maionese Hellmann's per una campagna che invita ad avventurarsi alla scoperta dei meandri dei frigoriferi di casa per scovare cibi dimenticati, che rischiano di essere buttati, e recuperarli. Intervistato da Insider su questo tema, ha condiviso una ricetta «no waste» e anche «no caos», diciamo così, nel senso che evita di sporcare la cucina usando pentole e attrezzi complessi. L’idea, racconta lo chef, gli è venuta proprio per evitare di mandare all’aria le pulizie di casa appena fatte dalla moglie per prepararsi uno spuntino per pranzo. UOVA, RICETTE E CONSIGLI Il segreto delle uova «5:10»: albume fondente e tuorlo liquido Uova, i tre test infallibili per capire se sono fresche (e come prepararle) Uova in purgatorio di Stanley Tucci Microonde, i 7 consigli per usarlo senza rischi Perché cucinare con il microonde ci fa venire i sensi di colpa Uova, la guida definitiva per conservarle (attenzione al frigo), cuocerle e i test sulla freschezza Come si fa un uovo sodo: in quanto cuoce e le mosse per prepararlo Come cucinare le uova Una «frittata» di uova e maionese La soluzione? Una sorta di frittata al microonde che sfrutta gli avanzi. Per iniziare José Andrés suggerisce di sbattere con le uova un cucchiaino pieno di maionese e frullarlo «finché non diventano come una bella crema». Il composto va spostato in un contenitore di vetro adatto al microonde, sul cui fondo è stato versato dell’olio di oliva. A questo punto il consiglio dello chef è di cercare in frigorifero e aggiungere alla preparazione piccoli pezzi di avanzi, come avocado o formaggio. «Lo mettete nel microonde per un tempo che va da circa un minuto e 45 secondi a due minuti e 15 secondi (dipende dalla potenza del microonde)», spiega. La simil-frittata poi può essere capovolta in un piatto e accompagnata da pomodoro, insalata e qualsiasi altro contorno. Oppure può essere mangiata direttamente dal contenitore di vetro. «È ottimo per gli studenti nei dormitori e in posti del genere», ha detto Andrés, dato che richiede poco tempo, ingredienti facili da reperire e solo un microonde. 17 ottobre 2021 (modifica il 17 ottobre 2021 | 11:38)

venerdì 15 ottobre 2021

Beef Stroganoff

di ANGELA FRENDA INGREDIENTI 1 cucchiaio di olio o burro 1 cipolla 1 spicchio d’aglio 200 g di funghi champignon 500 g di manzo tagliato a strisce 1 cucchiaio di paprika ½ limone una lacrima di vermouth 60 ml di panna da cucina q.b. di prezzemolo q.b. di sale PREPARAZIONE Posizionate una padella dal fondo spesso sul fuoco e scaldatela con olio o burro, o entrambi se preferite una versione più ricca. Unite poi la cipolla affettata e l’aglio. Fateli sudare per qualche minuto, prestando però attenzione a che non si brucino. Mescolate quindi spesso. Unite i funghi precedentemente lavati e asciugati con cura, quindi tagliati a fettine e cuocete fino a che non saranno dorati. Toglieteli dalla padella e conservateli da parte. Nella stessa padella riscaldate ancora un filo d’olio nel caso in cui le verdure avessero assorbito tutto il grasso e unite il manzo, la paprika e il succo del limone. Cuocete per un minuto o due continuando a mescolare. E poi sfumate con il vermouth. Unite i funghi e la cipolla e cuocete per un altro minuto, sempre mescolando. Togliete dal fuoco e versate la panna e il prezzemolo. Date un’ultima girata e servite subito con delle semplici patate bollite o del riso in bianco.

giovedì 7 ottobre 2021

La ricetta della frittata di patate e cipolle: la versione irresistibile

Difficoltà: FACILE Preparazione: 45 MIN Dosi: 4 PERSONE INGREDIENTI 6 uova 2 cipolle bianche (o rosse di tropea) 1 kg di patate olio evo qualche rametto di rosmarino fresco da aggiungere alla fine PREPARAZIONE Poche cose riescono a rassicurare di più di una frittata di patate. Semplice, veloce e alla portata di tutti. Ma soprattutto gustosa. Un perfetto comfort food, insomma. Il segreto, per prepararla alla perfezione è di cuocere bene le patate. Fatele insaporire con le cipolle in padella (se riuscirete a creare una crosticina in superficie saranno ancora più gustose). Poi, per superare il momento fatidico che ogni frittata ha, e cioè quello del rovesciamento, aiutatevi con un coperchio. E se il piano di cottura si sporcherà, pazienza. L’importante è non far cadere a terra la frittata. Tritate al coltello due cipolle bianche. Sbucciate e affettate finemente le patate. Soffriggete la cipolla in una padella antiaderente con un filo d’olio. Quando si saranno ammorbidite aggiungete le patate a fatele saltare. Trasferite il tutto in una ciotola. Sbattete 6 uova e versateci le verdure. Salate e pepate. Lasciate riposare per 10-15 minuti. Mettete sul fuoco una padella antiaderente di 28-30 cm leggermente oliata. Quando è ben calda, versateci le verdure e le uova. Contate fino a 10 e abbassate la fiamma al minimo. Cuocete la tortilla per 10-15 minuti. Poi la girate e la cuocete per almeno altri 5 minuti dall’altro lato. È buona calda, ma anche fredda o mangiata addirittura il giorno dopo.

domenica 3 ottobre 2021

Pizza, la ricetta perfetta per farla a casa senza errori (e in 5 passaggi)

di TOMMASO GALLI Dall’impasto alla farcitura, fino alla cottura: tutti i trucchi per una tonda perfetta (anche) nel forno di casa 1 / 6 Una storia lunga In principio fu quella napoletana. Con il cornicione spesso e morbido, condita con pomodoro e mozzarella. Poi anche per la pizza c’è stata un’evoluzione. Dalla sua nascita intorno alla fine del XIX secolo, per come la conosciamo noi oggi, si sono susseguite diverse variazioni. Di cui la più recente, in ordine d’apparizione, è quella gourmet, tagliata a spicchi e farcita con ingredienti originali, perfetta da condividere. Che sia però alla romana, o in teglia, sono in tanti a cimentarsi la domenica sera in questa preparazione. Che come ogni lievitato nasconde i suoi segreti. Ma seguendo questi semplici passaggi, preparare la pizza a casa sarà molto più semplice. 2 / 6 La farina Cercate di sperimentare e non fossilizzarvi solo sulla classica farina bianca. Anche una buona, anzi ottima pizza, può essere utilizzata un cereale diverso. Che sia il farro monococco o la farina integrale, il segreto è miscelarla con un'altra farina un po' più forte, quindi resistente alle lunghe lievitazioni, come potrebbe essere un tipo 1, per ottenere un ottimo risultato. 3 / 6 La lievitazione Altro fattore fondamentale è la lievitazione: affinché la vostra pizza sia più digeribile, lasciatela riposare almeno una notte in frigo. In questo modo gli aromi e i profumi s’intensificheranno lasciandovi anche una sensazione di leggerezza non appena avrete finito di mangiarla. La stessa che cercate anche quando andate fuori in pizzeria, ma che spesso viene disattesa. La colpa non è del lievito di birra come molti potrebbero pensare ma della cattiva gestione dell’impasto. La tipica sete che vi viene dopo aver mangiato una margherita è frutto del fatto che la pizza non ha avuto il tempo necessario per lievitare correttamente. Vuoi perché il pizzaiolo andava di fretta, vuoi perché la farina utilizzata era sbagliata per il tempo a disposizione. Gli enzimi che avrebbero dovuto scindere amidi e proteine non hanno fatto il loro lavoro lasciando al vostro stomaco l’ingrato compito della digestione (che richiama più liquidi, ecco il perché della sete atavica). 4 / 6 Ingredienti 800 g di farina tipo 1 – 200 g di farina integrale – 5 g di lievito di birra fresco – 750/800 g di acqua – 20 g di sale – 30 g di olio extravergine d’oliva 5 / 6 Procedimento Iniziate disponendo nell’impastatrice la farina tipo 1, quella integrale e la prima metà d’acqua. Iniziate a lavorare a velocità bassa per 2/3 minuti fino a ottenere un impasto grezzo. Fate poi riposare il tutto per 15/20 minuti. Riprendete a impastare aggiungendo il lievito di birra sbriciolato e, una volta che si sarà formata la maglia glutinica, aggiungete a filo la restante acqua, il sale e l’olio. Fate partire la lievitazione in massa in una ciotola capiente per almeno 30 minuti a temperatura ambiente (l’ideale sarebbe intorno ai 24°/25°C) dando una piega dopo 20 minuti. Riponete poi l’impasto in frigo per 18/24 ore. Il giorno dopo l’asciatelo acclimatare a temperatura ambiente per 30 minuti e procedete alla formazione delle palline del peso desiderato. Lasciatele lievitare a temperatura ambiente per altre 3/4 ore circa. Trascorso il tempo necessario, stendete delicatamente l’impasto con le mani, riponetelo in una teglia precedentemente oliata e aggiungete gli ingredienti della farcitura. Cuocete a 250°C in forno statico. La cottura si può svolgere in due fasi: prima cottura di 7 minuti circa (anche solamente con olio) e seconda cottura dopo che la pizza si sarà raffreddata per altri 4 minuti circa, giusto prima di servirla.

mercoledì 22 settembre 2021

Cibi scaduti: gli insospettabili che si possono mangiare anche a distanza di settimane (e oltre)

In questo modo si diminuisce lo spreco alimentare Insomma, è sempre bene controllare lo stato di quello che stiamo per buttare. Senza affidarci solamente a quanto riportato in etichetta. Anche perché in questo modo si potrebbe ridurre notevolmente lospreco alimentare. I supermercati che vendono cibo scaduto esistono già un po' in tutta Europa, ma è quello che possiamo fare giornalmente a incidere di più. Ecco perché è stato portato avanti dalla Tafel Deutschland, organizzazione no-profit tedesca che dal 1993 consegna generi alimentari a chi è più in difficoltà, una ricerca per capire quanto si sbagliano in media, in difetto, le scadenza riportate sulle confezioni degli alimenti. I risultati Si scopre così che la pasta e il riso potrebbero essere consumati anche fino a un anno dopo la data di scadenza riportata in etichetta. Come tutto lo scatolame. E addirittura cibi considerati più delicati resisterebbero ancora a lungo. Latte Il latte a lunga conservazione, lo dice già il termine, dura molto di più. Ma anche quello fresco ha un margine di resistenza rispetto alla data di scadenza. Secondo la ricerca, infatti, durerebbe in media sempre un paio di giorni in più. Il consiglio è poi sempre quello di assaggiare. Pane Messo in freezer può durare anche anni. Se lasciato all'aria aperta il rischio, al massimo, è che diventi raffermo. Ma anche se scaduto può resistere, come il latte, qualche giorno in più senza nessun problema. Uova Le uova durano a lungo: dalle tre alle quattro settimane. L'importante è saperle conservare.Formaggi I formaggi a pasta dura possono tranquillamente essere mangiati oltre la loro data di scadenza. Nel caso in cui si formi la muffa sulla parte esterna, basta tagliarla e consumare il resto. Riso e pasta Se conservati in contenitori ermetici o nelle loro confezioni, riso e pasta possono essere consumati anche un anno dopo la data indicata sul retro. Miele e zucchero Aceto, miele, vaniglia o altri estratti, zucchero, sale, sciroppo di mais e melassa possono durare praticamente per sempre con pochi cambiamenti di qualità. Farina La farina bianca subisce, anche a distanza di mesi, ben poche alterazioni. Quella integrale, contenendo il germe di grano, tende però a irrancidire più facilmente. Cibo in scatola I pomodori pelati, il tonno in scatola, i ceci, i fagioli, il mais e tanti altri cibi in scatola possono essere consumati anche dopo un anno dalla loro data di scadenza, ma devono essere conservati in un luogo asciutto.

lunedì 20 settembre 2021

Pasta con aglio e pangrattato

Semplice, gustosa ma efficace Di Rosalia Gigliano Un classico della nostra tradizione in cucina, ma con l’aggiunta di un piccolo ingrediente. Piacerà di certo, a tutti i vostri commensali. Vediamo insieme cosa ci occorre e prepariamola. Tempo di preparazione: 5 minuti Tempo di cottura: 10 minuti Ingredienti 250 g Pasta Olio extravergine d’oliva 1 spicchio Aglio 1 ciuffo Prezzemolo Sale 5 cucchiai Pangrattato Pasta con aglio e pangrattato: procedimento Iniziamo con l’aggiungere, in una padella, un giro d’olio. A parte, sbucciamo l’aglio e aggiungiamolo in padella e facciamolo dorare. Pasta con aglio e pangrattato FOTO ricettasprint Lasciamo cuocere alcuni minuti poi, appena inizia a sfrigolare, aggiungiamo il pangrattato. A parte, cuociamo la pasta e, quando sarà cotta, scoliamola ed aggiungiamola in padella con il condimento. Uniamoci anche un cucchiaio di acqua di cottura. Lasciamo amalgamare insieme per qualche minuto, poi serviamola, accompagnandola con del prezzemolo sminuzzato. Consigli: a questo piatto possiamo anche aggiungere un pizzico di peperoncino, che, però, vi sconsigliamo di mettere se questo piatto lo mangiano i più piccini.

Spaghetti al forno, antica ricetta della nonna dal sapore incredibile

Spaghetti al forno Una ricetta di famiglia dal sapore unico, gli spaghetti al forno sono un piatto povero e semplice, che lasceranno davvero a bocca aperta per la loro bontà Preparazione 30 min Cottura 20 min Tempo totale 50 min Porzioni: 6 Persone Chef: Antonella Sierra Ingredienti 1 kg spaghetti 800 g pomodori 1 mazzetto basilico 1/2 spicchio d’aglio Sale qb Olio extra vergine qb Origano qb Istruzioni La ricetta di oggi: spaghetti al forno. Lessare gli spaghetti al dente in acqua bollente e salata. Nel frattempo che cuociono gli spaghetti, tagliare i pomodori a pezzi grossolani (lasciarne qualcuno da parte perché serviranno alla fine da mettere sopra), sminuzzare l’aglio e spezzettare il basilico. Mettere tutto in una ciotola grande, aggiungere il sale, l’origano, l’olio e mescolare. Scolare gli spaghetti al dente e condire con i pomodori. Mettere tutto in una teglia da forno. Tagliare a fettine i pomodori lasciati da parte e coprire gli spaghetti. Passare un pochino di sale, origano e olio. Infornare a 180° per 20 minuti circa. Quando gli spaghetti fanno la crosticina sono pronti. Questo piatto va mangiato tiepido. È meraviglioso fidatevi. Gli spaghetti al forno sono pronti per essere gustati.

Cacio e pepe

PREPARAZIONE 5 min RICETTA media ​La cacio e pepe è un primo piatto tipico della cucina laziale. Per prepararla occorrono solo tre ingredienti: pasta, di solito tonnarelli o spaghetti, pecorino romano e pepe. Una triade di sapori semplici ma di carattere che si fondono in questa ricetta sprint da sfoderare in ogni occasione conviviale. ESECUZIONE RICETTA MEDIA PREPARAZIONE 5 MIN COTTURA 8 MIN-10 MIN PORZIONI 4 PORZIONI INGREDIENTI 320 g di tonnarelli o spaghetti 200 g pecorino romano 2 cucchiai di pepe nero in grani sale È un primo piatto straordinario nella sua semplicità, che sarà apprezzato da tutti i commensali. Sia che lo prepariate in questa versione più classica sia che vi cimentiate in una delle sue tante rivisitazioni, la cacio e pepe non vi deluderà mai! Alcuni accorgimenti da non dimenticare: il pepe, che deve essere abbondante, preferitelo da macinare al momento, sarà più aromatico; e il cacio deve essere un pecorino romano, meglio se Dop, perché solo questo formaggio ha la particolarità di sciogliersi nell’acqua calda e legarsi all’amido rilasciato dalla pasta, formando il cremoso condimento che è poi il segno distintivo di questa pietanza. COME PREPARARE: CACIO E PEPE Preparazione Cacio e pepe - Fase 1Preparazione Cacio e pepe - Fase 1 1 Iniziate a preparare la cacio e pepe pestando i grani di pepe in un mortaio fino a ridurli a una polvere fine. Grattugiate il formaggio in un’ampia ciotola, poi unite il pepe. Preparazione Cacio e pepe - Fase 2 Scaldate l’acqua per la pasta, quando arriva a ebollizione, aggiungete una presa di sale grosso e tuffate i tonnarelli. Aggiungete gradatamente un po’ di acqua di cottura della pasta nella ciotola con il pecorino e mescolate energicamente con una frusta fino a ottenere una cremina. Scolate i tonnarelli, trasferiteli nella ciotola con il formaggio e mantecate. Preparazione Cacio e pepe - Fase 3 Distribuite la cacio e pepe nei piatti da portata, aggiungete una spolverata di pepe a piacere e servite.
Penne alla Carillon: le hai mai preparate? Dicono sia la pasta più buona del mondo By Rosaria Cacciapuoti 19 Settembre 2021 Eccoti un piatto semplice e veloce che ruberà il cuore di tutti. A tavola con questa ricetta farai un figurone, e pensa non impiegherai nemmeno tantissimo tempo per cucinarla. Hai mai sentito parlare delle ‘Penne alla Carillon‘ ? Un piatto tipico della cucina ligure, che si prepara con pochissimi ingredienti. E cosa c’è di meglio se non prepararlo nel nostro delizioso pranzo della domenica? Impiegheremo pochi minuti per prepararlo.. Scopriamo subito la ricetta completa! Penne alla Carillon, ed è subito ‘bontà al primo assaggio’, provale e te ne innamorerai! Dalla cucina della riviera ligure, arriva il piatto più buono di sempre. Le penne alla carillon sono veloci e buonissime, ecco perché non possiamo lasciarcele sfuggire. La ricetta per prepararle è proprio qui: 300g di Penne 200ml di Passata di Pomodoro 70g di Pancetta 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro Sale e Pepe 100ml di Panna liquida 1 Scalogno Ingredienti semplici per una ricetta pratica dal gusto incredibile. Per preparare il nostro primo piatto procediamo così: in una padella antiaderente lasciamo rosolare la pancetta che con il calore sprigionerà il suo grasso. Per l’appunto non aggiungiamo olio proprio perché ci serviamo del grasso della pancetta per preparare tutto il nostro condimento. Una volta che la pancetta è rosolata aggiungiamo lo scalogno tritato precedentemente. Nel frattempo prepariamo sui fornelli anche la pentola per la cottura della pasta. Una volta rosolato lo scalogno, aggiungiamo anche la passata ed il concentrato di pomodoro. Lasciamo cuocere per 10-15 minuti a fiamma dolce. Ora non resta che aggiungere la panna liquida e mescolare per amalgamare. Siamo quasi giunti al termine. Con il timer alla mano contiamo i minuti di cottura della pasta e scoliamola quando è ancora indietro di 1-2 minuti al termine. La scoliamo direttamente in padella con il nostro sughetto facendo attenzione a non prevelare troppa acqua di cottura. Amalgamiamo e saltiamo la pasta per qualche minuto, una volta che il tutto è diventato cremoso (non colloso), aggiungiamo una spolverata di pepe e delle foglie di basilico fresche e via.. Non resta che impiattare e gustare!

VERZA SALTATA IN PADELLA CONTORNO FACILE

INGREDIENTI : 500 g. di verza 40 ml. di olio d’oliva 1 spicchio d’aglio 1 carota grande a dadini misto per soffritto q.b. 2-3 bicchieri di brodo vegetale q.b. peperoncino (facoltativo) PROCEDIMENTO : Per prima cosa preparate un po’ di brodo vegetale pulite e mondate bene la verza eliminando la parte centrale dura, lavatela e asciugatela bene scolandola in un colapasta, mettetela sopra un tagliere e taglietela a striscioline, in una padella larga e capiente versate dell’olio extra vergine d’oliva versate lo spicchio d’aglio e il misto per il soffritto (carote, cipolla, sedano) non appena l’aglio imbiondisce levatelo eversate dentro la padella la verza, fatela rosolare un minuto per farla insaporire. Versate ora del brodo e fatela cuocere per 15 minuti circa, girandola di tanto in tanto e avendo cura che il brodo evapori completamente e la verza non si attacchi al fondo della padella, una volta cotta spegnetela e mettete del peperoncino se lo gradite e il vostro contorno è pronto!

Sugo ai peperoni senza cottura

Sugo ai peperoni senza cottura: pronto in 5 minuti ottimo per la dieta! Un sugo così non lo avete mai mangiato, ve lo garantisco! E’ semplicissimo da preparare è dietetico, ottimo anche per chi non è a dieta perché è davvero saporito. Con due semplici ingredienti otterrete un sugo davvero eccezionale! Spettacolare per condire la pasta, per insaporire le verdure e la carne. Sugo ai peperoni senza cottura: pronto in 5 minuti ottimo per la dieta! Gli ingredienti per questa ricetta sono 2 e potete equilibrare il sapore di questo sugo a vostro piacimento aggiungendo più o meno ricotta. Vi consiglio di usare i peperoni rossi, ma come sempre siete liberi di fare tutte le prove per decidere qual è il gusto che voi aggrada di più. Ingredienti per 3 o 4 persone: 1 Peperone rosso 250 grammi di ricotta 1 pizzico di sale 1 pizzico di pepe (opzionale) Se vogliamo condirci la pasta mettiamo già a cuocere la pasta, nel frattempo (e abbiamo tutto il tempo) procediamo a preparare il sugo di peperoni. Procedimento: Come già detto in precedenza occorrono realmente 5 minuti: iniziate, come sempre, a lavare e pulire il peperone, togliamo i semini e i filamenti bianchi al suo interno, tagliamolo a pezzettoni e inseriamolo in un mixer e diamo una prima frullatina. Aggiungiamo la ricotta, il sale e il pepe. Facciamo andare il mixer fino a quando non abbiamo raggiunto la consistenza di una cremina. Assaggiate per vedere se il gusto e la consistenza è di vostro gradimento, nel caso il gusto risultasse molto deciso addolcite con altra ricotta. Ora non rimane che scolare la pasta e saltare il tutto in padella. Buon Appetito!

La crema pasticcera al caffè: pronta in 5 minuti e con solo 110 calorie!

Tra l’altro si tratta di una ricetta molto semplice e che non richiede una lista degli ingredienti troppo lunga. Non solo. Una volta imparata la tecnica di base, la puoi personalizzare coi gusti che più ti piacciono. Ma anche se ti limiti al caffè, questo ti assicura un gusto pieno e intenso e una aroma inconfondibile. Ma veniamo alla ricetta. Gli ingredienti Per tre porzioni ci vogliono: 500 ml di latte; 3 cucchiai di farina; 70 grammi di stevia o 3 cucchiai di zucchero di canna o semolato; 2 tazzine di caffè ristretto (o due cucchiai di caffè solubile); due rossi d’uovo. La preparazione La prima cosa è preparare il caffè. Per questa ricetta è essenziale che il caffè sia fresco e anche piuttosto forte e concentrato. Nel mentre il caffè si fredda, bisogna mescolare i rossi con la stevia (o con lo zucchero semolato) e lavorare il tutto con una frusta a mano fino a ottenere una spuma ariosa, chiara e leggera. A questo punto aggiungi il latte e il caffè. Poi setacci la farina e la aggiungi a poco a poco al composto uova-zucchero-latte-caffè, facendo in modo che non rimangano grumi. Dopodiché si mette tutto in una pentola e si fa cuocere a fiamma bassa mescolando costantemente, se possibile con un un cucchiaio di legno. Quando la crema sta per bollire, la togli dal fornello e prosegui a mescolare fino a che raggiunge la giusta densità. Poi metti tutto a rassodare in frigo, non senza aver sigillato con della pellicola per alimenti.

mercoledì 8 settembre 2021

Bon bon al cioccolato: bellissimi, pronti in 10 minuti con 3 ingredienti!

Scritto da Francesca Questi bon bon al cioccolato non sono solo bellissimi da vedere, sono davvero deliziosi da gustare. Facilissimi da realizzare, si preparano in 10 minuti con 3 soli ingredienti. Freschi e golosi, piaceranno a tutti in famiglia! Noi di Non Solo Riciclo vi presentiamo la ricetta base, voi potete decorarli e arricchirli ricorrendo alle vostra innata creatività culinaria: cocco rapé, cacao amaro, granella di nocciola, top al caramello, zuccherini colorati, qualsiasi nuova aggiunta regalerà ai vostri cioccolatini un tocco personale ed inconfondibile. Bon bon al cioccolato: ingredienti e preparazione Per realizzare questi cioccolati procuratevi: biscotti secchi, 150 g crema alle nocciole, 3 cucchiai formaggio fresco spalmabile, 150 g Con queste dosi, preparerete bon bon per 4 persone. Vista l’estrema facilità del procedimento, potete farvi aiutare dai vostri bambini, saranno felici di improvvisarsi pasticceri per un giorno! Inserite i biscotti nel frullatore, quindi tritateli finemente. Se preferite, metteteli in una busta per alimenti e polverizzateli con il batticarne. Trasferiteli ora in una ciotola e aggiungete il formaggio spalmabile e la crema alla nocciole. Amalgamate tutti gli ingredienti con un cucchiaio di legno, quando il composto risulterà omogeneo, proseguite impastando a mano fino ad ottenere una densità compatta e ben uniforme. Prelevatene una piccola noce, quindi realizzate una sfera e sistematela in un pirottino di carta usa e getta (di facilissima reperibilità presso qualsiasi supermercato). Procedete così fino a terminare tutto l’impasto. Questo è il momento di decidere se decorare i vostri bon bon o lasciarli tali e quali. Una volta giunte al termine di queste operazioni, sistemate le vostre palline di cioccolato in frigorifero e lasciatele rassodare per 2 ore almeno, quindi assaporate la loro fresca golosità. Buon appetito!

martedì 7 settembre 2021

Carbonara con la ricotta

Un piatto gustoso e dal sapore deciso. È la pasta alla carbonara con la ricotta. Una versione un po’ più ricca rispetto alla classica ricetta laziale formata da uova, pancetta e ricotta, appunto. Scopriamo come si prepara, in pochi e semplici passi, questa versione della carbonara che sta spopolando. Ricetta per 4 persone Tempo di preparazione: 5 minuti Tempo di cottura: 10 minuti Tempo totale: 15 minuti Ingredienti: 320 g di spaghetti o pasta corta 4 tuorli d’uovo 140 g di pancetta 30 g di pecorino 200 g di ricotta sale q.b. pepe q.b. Preparazione: Mettiamo a cuocere la pasta. Nel frattempo in una ciotola dividiamo i tuorli dalle chiare che potremo riutilizzare in altre ricette. Sbattiamo i tuorli e aggiungiamo il pecorino e una spolverata di pepe. In un padellino antiaderente cuociamo la pancetta per qualche minuto, fino a che non diventerà trasparente. Quando la pasta è cotta la scoliamo, versiamo sopra le uova. Quindi uniamo anche la pancetta e la ricotta. Aggiungiamo un paio di mestoli di acqua di cottura e mescoliamo bene fino ad ottenere una deliziosa cremina. Spolveriamo sopra del pepe nero e serviamo. LEGGI ANCHE –> Trucco da mamma: Un trucco per non mettere le uova ma far assumere alla pasta il tipico colore giallo è quello di utilizzare la curcuma. In questo modo però creeremo un piatto che ricorda solo nell’aspetto la vera carbonara, che come tutti sappiamo si prepara invece con le uova.

venerdì 3 settembre 2021

Spaghetti al Pomodoro

Gli ingredienti Per 2 persone: 200g di spaghetti 200g di pomodorini datterino Uno spicchio d’aglio Basilico fresco Olio, sale e pepe Come procedere Tagliate ogni pomodorino a metà, e cuoceteli con l’aglio, una punta di sale e un filo d’olio in forno, a 100°, per 2 ore. Poi togliete l’aglio e frullate i due terzi con del basilico a pezzi. Cuocete la pasta al dente, scolate e mescolate con pomodorini, salsa, altro olio, pepe e basilico a pezzi.

giovedì 2 settembre 2021

Spaghetti all'Amatriciana

Difficoltà: FACILE Preparazione: 30 MIN Dosi: 5 PERSONE INGREDIENTI 500 g di spaghetti 125 g di guanciale di Amatrice un cucchiaio di olio di oliva extravergine un goccio di vino bianco secco 6 o 7 pomodori San Marzano o 400 g di pomodori pelati un pezzetto di peperoncino 100 g di pecorino di Amatrice grattugiato sale PREPARAZIONE Quando si parla di amatriciana ci si emoziona e... ci si accalora! Le diatribe riguardano soprattutto gli ingredienti da usare: amatriciana con cipolla o senza? Nell’amatriciana si mette l’aglio? Pancetta o guanciale? Il peperoncino ci vuole? E il prezzemolo? Pasta lunga o pasta corta? Le domande sono tante, ma la ricetta originale dell’amatriciana è una sola, depositata proprio al Comune di Amatrice. AMATRICIANA: INGREDIENTI Iniziamo a sciogliere i primi dubbi: nella ricetta originale dell’amatriciana non c’è la cipolla né tantomeno meno l’aglio. Gli ingredienti principali sono esclusivamente guanciale, pomodori e formaggio pecorino grattugiato. Il formato di pasta? La ricetta di Amatrice prevede gli spaghetti e non i bucatini. AMATRICIANA, RICETTA ORIGINALE DI AMATRICE: PROCEDIMENTO Mettete in una padella, preferibilmente di ferro, l’olio, il peperoncino ed il guanciale tagliato a pezzetti. “La proporzione di un quarto, rispetto alla pasta, é tradizionale e sacra per gli esperti e, o si mette il guanciale, vale a dire la parte della ganascia del maiale, o non sono spaghetti all’amatriciana, solo con esso avranno una delicatezza e una dolcezza insuperabili”. Rosolate a fuoco vivo e sfumate con il vino. Togliete dalla padella i pezzetti di guanciale, sgocciolate bene e teneteli da parte, possibilmente in caldo. In questo modo si evita il rischio di farli diventare troppo secchi o salati e resteranno più morbidi e saporiti. Unite i pomodori tagliati a filetti e puliti dai semi (meglio prima sbollentarli, per rimuovere più facilmente la pelle). Aggiustate di sale, mescolate e cuocete per qualche minuto. Togliete il peperoncino, aggiungete nuovamente i pezzetti di guanciale e mescolate la salsa. Cuocete intanto gli spaghetti bene al dente, in abbondante acqua salata. Scolate la pasta e mettetela in una terrina aggiungendo il pecorino grattugiato. Attendete qualche secondo e poi versate la salsa. Mescolate e, se lo desiderate, aggiungete altro pecorino. Come tutte le ricette della nostra splendida cucina italiana, anche l’Amatriciana si presta a diverse interpretazioni: c’è chi preferisce non utilizzare il peperoncino, chi fa rosolare il guanciale nel suo stesso grasso senza aggiungere olio e chi non sfuma con il vino. Non vi resta che decidere se seguire la ricetta di Amatrice o la vostra creatività. AMATRICIANA: ORIGINI E CURIOSITÀ Una volta chiariti tutti i dubbi sulla ricetta originale dell’amatriciana, possiamo passare ad alcune curiosità sulla sua origine. Lo sapevate che l’amatriciana è nata in bianco? Solo verso la fine del 1700, con l’arrivo del pomodoro, si tinge di rosso. Ne parla per la prima volta il cuoco Francesco Leonardi nel suo Apicio Moderno (1790), spiegando come l’amatriciana sia l’evoluzione della gricia con l’aggiunta del pomodoro. Fino al 1927 Amatrice faceva parte della provincia dell’Aquila, quindi l’amatriciana non è propriamente una ricetta della cucina romana. Furono i pastori, con i loro spostamenti stagionali legati alla transumanza, a portare questo piatto verso le campagne romane. Pare che la sua diffusione definitiva fu sancita dall’emigrazione degli amatriciani a Roma a causa della crisi della pastorizia e il loro conseguente impiego nella ristorazione. Il resto è tutto merito della bontà del sugo, che l’ha reso popolare a partire dall’Ottocento e trasformata in un classico intramontabile. Preparazione Mettere in una padella, meglio se di ferro, il guanciale tagliato a pezzetti (in proporzione di un quarto rispetto alla pasta), un pezzetto di peperoncino e un goccio d’olio. Rosolare a fuoco vivo. Togliere dalla padella i pezzetti di guanciale, sgocciolare bene e tenerli da parte possibilmente in caldo (così si evita il rischio di farli diventare troppo secchi e salati). Unire i pomodori tagliati a filetti e puliti dai semi (meglio prima sbollentarli, cosi si toglierà più facilmente la pelle). Aggiustare di sale, mescolare e cuocere per qualche minuto a fuoco vivo. Rimettere dentro i pezzetti di guanciale, dare ancora una rigirata alla salsa. Lessare intanto la pasta, bene al dente, in abbondante acqua salata. Scolarla e metterla in una terrina aggiungendo il pecorino grattugiato. Attendere qualche secondo e poi versare la salsa. Rigirare e aggiungere, a piacere, altro pepe e pecorino.

venerdì 27 agosto 2021

PASTA E FAGIOLI CREMOSA con fagioli in scatola

Io adoro i legumi e li cucino spesso, è ottima questa pasta e fagioli resta cremosa e con un profumo di rosmarino delizioso, facile da fare e ottima come primo piatto, ideale per tutta la famiglia! PASTA E FAGIOLI CREMOSA INGREDIENTI: 1 cipolla rosmarino fresco q.b. 300 g. di fagioli borlotti precotti 300 g. di ditalini rigati 1 litro di brodo vegetale 120 g. di passata di pomodoro olio extra vergine d’oliva q.b. PROCEDIMENTO: Per prima cosa preparate un bel brodo vegetale con carote, sedano e cipolla e mettetelo da parte fino al momento che vi servirà utilizzarlo, versate in una pentola larga e capiente dell’olio extra vergine d’oliva e fate rosolare dentro una cipolla tritata, unite i fagioli e fate insaporire un pochino, aggiungete poi la passata di pomodoro e il brodo coprendo il tutto, fate cuocere a fuoco dolce per 20 minuti circa. Girate e controllate ogni tanto per evitare che si possano attaccare alla pentola, togliete un po’ di fagioli e frullateli con un minipimer, versateli nuovamente nella pentola e aggiungete altro brodo caldo e rosmarino, unite la pasta, portate a cottura e servite la pasta e fagioli bella calda con un filo di extra vergine d’oliva a crudo accompagnata da crostini di pane..e buon appetito! N.B. Se preferite usare i fagioli secchi metteteli a bagno la sera prima in una ciotola larga!

sabato 14 agosto 2021

Il senso dei Millennials per i surgelati: dal pesce alla pizza, cosa mangiano gli under 40

di Oriana Davini Aumenta il consumo di alimenti surgelati tra i Millennials: dal pesce alle patatine fritte, passando per pizza e verdure, in Italia otto under 40 su 10 mangiano surgelati abitualmente e il 26% ne ha raddoppiato il consumo in questi mesi. È la fotografia scattata da IIAS – Istituto Italiano Alimenti Surgelati, che ha commissionato un’indagine a Doxa con l’obiettivo di analizzare l’approccio dei 13 milioni di italiani nati tra il 1980 e il 1995 alla spesa alimentare e alla cucina, con un focus sul loro atteggiamento verso i prodotti del banco freezer. Indice Millennials e alimenti surgelati La spesa degli under 40 Spinaci, i più amati 10 cose da sapere sui surgelati Related posts: Millennials e alimenti surgelati Il trend non è solo italiano, anzi. Già il quotidiano britannico The Guardian aveva evidenziato in un articolo l’aumento del consumo di surgelati tra i Millennials inglesi così come negli Stati Uniti si è registrato un aumento del 9% in più di consumo dei surgelati tra gli under 40 rispetto ad altre fasce di età. Il motivo? Gli alimenti sotto zero rispondono non solo ai bisogni alimentari dei giovani italiani ma si adattano anche al loro stile di vita. La spesa degli under 40 surgelati Millennials Lo dimostrano i numeri: secondo l’indagine Doxa – IIAS il 91% dei Millennials ama fare la spesa per tutta la famiglia ma solo il 5% degli under 40 la fa online, contrariamente a quel che si potrebbe pensare. Alta l’attenzione prestata ai prodotti acquistati così come la voglia di cucinare. E i surgelati? Finiscono nel carrello della spesa del 99% dei Millennials, il 77% dei quali li consuma almeno una volta alla settimana. C’è anche una frangia di appassionati che li porta in tavola almeno due volte a settimana. L’emergenza sanitaria, com’è prevedibile, ha fatto lievitare ulteriormente queste percentuali: durante il lockdown in Italia il 26% degli under 40 ha raddoppiato il consumo di surgelati e il 36% ne ha aumentato il consumo un po’ più del solito. Spinaci, i più amati I prodotti più acquistati? Al primo posto ci sono i vegetali (48%), spinaci in testa, seguiti da legumi come fagiolini e piselli (30%). Quindi il pesce, sia lavorato (46%) che naturale (42%), le patatine fritte (35%) e la pizza (25%), oltre al gruppo minestroni, zuppe e vellutate (24%). 10 cose da sapere sui surgelati surgelati Millennials Amati e consumati, quindi, ma ancora avvolti da una patina di falsi miti e scarsa conoscenza che a volte porta a ritenere i surgelati alimenti di serie B. “La ricerca conferma che i giovani amano gli alimenti surgelati e li scelgono per la loro versatilità in cucina (62% del campione), perché rendono sempre disponibile, anche fuori stagione, diversi alimenti (57%) e perché aiutano ad evitare gli sprechi (35%) – spiega Vittorio Gagliardi, portavoce di IIAS – Istituto Italiano Alimenti Surgelati -. Eppure solo il 14% degli intervistati li acquista pensando che abbiano le stesse caratteristiche nutrizionali dei prodotti freschi”. Ecco allora 10 cose da sapere sui surgelati per cucinarli al meglio: Congelato non significa surgelato. I prodotti surgelati subiscono un congelamento ultrarapido a -18°C che lascia intatte le proprietà nutrizionali, mentre i cibi congelati sono portati a temperature tra -7°C e -12°C e poi conservati tra -10°C e -30°, cosa che al momento dello scongelamento comporta una parziale perdita dei valori nutritivi e organolettici. A casa non si può surgelare, perché è una tecnica prettamente industriale. Possiamo invece congelare un prodotto precedentemente scongelato ma solo dopo averlo cotto. Nei surgelati non ci sono conservanti: lo impone la legge perché basta il freddo a garantire la lunga conservazione di questi alimenti. Il colore brillante delle verdure surgelate è dovuto al trattamento termico che avviene prima della surgelazione e non all’aggiunta di coloranti. Verdure surgelate e fresche hanno le stesse vitamine e gli stessi nutrienti. In alcuni casi, anzi, i surgelati hanno proprietà nutrizionali migliori perchè tra la raccolta e il processo di surgelazione passano poche ore. Pesce surgelato e fresco hanno gli stessi nutrienti. I prodotti ittici surgelati sono pescati nei mari più puliti e profondi del mondo, lontano dalle coste, e subito lavorati. Le normative di riferimento hanno imposto regole molto rigide, che fanno anche dell’imballaggio contenente il prodotto un modello di trasparenza totale, riportando l’area di pesca, il momento della prima surgelazione, la scadenza, le valenze nutrizionali, il produttore. È interesse di tutti gli operatori garantire la qualità del prodotto e rispettare la catena del freddo, composta da una serie di procedure, regole e tecniche che servono a preservare e garantire la massima qualità del prodotto, dalla produzione al trasporto, fino alla vendita. I cibi surgelati sono un alleato contro lo spreco di cibo e amici dell’ambiente. La lunga durata di conservazione permette di consumarli prima che si deteriorino e di usare solo il quantitativo di cui abbiamo bisogno. Inoltre richiedono meno acqua perché non è necessario lavarli e serve meno energia per cuocerli. È possibile risparmiare grazie all’acquisto di surgelati. Questi prodotti vengono raccolti, pescati e lavorati nei momenti più convenienti e nelle stagioni giuste, anche dal punto di vista economico. Inoltre, con il surgelato si mangia il 100% di ciò che si acquista, lasciando alle aziende spine, squame, viscere e scarti di ogni genere. Le verdure surgelate aiutano i bambini a superare la verdurofobia. Presentare le verdure in piatti cromaticamente divertenti o con formati creativi come polpette e frittate è un valido aiuto. E poi permettono ai bambini di mangiare tutto l’anno i loro ortaggi preferiti. Al ristorante i prodotti con l’asterisco (*) non rappresentano un ripiego. Il surgelato viene adoperato nella ristorazione perché sinonimo di sicurezza e qualità in tutti i periodi dell’anno, anche e soprattutto in quelli in cui una determinata materia prima non è di stagione. Pertanto, l’“asterisco” che si trova nei menù dei ristoranti è semplicemente garanzia di alta qualità e assoluta igienicità del cibo che viene offerto. Related Posts: Italiani “fish lovers”: 1 su 5 lo sceglie surgelato Surgelati: 10 cose da sapere per sfatare le fake news Back to school col salame Dop e Igp: ecco perché portarlo a merenda Dietro le quinte del food delivery, trend del momento: la parola ai ristoranti

martedì 6 luglio 2021

Come fare il Pollo Fritto Perfetto

https://video.lastampa.it/il-gusto/ricette/oggi-e-il-fried-chicken-day-ecco-i-segreti-per-preparare-il-pollo-fritto-perfetto/141586/141841?ref=LSHSP1-DF-S1-T1

domenica 4 luglio 2021

I PEPERONI TE SE RIPROPOGNONO, MA QUANTO SO’ BUONI

4 LUG 2021 13:00 Gemma Gaetani per "la Verità" – LO SAPEVATE CHE IL PEPERONE VERDE E’ SOLO UN PEPERONE DI UN ALTRO COLORE “CHE NON CE L’HA FATTA”? E L’ORIGINE DELLA PAROLA “CAPSICUM”? – IL PEPERONE E’ ANCHE L’ORTAGGIO PIU’ UTILIZZATO NELLA LINGUA ITALIANA (E NON SOLO) , DA “ROSSO COME UN PEPERONE” A SINONIMO PER DESCRIVERE IL SESSO MASCHILE – PIENI DI NUTRIENTI E VITAMINE ESSENZIALI PER IL SISTEMA IMMUNITARIO, SONO IDEALI PER IL CALDO ESTIVO. E SE VI RISULTANO UN PO’ PESANTI, PROVATE A… - VIDEO Il peperone è una pianta erbacea annua alta 100-150 centimetri, con bei fiori bianchi, solitari ossia uno per ascella fogliare e cadenti, coltivata per i frutti commestibili a bacca che possono essere di colore verde, rosso, arancione o giallo, più raramente viola, e di sapore dolce o piccante. Dal punto di vista del genere e della specie, il peperone e alcuni tipi di peperoncino sono la stessa cosa: il genere è infatti per tutti il Capsicum e la specie annuum, della grande famiglia delle Solanacee. Sono per esempio peperoncini della specie Capsicum annuum il pepe di Caienna, lo jalapeño, il serrano, il thai, il peperoncino calabrese, il peperoncino nero (detto anche violetto fuoco nero, mentre l' habanero appartiene alla specie Capsicum chinense e il tabasco alla specie Capsicum frutescens). Quelle che noi chiamiamo semplicemente peperone sono altre varietà della specie Capsicum annuum che, diversamente da quelle dei peperoncini, non contengono la capsaicina, responsabile della piccantezza del peperoncino: un peperone ha valore zero nella scala di Scoville, che misura la piccantezza. La specie Capsicum annuum è la più coltivata al mondo tra le specie del genere capsicum, il quale prende il nome dal latino capsa, cioè «scatola», perché, a prescindere dalla forma, che può essere allungata, conica, prismatica o globosa, la bacca del peperone, senza succo, rassomiglia a un contenitore il cui unico contenuto sono, appunto, i semi racchiusi in un tessuto detto placenta di colore bianco (nelle varietà piccanti, la capsaicina è prodotta da ghiandole situate tra la parete del frutto e la placenta, che ne è ricca, mentre i semi sono ricoperti in superficie di capsaicinoidi, ma ne sono privi all' interno, perciò non sono piccanti quanto la placenta, inoltre poca altra capsaicina si trova nelle parti carnose dei frutti). La parola peperone deriva dal latino piper, cioè «pepe». Il peperone è un frutto della terra molto bello anche per la sua varietà cromatica: quello verde, però, è semplicemente un peperone giallo, arancio, rosso o viola colto anzitempo. La sequenza cromatica della maturazione è proprio questa: verde da acerbo, giallo/arancio mediamente maturo, rosso/viola maturo. Oggi, comunque, esistono varietà che a maturazione compiuta raggiungono uno solo di questi colori. Metafore e sfottò Si usa molto, oggigiorno, l' espressione comparativa negativa «Tizio è un Caio che non ce l' ha fatta». Il giornalista Andrea Scanzi ha scritto di Carlo Calenda che «è come un Renzi che non ce l' ha fatta, cioè uno che non ce l' ha fatta due volte, però lui resiste e insiste come Rocky Balboa» e Matteo Renzi scrisse del suo omonimo: «Salvini che diffonde le foto delle sue cene è un' aspirante webstar, è una Chiara Ferragni che non ce l' ha fatta». Togliendo da questo tormentone linguistico lo snobismo col quale spesso viene usato e citandola in maniera neutrale, possiamo allora affermare che il peperone verde è un peperone di altro colore che non ce l' ha fatta - per scelta del coltivatore! - a maturare. Il peperone ricorre più di altre verdure, nella nostra lingua, in similitudini: si dice «diventare rosso come un peperone» nel senso di arrossire, oppure «a peperone», del naso, per intenderlo lungo e grosso. Forse per questo, il peperone è anche usato come sinonimo scherzoso per il sesso maschile: nella leggendaria canzone Servi della gleba, l' amico del protagonista innamorato di una ragazza che non lo ricambia (ma lui non lo ha ancora capito), gli chiede: «Le hai mostrato il popparuolo?» e lui, povero illuso, gorgheggia convinto: «No, ma ho buone possibilità». Quella della canzone del gruppo Elio e le storie tese è una citazione: già gli Squallor avevano Le nostre similitudini, comunque, sono tutte nostre: in inglese, pur esistendo il concetto (e pure, declinato al plurale, il gruppo musicale omonimo) del red hot chili pepper, cioè del peperoncino, non si dice «red as a pepper», ma «red as a beetroot» o «as a lobster», cioè come una barbabietola o un' aragosta. Il peperone è però protagonista di una bella filastrocca scioglilingua inglese registrata al n. 19745 del database di canzoni della tradizione orale Roud folk song index, Peter Piper, che dice: «Peter Piper picked a peck of pickled peppers./ A peck of pickled peppers Peter Piper picked./ If Peter Piper picked a peck of pickled peppers,/ Where' s the peck of pickled peppers Peter Piper picked?». La prima comparsa su carta di Peter Piper risale al 1813, nel Peter Piper' s practical principles of plain and perfect pronunciation di John Harris, una raccolta con uno scioglilingua per ogni lettera alfabetica, ma in versione orale era già nota da almeno una generazione. Secondo alcuni Peter Piper è la traslazione inglese del nome francese Pierre Poivre, botanico e missionario che per primo investigò il potenziale delle Seychelles per la coltivazione delle spezie. Ma Peter Piper era anche il nome col quale era conosciuto Aston Dalzell Piper, capitano della Royal naval reserve britannica della seconda guerra mondiale, ed è anche il titolo di una canzone del gruppo Run Dmc, e il nome che ha ispirato quello della catena di pizzerie statunitensi con aree giochi Peter Piper Pizza. Negli Stati Uniti, pepperoni non vuol dire peperoni: è un salame arricchito con paprika o altri tipi di peperoncino e la «pizza pepperoni» è un grandissimo classico che indica una margherita con fette di questo salame, di invenzione italo-americana tardo ottocentesca, che somiglia molto alla salsiccia secca piccante di Napoli o alla soppressata della Calabria, ma con grana più fina, simile a quella del salame Milano. La pizza pepperoni è la più prodotta negli Stati Uniti, dove si consumano 251,7 milioni di libbre di pepperoni all' anno, sul 36% di tutte le pizze prodotte a livello nazionale. Per un italiano, chiamare «pepperoni» il salame è buffo: spesso, nei film americani nei quali compare la pizza pepperoni, il doppiaggio traduce «pizza ai peperoni». Al contempo, in molti ristoranti e pizzerie d' Italia con clientela straniera, nella traduzione inglese del menù ora compare la parola «pepperoni» al posto di «salami» o «hot sausage» per indicare la pizza col salame piccante. Da Napoli alla Svezia D' altronde, anche noi abbiamo il nostro bel daffare coi nomi di peperoni: in Italia si chiamano «friggitelli» quelli che in America chiamano «pepperoncini», cioè i peperoni verdi piccoli e non piccanti, specialmente conservati sottaceto. Ma fate attenzione quando ordinate in Campania o nei ristoranti e pizzerie campane disseminate per lo Stivale, perché potreste scambiare i «friarielli» del menu partenopeo per i «friarelli»: ricordatevi che in napoletano i friarelli sono i friggitelli, ossia, all' americana, i pepperoncini, mentre i friarielli, chiamati anche broccoletti a Roma, broccoli di rapa in Calabria, cime di rapa in Puglia, rapini in Toscana o pulezze nell' Aretino e in Valdichiana, sono le infiorescenze appena sviluppate della cima di rapa. Per concludere la rassegna linguistica, ci sembra rilevante ricordare che esistono anche i fefferoni o feferoni: sono i «pepperoncini» in Svezia e Slovenia! Il peperone si consuma sia fresco, crudo come cotto, che secco, come nel caso del peperone crusco. Originario del continente americano, arriva in Europa col pomodoro nel Sedicesimo secolo grazie alle spedizioni spagnole e portoghesi e attecchisce presto, col nome ora scomparso di «pepe del Brasile». I valori nutrizionali del peperone possono variare in base alle diverse varietà, perciò abbiamo fatto una media di alcuni valori del peperone giallo, rosso e verde. Per 100 grammi di peperone abbiamo soltanto 26 calorie, che ne fanno un contorno leggerissimo; 92,7 grammi di acqua, quindi ottima fonte alimentare di idratazione; 5,6 grammi di carboidrati di cui 2,4 di zuccheri nel verde e 4,2 nel peperone rosso, che infatti risulta più dolce al palato; 0,34 grammi di grassi; 0,95 grammi di proteine; 1,5 grammi di fibre. C' è poi una quota rilevante di vitamina C, che aiuta a rafforzare il sistema immunitario ma anche a sintetizzare il collagene, la proteina più importante del corpo, così mantenendo integri vasi sanguigni, pelle e ossa. Ne abbiamo 80,4 milligrammi nel verde, 127,7 nel rosso e ben 183,5 nel giallo. Il verde ha il doppio della vitamina C di un' arancia, il giallo e il rosso il triplo. Importante è anche l' apporto di provitamina A cioè i carotenoidi. Sono pigmenti che troviamo in piante, alghe e alcuni batteri e sono considerati precursori della vitamina A perché animali e esseri umani che se ne cibano li trasformano in retinolo, cioè vitamina A. Esistono oltre 600 tipi di carotenoidi e si dividono in due classi, caroteni e xantofille: tra i primi (alfa e betacarotene e licopene) e i secondi (come criptoxantina, luteina e zeaxantina), i nostri peperoni ci forniscono un buon quantitativo di provitamina A, rispettivamente più alto nel peperone verde, poi giallo e infine rosso. Integratori naturali La vitamina A fortifica il sistema immunitario, aiuta la vista coadiuvando la visione notturna, protegge la pelle dai danni dell' esposizione solare, è un potente antiossidante perché combatte i radicali liberi responsabili dell' invecchiamento cellulare e protegge anche dal cancro, soprattutto da quello alla prostata. La vitamina A si trova negli alimenti di origine animale in forma definitiva di retinolo e in quelli di origine vegetale nella forma dei carotenoidi. Alcune vitamine sono termolabili, cioè la cottura ne diminuisce la bioaccessibilità. Lo è anche la provitamina A, ma non del tutto. Se una parte si degrada, la cottura rende il resto più accessibile. Essendo poi liposolubile - cioè si scioglie nei grassi e non nell' acqua -, basta aggiungere anche solo 1 cucchiaino cioè 5 grammi di olio extravergine di oliva (o burro) perché la provitamina A dei peperoni, cotti come crudi, diventi anche più biodisponibile, cioè più assorbibile da parte dell' intestino. Di contro, nel peperone verde abbiamo più clorofilla rispetto agli altri colori. Anch' essa è molto utile, in sinergia coi carotenoidi, per le sue proprietà antianemiche, ancora antiossidanti e antitumorali. In particolar modo il carotenoide beta-criptoxantina pare utile come preventivo del tumore ai polmoni nei soggetti a rischio e la clorofilla parrebbe ridurre l' assorbimento gastrointestinale di sostanze cancerogene, come idrocarburi aromatici del fumo di tabacco o le ammine eterocicliche, gli idrocarburi policiclici aromatici e l' acrilamide dei cibi bruciati e bruciacchiati, che hanno un ruolo nel cancro dello stomaco. Quanto ai sali minerali, abbiamo un buon quantitativo di magnesio (composto della clorofilla, ce ne sono 10 milligrammi nel verde, 12 nel giallo e nel rosso) e uno ancora migliore di potassio (175 milligrammi nel verde, 212 nel giallo, 211 nel rosso), alleati contro la stanchezza in generale e da caldo estivo che sono venduti in combo in integratori da farmacia e che possiamo invece assumere grazie ai peperoni. Si ritiene che i peperoni siano indigesti. In realtà, ad essere di difficile digestione rispetto alla polpa è la buccia. Se avete avuto problemi di appesantimento, provate a spellarli o, se amate mangiarli crudi anche per preservare tutta la vitamina C, semplicemente non mangiatene troppi. Condividi questo articolo

giovedì 1 luglio 2021

Pesce, come pulirlo, tagliarlo e sfilettarlo. La guida completa

di CHIARA AMATI Il pesce? Tra gli alimenti più cucinati a casa nell’ultimo anno e mezzo. Se un tempo la pratica della pulizia, del taglio e della sfilettatura scoraggiava, oggi si scopre che non è poi così difficile. Basta conoscere le tecniche giuste. Ecco una guida completa Pesce, come pulirlo, tagliarlo e sfilettarlo. La guida completa Il pesce? In pandemia, la metà degli italiani ne ha incrementato il consumo. E a oggi è terzo nella hit degli alimenti in crescita dietro soltanto a pasta e verdure. A dirlo è un recente studio — «Acquacoltura e Covid-19: quali impatti sui consumi?» — condotto da Crea Marketing Consulting per conto dell’Associazione Piscicoltori Italiani secondo cui le ripetute chiusure dovute al virus hanno sortito variazioni persino nel modo di prepararlo a casa: più raffinato e gourmet. Insomma il pesce piace. E fa bene. In genere lo si preferisce fresco e già pulito dal pescivendolo di fiducia. Ma, per chi avesse voglia di cimentarsi in squamatura, eviscerazione, sfilettatura & co., ecco un elenco di nozioni pratiche per una pulizia più semplice di quanto si possa immaginare. Pulizia del pesce: preliminari Punto primo: durante la preparazione accertatevi di seguire scrupolosamente le norme igieniche. Lavatevi spesso le mani con un buon detergente; tenete i pesci sul tavolo di lavoro lo stretto necessario per la preparazione; utilizzate un tagliere ben igienizzato e dedicato solo alla pulizia. Pulizia del pesce: le tecniche base L’avete acquistato fresco e integro: ora dovete pulirlo. È infatti sempre preferibile conservare il pesce già pulito, perché i visceri accelerano i processi di decomposizione e lo sviluppo dei microrganismi nel pesce stesso. Ecco come sgrossare: tagliate le pinne, grattate via le squame, eliminate dal pesce le interiora, lavatelo e asciugatelo. Se non lo preparate subito, riponetelo in frigorifero. Pulizia del pesce: la sbarbatura Munitevi di un paio di forbici da pesce, in acciaio inossidabile e di costruzione robusta, con lame corte per un taglio più preciso su pinne o per tagli consistenti. Attenzione all’impugnatura: deve essere ergonomica e garantire una buona presa anche con le mani bagnate. Cominciate eliminando le due pinne pettorali, la pinna dorsale e la pinna ventrale. Quindi pareggiate la coda tagliandola in linea dritta. Per questa operazione è bene proteggersi le mani con dei guanti, meglio se specifici per pesce: le pinne di alcuni pesci possono contenere sostanze irritanti. Pulizia del pesce: la squamatura Si tratta di un’operazione piuttosto invasiva, nel senso che in genere sporca tutta la cucina: le squame grattate saltellano, infatti, un po’ ovunque. E la loro natura viscida fa sì che non si riesca a ripulire così agevolmente. Motivo per cui consigliamo, se ne avete occasione, di rivolgervi al vostro pescivendolo di fiducia e farvi aiutare da lui. In alternativa potete lavorare tenendo il pesce dentro a un secchio piuttosto capiente così da limitare la dispersione delle squame. Avete due modi per procedere. Il primo prevede l’uso di un apposito squamatore. Nella fattispecie, grattate la pelle del pesce partendo dalla coda verso la testa: evitate di lacerarla. Prestate particolare attenzione, poi, alla zona ventrale e alla base della testa: vengono spesso trascurate. Se non disponete di uno squamatore, potete munirvi di guanti abrasivi pulisci-pesce, di quelli realizzati in nylon abrasivo: puliscono dai pesci ai frutti di mare, dai molluschi alle ostriche. E sono dotati di inserti in gomma che squamano, strofinano e puliscono, proteggendo le mani da tagli e cattivi odori. L’uso del coltello per squamare il pesce (foto iStock) L’uso del coltello per squamare il pesce (foto iStock) Pulizia del pesce: l’eviscerazione Questa operazione varia in base alla tipologia di pesce. Che può essere piatto o fusiforme. Se piatto, procedete facendo un’incisione di qualche centimetro nella parte ventrale. Quindi eliminate i visceri e grattate con un dito la parte sanguinolenta che si trova alla base della testa. Se fusiforme, sollevate invece gli opercoli (e cioè le coperture poste a protezione delle branchie) ed eliminate le branchie. Poi introducete le dita per staccare i visceri e asportarli delicatamente: se non escono tutti, praticate una piccola incisione a livello anale e togliete i rimanenti. Questa tecnica lascia integro il pesce che, in fase di cottura, resterà più compatto. Attenzione, però: se non siete sicuri di averlo pulito bene, procedete nel modo tradizionale. Con le forbici aprite la parte ventrale ed eliminate tutti i visceri. Procedura da seguire sempre nel caso di trota e salmone: in questo modo si raschia bene la lisca centrale dal sangue che vi rimane coagulato. Pulizia del pesce: lavaggio e asciugatura Dopo aver eseguito le operazioni fin qui descritte, procedete con il lavaggio e l’asciugatura del pesce. Lavate il pesce in acqua fredda corrente, facendo scorrere il liquido anche dentro la bocca. Lasciatelo sgocciolare per bene, quindi asciugatelo subito dentro e fuori. La maggior parte del grasso nei pesci si localizza, infatti, sotto la pelle. Una asciugatura accurata agevola l’eliminazione dei grassi in cottura. A questo punto potete procedere con la spellatura. Ecco le principali tecniche e i relativi tipi di pesce. Spellatura del pesce: la sogliola Con la punta di un’unghia o uno spelucchino sollevate un lembo di pelle nella zona dorsale vicino alla testa. Con una mano tenete fermo il pesce, con l’altra tirate la pelle verso la coda in modo che si distacchi del tutto. Girate la sogliola e levate l’altra pelle nello stesso modo. Potete anche sollevare la pelle nei pressi della coda e tirarla poi verso la testa. Noterete che la pelle scura si stacca più facilmente di quella chiara. Se si incontrano difficoltà anche nell’eliminare la pelle scura, significa che il pesce è molto fresco. Spellatura del pesce: l’anguilla Questa operazione richiede una buona dose di abilità. Se l’anguilla è ancora viva, come dovrebbe essere, occorre prima tramortirla. Quindi, strofinate l’anguilla con della farina gialla per togliere un po’ di viscosità e incidete la pelle attorno alla testa. Appendete il capo a un gancio e sfilate la pelle tirando energicamente i lembi staccati. Per lavorare meglio, aiutatevi con un guanto o con un panno. Spellatura del pesce cotto Se la pelle del pesce non è molto spessa, grattatela aiutandovi con uno spelucchino. In caso contrario incidetela tutta intorno, quindi sollevatela con entrambe le mani: fate in modo di non scalfire la carne. La parte grigiastra che appare sotto la pelle in certi pesci, come ad esempio il salmone, è il grasso che può essere facilmente eliminato grattandolo via con lo spelucchino. L’operazione di spellatura risulta più facile quando il pesce viene tolto dal liquido di cottura. Attenzione: se la pelle si secca, si stacca con maggiore difficoltà. La sfilettatura del pesce La tendenza a sfilettare il pesce è piuttosto recente: si sviluppa in particolare attorno agli anni Settanta, con l’affermarsi della nouvelle cuisine, il cui punto di forza è la presentazione della vivanda sul piatto del commensale. Fino ad allora i pesci venivano in genere sfilettati solo per essere farciti, quindi ricostruiti nella forma originaria e presentati sul piatto da portata ben guarniti. La sfilettatura del salmone (foto iStock) La sfilettatura del salmone (foto iStock) Sfilettatura dei filetti di pesce Appoggiate il filetto sul tagliere dal lato della pelle. Aiutandovi con una coltella stretta, a lama lunga, sottile e abbastanza flessibile, staccate un lembo di pelle dalla carne nella parte terminale verso la coda. Tenete la pelle del filetto ben ferma con la sinistra e fate scivolare la lama del coltello tra la pelle e la carne, avanzando con un movimento avanti e indietro, fino al completo distacco della pelle. L’abilità consiste nel mantenere il coltello nell’inclinazione corretta. Se troppo inclinato si può lasciare della carne attaccata alla pelle. Se poco inclinato si corre il rischio di tagliare la pelle prima di aver finito la sfilettatura. Sfilettatura dei pesci fusiformi I pesci più utilizzati sono il salmone, la trota, il branzino e l’orata. Appoggiate il pesce sul tagliere avendo cura di riporlo sulla parte dorsale destra, con la coda verso di voi. Muniti di coltello per sfilettare, incidete la carne lungo la lisca centrale, partendo dalla testa e arrivando fino alla coda. Ripetete l’operazione fino alla separazione del primo filetto. Per ottenere il secondo filetto si può procedere in due modi: togliete la lisca centrale seguendola man mano con il coltello, oppure voltate il pesce appoggiando la lisca sul tagliere. Incidendo poi la carne attorno alla testa, fate passare la lama del coltello lungo tutta la lisca, rimanendo il più aderenti possibile. Ottenuti i due filetti, eliminate le lische: se sono rimaste le costole della gabbia toracica, fate scivolare il coltello con un movimento avanti e indietro tra le costole e la carne, fino a staccare l’intero pezzo. Attenzione a che non vi resti della carne attaccata. Su uno dei due filetti saranno presenti anche le piccole lische dorsali, che andranno staccate facendovi correre il coltello tenuto bene aderente. Infine per salmone e trota si devono eliminare le ultime lische piantate nella carne, lungo una linea che si trova circa al centro della parte più spessa del filetto. Per individuarle, fate scorrere la mano sul filetto, dalla testa verso la coda. Per estrarle aiutatevi, invece, con le apposite pinzette oppure con quelle da filatelico o da sopracciglia, purché abbiano la lama poco tagliente. Sfilettatura dei pesci rotondi da farcire Per questo tipo di preparazione, i pesci più utilizzati sono salmone e trota. Pulite il pesce eliminando i visceri dalle branchie e dalla bocca. Appoggiatelo dalla parte del filetto destro su un tagliere, con la coda rivolta verso di voi. Con il coltello per sfilettare, incidete la carne del dorso lungo i due lati della lisca centrale, lasciandola però unita sul ventre. Tagliate la lisca centrale con le forbici all’altezza della testa e a pochi centimetri dalla coda, quindi eliminatela. Per finire: lavate accuratamente il pesce, ormai pronto per essere farcito. I due filetti risulteranno infatti attaccati nella parte ventrale, ai lati della testa e ai lati della coda. Sfilettatura della sogliola Posate la sogliola spellata sul tagliere. Con il coltello per sfilettare, incidete la parte esterna dei due filetti, quindi lungo la lisca centrale, per tutta la sua lunghezza, in direzione testa-coda. Partendo dalla lisca centrale, fate scivolare la lama tra la carne e la spina, togliendo il primo filetto. Staccate allo stesso modo il secondo filetto. Girate il pesce e procedete in maniera identica fino a ottenere gli altri due filetti. Il taglio dei pesci Il taglio dei grossi pesci in trance è una pratica eseguita abitualmente, ma sempre più spesso anche i pesci da porzione vengono presentati in parti più piccole, come ad esempio i filetti. Taglio in trance (o darne) È un tipo di taglio in genere riservato ai grossi pesci fusiformi, come il salmone, il merluzzo, il tonno, l’abadeco, l’ombrina e il pesce spada. Dopo avere pulito il pesce, tagliatelo in trance dello spessore di circa 2-3 cm così da formare fette del peso di 200-250 g ciascuna. Se il pesce è stato tagliato lungo il ventre, le trance si presentano aperte: in questo caso potete fermare le due punte con uno stecchino per dare una forma più composta. Generalmente le trance vengono cotte alla griglia o affogate in court-bouillon. Tranci di pesce spada (foto iStock) Tranci di pesce spada (foto iStock) Taglio in tronconi I pesci piatti, come le sogliole, i rombi e le passere, vengono in genere privati della testa, divisi in due parti seguendo la lisca centrale, quindi tagliati trasversalmente. Per rendere l’idea, in maniera quasi perpendicolare alla lisca e in due tronconi del peso di circa 300-350 g ciascuno. I pesci rotondi lunghi e sottili, come l’anguilla, vengono invece tagliati in segmenti di 5-8 cm. La porzione che si ottiene è di circa 250 g. Le cotture più comuni per questi tagli di pesce sono quelle alla griglia e in umido. Taglio in scaloppa I filetti dei pesci di grandi dimensioni generalmente vengono tagliati in scaloppe del peso di circa 140-180 g ciascuna. Potete procedere in due modi diversi. Nel primo caso tagliate il filetto in fette oblique dello spessore di 1-2 cm: così facendo otterrete delle scaloppe di forma ovale. In alternativa potete dare al filetto una forma regolare, tagliando le parti più esterne, per poi formare alcuni rettangoli che, nelle zone più alte, potrete tagliare a metà, stando attenti a non superare lo spessore di 1,5 cm. Taglio a medaglione Munitevi di un coltello per sfilettare. Diliscate una trancia di pesce, facendo scivolare la lama lungo la spina dorsale e avendo cura di lasciare il pezzo unito nella parte alta. Spellate quindi con delicatezza le due strisce di polpa ventrale e ripiegatele verso il centro così da formare un disco regolare completamente avvolto dalla pelle del pesce. Per finire, fermate il medaglione ottenuto con un giro di spago da cucina. In alternativa, potete aiutarvi con due spiedini incrociati. Taglio a dadolata Per dare al filetto una forma regolare, pareggiate le parti più esterne servendovi di un coltello affilato ed eliminate il ventre, quindi formate dei dadi di uguale grandezza. I ritagli di pesce rimasti potranno essere utilizzati per farce, tartare o altro. Taglio a turbante È un tipo di taglio utilizzato quasi esclusivamente per i filetti di sogliola. Arrotolate il filetto attorno a un tagliapasta rotondo del diametro di circa 2 cm, quindi sfilatelo e procedete allo stesso modo con gli altri filetti. Per agevolare l’estrazione del tagliapasta, ungetelo leggermente con olio o burro oppure, in alternativa, avvolgetelo con carta da forno. I turbanti di pesce vengono generalmente farciti e cotti al vapore oppure affogati. Avete pulito, eviscerato, tagliato il vostro pesce. Ora potete procedere con la vostra ricetta preferita. Qui ne proponiamo alcune 30 giugno 2021 (modifica il 30 giugno 2021 | 07:48)