venerdì 31 dicembre 2021

SAPETE COSA VUOL DIRE IL CODICE STAMPATO SULLE UOVA? VE LO DICIAMO NOI!

SAPETE COSA VUOL DIRE IL CODICE STAMPATO SULLE UOVA? VE LO DICIAMO NOI! - OGNI PARTE HA IL SUO SIGNIFICATO E PERMETTE DI SAPERE TUTTO SU PROVENIENZA E CARATTERISTICHE: VENGONO INDICATE LA TAGLIA, L'ORIGINE DELL'ALLEVAMENTO, LO STATO DI PRODUZIONE E IL COMUNE, E LA DATA DI SCADENZA... Da anni, ormai, sulle uova è necessaria una etichettatura tramite stampa di un apposito codice sul guscio. Si tratta di un sistema di classificazione che serve a indicare diversi fattori. Il codice è necessario per la classificazione delle uova in base a diversi fattori (modalità di allevamento, qualità o categoria, dimensioni e tracciabilità). Sulle confezioni viene indicata la taglia dell'uovo (S per le uova fino a 53 grammi; M per le uova da 53 a 63 grammi; L per le uova da 63 a 73 grammi; XL per le uova dal peso superiore ai 73 grammi). In base alla modalità di allevamento, la classificazione distingue tra uova provenienti da allevamenti biologici, allevamenti all'aperto, allevamenti a terra e allevamenti in gabbia (si tratta del primo numero presente nel codice sul guscio, rispettivamente 0, 1, 2 e 3). Subito dopo il numero che indica il tipo di allevamento, nel codice compare la sigla dello Stato di produzione e, ancora dopo, il codice Istat del Comune di produzione. Le due lettere successive a quel codice sono invece la sigla della Provincia di produzione e le tre cifre indicano invece il codice di riconoscimento del singolo allevamento. Al di sotto del codice, infine, c'è la data di scadenza. C'è poi un altro tipo di classificazione delle uova: la categoria, che indica di fatto la qualità dell'uovo. La categoria A comprende le uove fresche o extra fresche, la categoria B quelle di seconda qualità o conservate, la categoria C infine quelle declassate e destinate all'industria alimentare (se compriamo prodotti non biologici che tra gli ingredienti presentano l'uovo, si tratta quasi sempre di quest'ultima categoria).

giovedì 30 dicembre 2021

Cozze e vongole, come pulirle da barbetta e sabbia in poche e semplici mosse

di MARTINA BARBERO In qualunque modo si cucinino, cozze e vongole sono le regine dell’estate. Per gustarne il delizioso sapore, pulitele con cura. Qui vi suggeriamo come fare 1 / 9 Cozze e vongole fresche Un succulento spaghetto allo scoglio, un’insalata ai frutti di mare, una gustosissima impepata o, ancora, una ricca paella. Cozze e vongole sono le protagoniste indiscusse di questi piatti che fanno tanto estate e a cui è sempre difficile dire no. Per un risultato gourmand ci vogliono, però, prodotti freschi e ben chiusi. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, cozze e vongole sono da pulire perché nessuno lo ha fatto prima di noi. In che modo lo spieghiamo qui. 2 / 9 Cozze: acqua e coltello Primo step: le cozze vanno sciacquate sotto abbondante acqua corrente. Potete farlo velocemente riponendole tutte quante in una bacinella. Secondo: eliminate le incrostazioni e i parassiti che trovate sul guscio. Verranno via grattandoli con un coltello. 3 / 9 Cozze: via la barbetta Staccate la barbetta — tecnicamente «bisso» — che fuoriesce dalla conchiglia della cozza. Strappatela con le mani: occorre un movimento deciso. Per essere sicuri di eliminare tutte le impurità, passate sul guscio della cozza una paglietta d’acciaio da cucina, quindi risciacquate. 4 / 9 Cozze, ok si apre! Aprite le cozze: potete farlo a crudo, passando un coltellino nella fessura tra le due valve e facendo leva così da staccare il muscolo senza romperlo. Ma potete farlo anche cuocendo le cozze per 5 minuti in una padella chiusa da un coperchio. Occhio alle cozze che non si saranno aperte: vanno buttate. 5 / 9 Vongole: preliminari Nel caso delle vongole, la prima cosa da fare è eliminare quelle aperte o rotte: essendo morte, potrebbero avere un cattivo sapore e fare persino male. Anche in questo caso la «spurgatura» richiede tempo e pazienza. 6 / 9 Vongole, il tempo Vi conviene cominciare la procedura circa 2 ore e mezza prima di cucinarle. Sciacquatele più volte sotto l’acqua corrente. Quindi immergetele in una ciotola e copritele con tre cucchiai di sale fino. Lasciate riposare per un paio di ore. 7 / 9 Vongole, l’acqua Pian piano, l’acqua comincerà a sporcarsi. Quando le impurità saranno diventate consistenti, cambiatela e versatevi un cucchiaio di sale grosso. Infine, lasciate in immersione per altri 30 minuti. 8 / 9 Cozze e vongole, la rifinitura Battete ogni singola vongola su di un piano o sopra un tagliere, così da eliminare eventuali rimasugli di sabbia. Lasciatele sotto l’acqua corrente per un minuto et voilà, le vongole saranno pronte per essere cucinate come meglio credete.

mercoledì 29 dicembre 2021

Tutti i colori della polenta (e le caratteristiche nutrizionali)

di Daniela Natali Quella gialla e quella bianca, quella scura e poi quelle di avena, di orzo, di castagne. Adatte ai celiaci oppure no. Tutte nutrienti, tutte diverse Si fa presto a dire polenta, ma di polente ce ne sono tante. E non parliamo dei modi di condirle, o di accompagnarle, ma proprio delle diverse tipologie di polenta o meglio delle farine da cui derivano. C’è la polenta gialla, ma anche quella bianca e quella scura, quella di castagne e di orzo. Quali caratteristiche nutrizionali hanno e che cosa le differenzia? «La polenta gialla — risponde Marina Carcea, dirigente tecnologo al Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione del Crea — già si distingue in due tipi: bramata e fioretto, la prima deriva dalla parte più esterna del chicco, la seconda dal “cuore” ed è a grana più fine. Questo comporta più che una differenza nutrizionale una diversità negli utilizzi. La bramata è la classica farina da polenta, la seconda può servire anche per preparazioni dolci o torte salate. Quanto alla farina bianca, deriva dalla macinazione del mais bianco quindi manca di carotenoidi, antiossidanti responsabili del colore giallo, che proteggono la salute di pelle, ossa e occhi. Essendo derivata pur sempre dal mais è priva di glutine e, come del resto la farina gialla, è adatta a chi soffre di celiachia». Anche la farina «scura» è di mais? «Quella che si usa per preparare la notissima polenta taragna è costituita in genere da un misto di farina di mais e di grano saraceno, privo di glutine e caratterizzato da una presenza un po’ più alta di proteine, di fibra e anche ricco di sali minerali come ferro, zinco e selenio». Particolarità, invece, della farina di segale? «La segale, che cresce bene anche in zone fredde di montagna, è sempre un cereale pertanto ricco in carboidrati e questo ne ha fatto un cibo fondamentale in tempi passati nelle zone agricole e povere. Poiché la segale è una graminacea, contiene glutine e perciò non è adatta ai celiaci». E che dire dell’avena e della farina che ne deriva? «L’avena appartiene anch’essa alla famiglia delle graminacee. Come la farina di mais, crea problemi di lievitazione e quindi non è del tutto adatta, se utilizzata da sola, e non miscelata con farina di grano, per le preparazioni da forno. È comunque molto nutriente e adatta per essere consumata a colazione come prodotto soffiato o sotto forma di fiocchi nel classico porridge all’inglese». Meno nota è la farina di orzo. «L’orzo è un cereale con una composizione proteica non adatta ai celiaci, però, come ci dice la letteratura scientifica, grazie alle sue fibre, è utile nel controllo della glicemia e dei livelli di colesterolo quindi protegge il nostro sistema cardiocircolatorio. La farina di orzo è infatti particolarmente ricca di betaglucani, polisaccaridi indigeribili, che aiutano a ridurre l’assorbimento di colesterolo e glucosio della dieta e stimolare il nostro senso di sazietà». Manca la farina di castagne. « Più che per la polenta, viene utilizzata per preparare dolci. Non solo il castagnaccio tipico del Nord Italia, ma anche i “necci” della Garfagnana, una specie di crepes da completare con un ripieno sia dolce, che salato, a base però sempre di ricotta. E qui vorrei spendere una parola “sull’accompagnamento” di tutte queste farine che ci hanno salvato dalla fame, ultima quella di mais diffusasi in Europa dopo la sua importazione dalle Americhe. Da sole saziano e danno energia di pronto utilizzo, dato che sono fondamentalmente a base di carboidrati, ma non bastano e infatti quando l’alimentazione era soprattutto a base di polente e affini, era diffusa la “pellagra”, dovuta alla carenza di vitamine, ma già l’abbinamento con i non costosi latticini, o con il latte, come si fa nella bergamasca, costituiva un rimedio perché all’organismo venivano anche fornite proteine e vitamine. Un uso saggio delle risorse che può insegnarci ancora qualcosa». 28 dicembre 2021 (modifica il 28 dicembre 2021 | 09:52)

sabato 25 dicembre 2021

Tortellini

https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/tortellino-altro-nome-avrebbe-suo-sapore-bologna-292795.htm Carlo Ottaviano per "il Messaggero" Se esistesse un San Tortellino, oggi sarebbe la sua festa (secondo l'International Food Day, che ha decretato il 14 dicembre la Giornata internazionale del tortellino in brodo). Ma come per i nomi propri, anche in altre date si celebra uno dei piatti più amati nelle fredde giornate d'inverno. Del resto, non c'è certezza neanche sull'origine, sugli ingredienti, sullo stesso nome (cappelletti, altrove). Un punto fermo poche settimane fa hanno provato a metterlo a Bologna dichiarando il tortellino bolognese De.Co. (Denominazione comunale), a condizione d'esser fatto con prosciutto, mortadella, lombo di maiale, parmigiano, uova e noce moscata. Ma stiamone certi dalle vicine città emiliane la contestazione non tarderà ad arrivare. L'unica certezza è che i tortellini devono avere la forma del perfetto ombelico di Venere (ma chi l'ha visto mai?) e il ripieno di carne. C'è chi giura sintetizziamo da Storia della pasta in 10 piatti di Luca Cesari, edito da ilSaggiatore - che sia frutto di un'ispirazione divina: lo avrebbe inventato un oste guercio e bolognese di Castelfranco Emilia affascinato dalla vista dell'ombelico della dea Venere: «Preda di una bramosia creativa, si precipita in cucina dove afferra un dischetto di sfoglia e, a forza di rigirarlo sulle dita, riesce a riprodurre le forme del divin bellico». In realtà i ricettari spiega Cesari nel volume premio Bancarella Cucina 2021 - raccontano una storia diversa da quando un anonimo cuoco ne scrive nel 1501 a quando a fine Ottocento Pellegrino Artusi tramanda la ricetta odierna (salvo la sostituzione del midollo di bue col lombo di maiale). Innumerevoli le varianti. C'è chi mette tutte le carni a crudo, chi utilizza al posto del vitello il petto di tacchino; chi dosa in modo diverso i vari ingredienti e chi taglia i tortellini, invece che a quadrati, a dischi. La disputa su quale sia la ricetta originale rimane insanabile. Il ripieno, più che la forma, caratterizza la provenienza geografica. La sfoglia, preparata in precedenza con uova e farina, deve essere comunque sottile e tagliata in quadretti della dimensione di pochi centimetri. I quadretti vengono poi ripiegati con il ripieno. Si procede quindi alla piegatura formando un triangolo le cui estremità si uniscono facendole ruotare attorno al dito indice. Tante versioni anche nel resto d'Italia. I parenti fuori regione più stretti sono i piemontesi agnolott del plin. Il nome deriverebbe da un cuoco di nome Angelòt e dal dialettale plin, cioè pizzicotto, il gesto per chiudere il rettangolino di pasta. Ovviamente, i grandi chef non sono rimasti a guardare. Il più noto Massimo Bottura che è di Modena li ha trasformati in minuscola Arca di Noè (il nome che gli ha dato). «Le nostre nonne -racconta dicevano che per fare un grande brodo serve il piccione; per un brodo raffinato la faraona; che non va mai buttato il brodo ricavato dalla testa del maiale (quando lo sgrassi bene, nelle notti fredde della pianura, esce il suo lato più buono e gustoso). Sentiti questi racconti, il mio sous chef Yoji Tokuyoshi, dopo aver scoperto lungo il Po altre ricette di brodo con rane e anguille, ha voluto contaminare la tradizione con la cultura del suo Giappone, ritrovando l'umami perfetto con l'alga kombu al posto del Parmigiano Reggiano. A questo punto è nato un brodo poliglotta». L'unico limite di questi e di tutti i tortellini? Che il piatto ne accoglie sempre troppo pochi.

mercoledì 8 dicembre 2021

Pesto di broccoli, la ricetta facile da preparare in 10 minuti

di REDAZIONE COOK La ricetta facile e veloce per un condimento perfetto 1 / 10 La ricetta vincente Una costante sulla tavola della stagione fredda è il broccolo. Puntualmente fatto al vapore o, nel migliore dei casi, arrosto. La verdura prodigio — ricca di vitamina C, fibre e ottima per il sistema immunitario — rischia così di stancare e di essere bistrattata. Un rimedio contro la monotonia dei sapori è allora il pesto di broccoli. La ricetta piace davvero a tutti, anche ai più pigri al fornello perché si prepara in 10 minuti e si adatta facilmente a qualsiasi tipo di piatto. Dall'aperitivo con crostini alla pasta, ma anche alle insalate. Come cucinarla? Ecco i trucchi per non sbagliare. 2 / 10 Ingredienti 250 grammi di broccolo, 2 spicchi d'aglio, 50 g di foglie di basilico, 100 ml di olio extra vergine d'oliva, sale q.b., pepe macinato q.b., 100 grammi di parmigiano. 3 / 10 Sbollentare Per questa ricetta sono sufficienti pochi minuti di cottura: a vapore o in acqua bollente, l’importante è che il broccolo rimanga croccante e di un verde brillante. Cuocete quindi per 5 minuti e bloccate immediatamente la cottura passando in acqua ghiacciata la verdura. 4 / 10 L'aglio Il primo ingrediente da sminuzzare è l’aglio. Per non rischiare di incontrare pezzi troppo grossi nel pesto, triturate prima con un coltello e poi nel robot da cucina gli spicchi. 5 / 10 I broccoli A questo punto potete aggiungere i broccoli, il basilico e il parmigiano nel robot. Se vi piace una consistenza vellutata azionate per almeno 2 minuti. Per sentire, invece, la croccantezza del broccolo azionate a intervalli vicini il robot fino a quando non ottenete la texture che preferite. 6 / 10 L'errore da evitare assolutamente L’errore che fanno in molti è quello di aggiungere l’extravergine e lavorarlo nel mixer insieme agli altri ingredienti. Il risultato? L’olio si emulsiona conferendo un colore più chiaro al pesto e una consistenza collosa. Per evitarlo, amalgamate l’extravergine a robot spento aiutandovi con una spatola o con un cucchiaio. Aggiustate di pepe e sale. 7 / 10 Con i crostini Il pesto ottenuto è perfetto come aperitivo, servito con fette di pane tostate o crostini profumati alle erbe. 8 / 10 La pasta Se volete servirlo con pasta assicuratevi di mettere da parte un po’ di acqua di cottura. Passate in padella per due minuti con un mestolo abbondante di pesto, bagnate leggermente e servite. 9 / 10 In insalata Per un pranzo leggero e veloce, il pesto diventa il condimento giusto per l’insalata composta. La ricetta è di Food52: unite noci, succo di limone, broccoli crudi tagliati a fettine sottili, pezzetti di mela e striscioline di pollo alla piastra.

giovedì 2 dicembre 2021

La pasta fresca, come farla in casa in 3 facili mosse e il trucco dell’aceto

di Carlotta Garancini 2 .Gli ingredienti Per fare la pasta fresca quello che occorre sono pochi ingredienti semplicissimi che con molta probabilità avete già in casa: 4 uova intere, 4 tuorli, 500 g di farina 00, 50 g di farina di semola, aceto bianco, sale. 3 .Mani in pasta Versate le farine a fontana, quindi incorporate le uova intere e i tuorli, un goccio di aceto e un pizzico di sale. Iniziate a impastare e continuate fino a ottenere un composto liscio. 4 .Impasto a riposo Formate un panetto e avvolgetelo nella pellicola trasparente. Ponetelo in frigo e lasciatelo riposare per almeno un paio d'ore. 5 .La sfoglia Trascorso il tempo, stendete l’impasto prima con il mattarello, quindi tirate la sfoglia con l'aiuto di una macchina. Una volta che le avrete dato la forma desiderata, la pasta sarà pronta per essere cotta. 6 .Video-lezione Se qualcosa della preparazione non vi è chiaro, guardate lo chef all'opera in questo video: https://video.corriere.it/pasta-fresca-come-farla-casa-3-facili-mosse-trucco-dell-aceto/3629118e-a29d-11e7-82cf-331a0e731b92