domenica 27 agosto 2017

Spaghetti all’amatriciana: la ricetta originale affidabile




INGREDIENTI

POMODORI PELATI 800 gr •
SPAGHETTI 400 gr •
GUANCIALE 200 gr •
OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA q.b. •
PEPE NERO q.b.
PEPERONCINO q.b.
SALE MARINO q.b. •
PECORINO 30 gr di romano •


Amatrice è famosa in tutto il mondo per la sua tradizione gastronomica che ha dato origine alla ricetta degli spaghetti all'Amatriciana anche se, negli ultimi mesi, il suo nome è associato al terribile terremoto che l'ha gravemente danneggiata.

Originariamente l'amatriciana ha il condimento in bianco ma, verso la fine del ‘700, con l'introduzione del pomodoro nelle ricette, il piatto è cucinato nella versione che, ancora oggi, si tramanda di generazione in generazione. Furono i pastori, che grazie agli spostamenti verso Roma legati alla transumanza, che portarono gli spaghetti all'Amatriciana nella capitale.

Pulite il guanciale e tagliatelo in listelli di un centimetro circa. Mettetelo in una padella di ferro con l'olio e fatelo rosolare per 6-7 minuti fin quando il guanciale non sarà divenuto trasparente. Mescolate costantemente per non farlo bruciare. Una volta rosolato, aggiungete il peperoncino e il pomodoro con un pizzico di sale e pepe.

Fate cuocere il sugo a fiamma moderata aggiungendo il pecorino grattugiato e mescolando di tanto in tanto. Fate amalgamare e spegnete il fuoco. Fate cuocere la pasta al dente, scolatela e unitela in padella al sugo con un po' di acqua di cottura per mantecarla per un minuto. Saltate gli spaghetti per amalgamarli al condimento e fate le porzioni.




giovedì 24 agosto 2017

Il ritorno della pajata. Quella vera

11/04/2016  Massimo Lanari SHARE

Dopo la liberalizzazione dello scorso anno, varate le nuove disposizioni per il consumo dell’intestino del vitello come prescrive la tradizione. Tra il Testaccio e Alberto Sordi, la storia di uno dei piatti simbolo della cucina romana
pajata
Dopo la liberalizzazione avvenuta lo scorso agosto, mancava ancora un tassello per farla tornare sulle tavole degli Italiani. A Roma, in particolare. Stiamo parlando della vera e autentica pajata. Come precisa Coldiretti, infatti, se il nuovo Regolamentto Ue 2015/1162 segnava già la definitiva fuoriuscita del famoso piatto a base di interiora dalle “catacombe enogastronomiche”(si poteva ritornare a commerciare l’intestino di vitello a patto che fosse pulito, svuotato e sbiancato), adesso, a seguito delle nuove disposizioni, l’intestino medio dei vitelli può anche essere utilizzato con il contenuto di chimo (latte), consentendo quindi il ritorno della ‘vera’ pajata”. Il divieto era entrato in vigore ai tempi della crisi di mucca pazza, ed è caduto dopo 15 anni. Da quando, cioè, l’Italia è stata dichiarata “a rischio trascurabile” per questa malattia: “’Italia con Giappone, Israele, Olanda, Slovenia e Usa, fa parte della ristretta cerchia di 19 Paesi, sui 178 aderenti all’Oie (l’Organizzazione mondiale della salute degli animali) ad aver raggiunto questo obiettivo.

Tra i divieti per la BSE ancora in vigore rimane, per la gastronomia italiana, solo il cervello di bovino adulto, ingrediente di un piatto della nostra tradizione come il cervello fritto alla fiorentina.

Il marchese e la pajata
Ma che cos’è la pajata, e perché è diventata uno dei simboli della cucina romanesca? Per “pajata” si intende innanzitutto la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte, pulito ed eviscerato ma non privato del latte (chimo), bevuto dal piccolo bovino, ora finalmente riabilitato. Inconfondibile, grazie al suo gusto forte, antico, popolare. È l’ingrediente di uno dei piatti più famosi della cucina romana: quei rigatoni con la pajata che Alberto Sordi, nella famosa scena dell’osteria nel Marchese del Grillo, definirà così all’affascinante ospite francese di inizio ‘800: “Questa è merda! È proprio merda. Merda de vitella: so’ budella”. Ma la raffinata ospite, prima di saperlo, li stava mangiando con gusto…

I rigatoni
Dunque, ecco la ricetta dei rigatoni con la pajata: si taglia l’intestino a pezzi formando ciambelle o piccole salsicce e si fanno cuocere in padella in olio extravergine d’oliva, sale, cipolla, carota, sedano, aglio e peperoncino. Il tutto si fa rosolare a fuoco basso per circa 10 minuti, sfumando con del vino bianco. Si aggiunge quindi la passata di pomodoro e si lascia cuocere per un paio d’ore, sempre a fuoco lento, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo dell’acqua calda se necessario , fino ad ottenere un sugo densissimo. A questo punto si fanno cuocere i rigatoni, che andranno ripassati in padella con l’aggiunta del pecorino romano.

Come secondo
I famosi rigatoni, però, non sono l’unico modo per preparare la pajata: si può preparare in umido, senza l’ausilio dei rigatoni; arrosto, cosparsa di strutto, cotta alla brace e condita con sale e pepe (modalità tradizionalmente molto diffusa fuori città); e al forno, con patate aromatizzate al rosmarino.

Il quinto quarto
La storia della pajata è legata a doppio filo con quella del “quinto quarto”, ossia i tagli meno pregiati e le interiora del bovino, più a buon mercato per le povere tasche dei popolani della capitale, in una città come la Roma papalina in cui, tradizionalmente, il consumo di carne fino al Settecento era comunque molto più alto rispetto alle altre città d’Italia e ad alcune capitali europee. Allora, secondo una testimonianza riportata dalla storica Marina Formica, a Roma si mangiava “il doppio più carne e vino che consuma Napoli benché quella città sia il doppio più grande”. La propensione della cucina romana al “quinto quarto” si deve, secondo alcuni storici, all’influenza della cucina ebraico-romana. Le fortune delle interiora iniziarono però a declinare proprio alla fine del ‘700, quando cominciarono ad essere usate solo dalle classi più povere che vivevano vicino ai mattatoi, che nel frattempo le autorità tendevano ad allontanare dal centro per motivi igienici. Per questo la tradizione della pajata, nell’Ottocento, si concentrerà prevalentemente al Testaccio. L’edificio che oggi si può ammirare risale al 1888, ma già negli anni precedenti lì si erano concentrati “vaccinari” o “scortichini”, ossia coloro che avevano il compito di scuoiare i bovini. Questi operai venivano pagati in natura e non in moneta. E proprio col “quinto quarto”, magro compenso per il loro duro lavoro. Il consumo di piatti della cucina di recupero andrà però via via diminuendo, fino ai pochi “templi” vivi ancora oggi, che però hanno la loro legione agguerritissima di adepti. Dopo lo shock della messa fuori legge all’inizio degli anni 2000, la tradizionale pajata è stata a lungo sostituita da quella preparata con interiora d’agnello. Oggi, attende solo di essere riscoperta per riavere, anche lei, la gloria che merita.

domenica 13 agosto 2017

Ecco cosa accade al vostro “cuore” quando mangiate il peperoncino..


agosto 8, 2017



Mangiare cibo piccante, condito con il peperoncino, fa bene al cuore grazie alla capsaicina, il principio attivo contenuto proprio nel piccante frutto. Essa possiede numerose proprietà benefiche che si mostrano evidenti con effetti sull’apparato cardiovascolare. In uno studio effettuato dagli scienziati dell’Università di Hong Kong, capitanati dal dottor Zhen-Yu Chen, si è potuto inoltre osservare come i capsacinoidi abbiano ridotto i livelli di colesterolo totale nel sangue – soprattutto il colesterolo LDL, o “cattivo” – e la dimensione dei depositi nei vasi sanguigni. Non solo perchè riduce anche il restringimento delle arterie, che è un noto fattore di rischio per attacchi cardiaci o ictus. Un ultimo beneficio è che l’attività benefica esercitata sui vasi sanguigni che circondano i muscoli permette a questi ultimi di rilassarsi e allargandosi favorire la circolazione sanguigna.
La nostra ricerca ha rafforzato e ampliato le conoscenze su come queste sostanze nei peperoncini lavorano nel migliorare la salute del cuore – spiega Zhen-Yu Chen – Ora abbiamo un ritratto più chiaro e dettagliato dei loro effetti sui geni più intimi e altri meccanismi che influenzano il colesterolo e la salute dei vasi sanguigni. E’ tra le prime ricerche a fornire queste informazioni”.Insomma, includere i peperoncini nella nostra dieta non è affatto sbagliato, a patto che non si esageri.