mercoledì 1 marzo 2017

ERRORI DA EVITARE PER GUSTARE UNA SANA BISTECCA


                        V A D E M E C U M              
Sbagliare taglio di carne    
Preparare una bistecca può sembrare semplicissimo, ma non lo è affatto. Bastano infatti piccoli errori per sciupare tagli di carne di alta qualità. Con alcune accortezze però si può preparare un piatto succulento e perfetto. La prima regola, ovviamente, è scegliere la giusta materia prima: il taglio adatto, l’origine e la frollatura ideale, da cui dipende tenerezza e gusto. Tenete presente che il colore della carne rossa deve essere intenso e la presenza di sfumature più scure sui bordi non indica alterazione, mentre quella di grasso chiaro e compatto è indice di qualità. La carne, poi, non deve essere né secca o eccessivamente umida, né avere riflessi metallici, indice di alterazione dei grassi. L’odore deve essere gradevole e fresco e la consistenza compatta, soda ed elastica.

Cuocerla fredda
La carne deve essere cotta quando è a temperatura ambiente, sennò rischiate di raggiungere lo sgradevole effetto di renderla calda esternamente e fredda dentro. Questo soprattutto se volete prepararla al sangue. L’ideale è toglierla dal frigorifero o dal congelatore qualche ora prima della cottura e lasciarla tornare alla giusta temperatura, al coperto, in un punto non troppo caldo.

Marinarla sì o no?

Esistono due scuole, quella di chi sostiene che la carne alla griglia (o alla piastra) debba sempre essere marinata, per raggiungere la morbidezza e il sapore ideali , e quella invece che ritiene vada cotta al naturale e condita al massimo con un pizzico di pepe e di sale solo in tavola. Non esiste una risposta univoca, dipende dai gusti. Evitate però di salarla quando è ancora cruda, o il sale la renderà asciutta, dura e stopposa.

Troppo olio

Ungere la carne prima della cottura va bene, aiuta gli aromi a svilupparsi, ma non è indispensabile. Attenzione poi a non esagerare con l’olio se volete cucinare la carne sul barbecue: il condimento colando sulle braci rischierebbe di causare fiammate che brucerebbero troppo l’esterno della bistecca.

Evitare il grasso

Durante la cottura il grasso della carne si scioglie e la rende tenera e dolce. Quindi non toglietelo mai prima della cottura. Fate però sempre attenzione al suo colore: deve essere chiaro.

Non conoscere la differenza tra griglia a barbecue

Tra i due c’è una differenza abissale. Quella sulla griglia è una cottura rapida sulla brace «viva», con il calore che arriva dal basso. Il barbecue invece prevede una copertura che lo trasforma in una specie di forno, distribuendo il calore e trattenendo il fumo che darà aroma al vostro piatto. Per le bistecche è meglio la seconda soluzione.

Sbagliare padella
Per molti è scontato, ma non per tutti: la griglia, la piastra o la bistecchiera con cui cucinerete la vostra bistecca devono essere roventi. I materiali più adatti — se non cucinate al barbecue e volete ottenere lo stesso la reazione di Maillard che dona gusto e intensità alla parte esterna della bistecca —, sono il ferro e la ghisa. Se possibile quindi evitate di usare padelle antiaderenti, che darebbero un sentore di bollito alla vostra carne.

Cuocerla troppo

La cosa migliore per cuocere alla perfezione una bistecca è dotarsi di un termometro a sonda, che, infilato al cuore, vi dirà quando raggiungerete la giusta temperatura. Fermatevi a 50-55° se la volete al sangue, arrivate a 60-65° per una media cottura, mentre a 70° per averla ben cotta. Oltre sarà irrimediabilmente rovinata.

Mangiarla subito

Non mangiate la vostra bistecca appena cotta. Fatela riposare qualche attimo, cosicché i succhi si ridistribuiscano tra le fibre.



sabato 18 febbraio 2017

Contrordine della scienza: "L'olio di palma non fa male"

da "ilGiornale.it"

Durante un convengo alla Federico II di Napoli l'intervento del professor Marco Silano dell'Istituto Superiore di Sanità: "Nessuna tossicità"



Contrordine compagni, l'Olio di Palma fa bene. Dopo anni di guerre commerciali e bugie varie, ora un nuovo punto a favore della palma lo fa segnare un convegno organizzato dall'Università degli Studi Federico II di Napoli al dipartimento di Farmacia.


Nell'occasione il professor Marco Silano dell'Istituto Superiore di Sanità ha spiegato come tempo fa l'Iss abbia dato un parere sull'olio di palma, spiegando che "l'ingrediente non ha alcuna sostanza tossica di per sé".

"L'olio di palma - ha spiegato all'Adnkronos Silano - contiene una quantità di acidi grassi saturi maggiore rispetto agli altri olii vegetali, al posto dei quali viene utilizzato (l'olio di semi di girasole, ad esempio, contiene il 15% di grassi saturi)". E troppi grassi aumentano il "rischio cardiovascolare" certo. Ma è anche vero che l'olio di palma "può sostituire olii vegetali che hanno ancor più acidi grassi saturi (l'olio di cocco arriva all'80%, per esempio) e ha permesso eliminazione dei acidi grassi idrogenati trans, che hanno un effetto dannosissimo sulla salute cardiovascolare".

Inoltre, spiega il professore dell'Iss, "esistono due grossi gruppi di acidi grassi saturi: quelli presenti negli alimenti non trasformati (carne di vario genere, formaggi, latte e uova) e quelli contenuti nei prodotti della trasformazione industriale, a cui è addizionato l'olio di palma". Quindi la cosa importante non è eliminare l'olio di palma, ma limitarsi nell'assunzione di acidi grassi (quindi anche quelli che vengono dalla carne e dalle uova). Gli acidi grassi saturi non dovrebbero superare il 10% nella dieta giornaliera. Quindi "la criticità rientra nella quantità di acidi grassi saturi che compongono la dieta di una persona. Non basta eliminare un singolo prodotto, ma va valutata l'intera dieta".

Certo, un problema esiste per quanto riguarda i "contaminanti che si formano durante i processi di raffinazione", quando l'olio viene raffinato nei processi industriali. Rischi che però le aziende stanno affrontando e che potrebbe portare a breve all'eliminazione di questi contaminati.

sabato 4 febbraio 2017

Farinata di ceci, lo street food che unisce i popoli di mareFarinata di ceci, lo street food che unisce i popoli di mare Torta di ceci livornese, a regola d'arte: nella teglia tonda, cotta in forno a legna, croccantina fuori, morbida dentro Protagonista del cibo di strada di mezzo mondo, dalla Toscana all’Argentina, dalla Sardegna all’Uruguay passando per il Marocco. Alimento povero la cui nascita si perde nei secoli, tra racconti fantasiosi e scambi commerciali.

Ingredienti:  150g. di farina di ceci 500 ml. di acqua a temperatura ambiente 1 cucchiaino di sale 4 cucchiai di olio di oliva tre cucchiai in padella prima e 1 cucchiaio dopo al massimo della temperatura 
La leggenda fissa la sua origine alla fine della guerra tra le repubbliche marinare di Genova e di Pisa, per l’esattezza nel 1284. E l’ironia della sorte ha voluto che il tutto si svolgesse nel mare di fronte a Livorno, quindi tutte e tre le città possono contendersene la nascita. Siamo nei giorni della battaglia della Meloria e i genovesi vittoriosi si accingono a navigare verso la loro città, trasportando a bordo molti prigionieri pisani.
Una tempesta però rende difficile il rientro in Liguria. Il vento infuria e sulla nave è il caos: i sacchi di ceci nella stiva si rovesciano, si mischiano con l’olio che esce dagli orci frantumati e con l’acqua di mare che entra da una falla.
I legumi sono così ammollati e una poltiglia ricopre il pavimento. Intanto la navigazione rallenta e le scorte di cibo sono agli sgoccioli.

Ai prigionieri viene dato quello strano intruglio di ceci, servito in scodelle. I pisani, nonostante la fame, non ne vogliono sapere. Salvo poi accorgersi che nei recipienti lasciati al sole il miscuglio solidifica assumendo un bel colore dorato e un profumo invitante. Una volta arrivati a casa, allora, i genovesi sfruttano la casuale scoperta, migliorando la ricetta e scegliendo la cottura in forno e (aggiungono alcuni racconti) per prendere in giro gli sconfitti chiamano questa particolare schiacciata “oro di Pisa”.
Insomma, a dar retta alla storia popolare, la farinata di ceci sarebbe stata codificata dai genovesi per merito dei pisani che l’avrebbero scoperta in acque livornesi.


Farinata di ceci, lo street food che unisce i popoli di mare
La Socca di Nizza, dove si gusta con il vino rosè e abbondante pepe servito  parte
Leggende a parte, di certo c’è che fin dal medioevo una preparazione a base di farina di ceci, acqua, sale e olio era molto diffusa in tutte le città costiere e che a Livorno è diventata un vero e proprio mito, cibo semplice ma gustoso, sfizio da passeggio e merenda quotidiana per tutti, a tutte le età e accessibile per tutte le tasche. Così familiare che la parola torta sottintende la specificazione (di ceci) e che a differenza che in altre città, l’artigiano che la produce non è il fornaio o il pizzaiolo, ma il tortaio, proprio a sottolinearne la specializzazione.
I tortai livornesi iniziarono a usarla come companatico, infilandola appunto nel pane. Per la precisione nel “pan francese” o francesino, che ha la giusta morbidezza per accoglierla ed è tanto delicato da non coprirne l’aroma.Qui il pane con la torta di ceci si chiama “5 e 5” perché fin dall’inizio del XX secolo si era diffusa l’abitudine di comprarla indicando quanto si voleva spendere: la dose giusta per una bella merenda era 5 lire di pane farcito con 5 lire di farinata.


Farinata di ceci, lo street food che unisce i popoli di mare
La "calentita" è la farinata a Gibilterra (foto dal Festival della Calentita)
“Per partecipare al matrimonio più perfetto che ci sia, gustatela sorseggiando un bicchiere di spuma, rigorosamente “bionda”, bevanda della tradizione livornese” consiglia in uno dei suoi libri il giornalista gastronomo Aldo Santini. E, nella città di Mascagni, è tutt’oggi un vero e proprio rito: deve essere croccantina fuori ma morbida dentro, né troppo bassa né alta, appena salata, cosparsa con una generosa pioggia di pepe nero e soprattutto consumata “a bollore”: appena uscita dal forno (preferibilmente a legna). Questa della temperatura non è una fissazione ma la condizione necessaria affinché la torta sia davvero buona, visto che ad alte temperature sprigiona tutto il suo aroma. Tanto è vero che a Massa, altra città toscana amante del prodotto, dove spesso si gusta nella focaccia, si chiama "calda calda".
E allo stesso modo in Piemonte, dall’alessandrino all’astigiano fino al torinese – dove è stata introdotta dai commerci tra Genova e la pianura Padana – viene chiamata "belecauda", cioè bella calda. E che dire della "calentita" (dallo spagnolo caliente = caldo)? È la versione di Gibilterra della farinata di ceci che fu introdotta lì dalla numerosa colonia genovese che vi si insediò nel 1700. Tuttora diffusissima, la calentita è considerata un piatto tipico della località e le si dedica un festival in giugno. Ma i nomi e i territori della farinata di ceci non finiscono qui. Essendo diffusa lungo tutte le coste del Mediterraneo, dalla Maremma alla Costa Azzurra, è normale che in ogni area acquisti denominazioni diverse. Ecco allora che a Genova si chiama fainâ de çeixai ed era un tempo venduta in locali tipici, le vecchie Sciamadde amate da Fabrizio De André, dove si poteva consumare direttamente con un bicchiere di vino.
Restando in Liguria, nel savonese è chiamata turtellassu, ma spingendosi fino a Nizza diventa la Socca (si legge con l’accento sulla a, ma è una a quasi “mangiata”).


Farinata di ceci, lo street food che unisce i popoli di mare
Pane e panelle, street food tipico palermitano
In Toscana, a parte Livorno di cui abbiamo già detto, troviamo la cecìna in Versilia e nel pisano, mentre in Lunigiana e Garfagnana viene denominata farinata come in Liguria. La cosa che può sorprendere è che anche in Corsica e in Sardegna, dove fu portata dai genovesi, è molto apprezzata. I sardi la chiamano fainè ed è diffusa nella provincia di Sassari. Col nome di fainò è nota a Carloforte, colonia tabarchina dell'isola di San Pietro dove si vende nei numerosi tascélli. E poi ci sono le parenti strette delle farinate: le panelle siciliane, preparate con gli stessi ingredienti della farinata, ma fritte anziché infornate. E la caliente marocchina, ai cui elementi di base si aggiungono le uova.
Ma i confini della farinata superano il Mediterraneo per arrivare in Argentina ed Uruguay dove la fainà si mangia sopra la pizza

Cavolo, la cottura perfetta? Cinque minuti. E per annullare la puzza...

Forse per il suo nome, che non omaggia le sue qualità, o forse per il cattivo odore che emana quando viene cucinato, il cavolo può considerarsi una della verdure più bistrattate di sempre. Eppure - forse non lo sapevate - è uno degli ortaggi che gli italiani più consumano, soprattutto durante l'inverno. E non solo per via del suo sapore: il cavolo è infatti un naturale antinfiammatorio, contiene più ferro della carne ed è altamente digeribile.
Ma per godere a pieno tutti i suoi benefici, riporta il Tempo, il metodo migliore è cucinarlo a vapore. Così facendo si mantengono le sostanze nutritive e si abbassa il colesterolo, ma solo se il tempo di cottura non supera i 5 minuti. Meglio ancora se mangiato crudo, con un insalata. Ultimamente va molto di moda come zuppa, per esempio a base di broccoli e spinaci, oppure nella pasta, come il celebre piatto pugliese con le cime di rapa. In padella è un altro classico, con olio e peperoncino, magari inserito poi in una "frittatona". Ma non finisce qui, il cavolo si può gratinare, friggere, addirittura frullare, per farlo diventare la perfetta guarnizione per, ad esempio, un piatto di pesce.
Ma oltre i molteplici modi in cui si può cucinare, come evitare lo spiacevole olezzo durante la cottura? Il trucco: aggiungere durante la cottura un pezzo di pane raffermo bagnato con un cucchiaio di acet

mercoledì 25 gennaio 2017

7 errori da non commettere se sei un amante della carne (secondo la scienza)

L'Huffington Post  |  Di


Per il ragù alla bolognese potrebbe scattare l’allarme: perché la ricetta tradizionale proprio non va bene. Almeno secondo la scienza, secondo cui la carne e il soffritto andrebbero cotti separatamente. L’obiettivo è dare il via a reazioni chimiche che ne costruiscono il sapore. Lo spiega con dettagli e argomentazioni Dario Bressanini autore di “La scienza della carne” pubblicato da Gribaudo.

“Dal punto di vista scientifico – dice – i punti cruciali per la buona riuscita di un ragù sono due: una buona rosolatura della carne e una lunga cottura per sciogliere il collagene”. Così se nella ricetta tradizionale prima si fa il soffritto e poi si aggiunge la carne, qui si suggerisce di invertire le due fasi, per evitare il contatto tra la carne cruda e l’acqua contenuta nelle verdurine del soffritto. E non è l’unico consiglio che l’autore dà a chi ama la carne e rischia senza saperlo di commettere tutta una serie di errori, dalla scelta della bistecca in poi. I tagli giusti? Meglio del filetto, il controfiletto, la costata con un po’ di grasso intramuscolare.

Prima di sistemarla in padella va asciugata con la carta assorbente e poi salata da entrambi i lati: contrariamente a quanto si dice, servirà a esaltare il sapore della carne e renderla succosa. Anche sul brodo vanno prese delle precauzioni, a cui non avevamo pensato. Così, al volo: cipolla, carota e sedano, ma soprattutto gli aromi, andrebbero aggiunti in un secondo tempo.

Ecco gli errori più comuni che facciamo con la carne secondo a scienza.

1. Cosa succede nel congelatore

Quando il raffreddamento avviene nel congelatore domestico, si formano cristalli di ghiaccio molto grandi. Questi danneggiano le cellule e bucano la membrana. Quando si scongela la carne i danni prodotti portano ad una fuoriuscita dei succhi della carne che quindi sarà più asciutta una volta cotta. Se la carne viene usata per ricette in umido, il danno è limitato. Per bistecche e arrosto meglio usare carne non congelata. Per evitare questo fenomeno comunque ricordatevi di avvolgere molto bene con la pellicola per alimenti la carne che congelate in modo da ridurre l’esposizione all’aria. Attenzione anche alla fase di scongelamento. L’ideale è scongelarla lentamente in frigorifero. Se non avete tempo, la strategia più efficiente è metterla in un sacchetto di plastica con chiusura a zip, cercando di eliminare il più possibile l’aria e scongelarla usando un filo di acqua fredda corrente, tenendola immersa in una bacinella. Non usate l’acqua calda e neppure il microonde: rischierete di cuocerne alcune zone perché l’assorbimento delle microonde non è omogeneo e uniforme.
2. I gradi per la bistecca perfetta
Per una cottura perfetta serve un termometro per alimenti. La cottura media corrisponde a 60°: l’acqua viene espulsa, la carne diventa sempre più ferma e il colore rosato. A 65° il pezzo di carne risulta ancora umido internamente ma al taglio i succhi non scorrono più. Il volume si riduce di circa un sesto. A carne è ancora rosa ma tende al grigio-marroncino. È una cottura media-ben cotta. La carne al tatto non è più molto molle, e neppure sotto i denti. A 75° il disastro culinario: la carne è dura e asciutta, praticamente immangiabile. Per pezzi grandi da cuocere in forno la temperatura va impostata a valori più bassi possibile, compatibilmente con la crosticina che si vuole ottenere. A 120° otterrete poca brunitura e ancora uno strato morbido, mentre a 160° la crosticina sarà più gustosa ma a carne più asciutta.

3. Come fare in roast beef in casa
Il taglio classico è la parte anteriore della lombata, valide alternative: scamone, noce, fesa, girello. L’interno del roast beef deve rimanere rosato, ma non deve essere crudo. La temperatura che deve raggiungere internamente a carne per ottenere questo risultato è tra i 50 e i 55°. La carne va tolta dal frigorifero almeno due ore prima: servirà a ridurre la differenza di temperatura tra ‘interno della carne e la temperatura del forno. L’ideale è tenere la temperatura del forno molto bassa: non più di 130°. Cuocere fino a quando la temperatura del cuore avrà raggiunto i 50-55°. Poi tolta dal forno, coprire con alluminio per alimenti per una quindicina di minuti. Servirà a reidratare le parti più esterne.

4. Quante volte si gira la costata?
Nella procedura standard di cottura di una bistecca di altezza media, dopo aver depositato a carne si aspetta fino a quando la superficie a diretto contatto con il metallo, o esposta alla brace, è brunita. Lo svantaggio è che il calore, oltre a brunire la superficie, dopo un po’ penetra anche negli strati sottostanti. Una procedura poco ortodossa ma efficace per evitare ciò consiste nel girare la bistecca ogni trenta secondi, dopo un iniziale brunimento superficiale. La carne resterà rosa anche negli strati vicino alla superficie e cuocerà anche più velocemente. Una soluzione poco diffusa in Italia, ma sicuramente con base scientifica è finire la cottura in forno: prima la padella, due o tre minuti per lato, poi forno a 250°, 2 o 3 minuti e si gira la bistecca, 2 o 3 minuti e si toglie dal forno.

5. Carne macinata fai da te
Se volete, potete macinare a casa il vostro pezzo di carne anche senza avere un tritacarne: è sufficiente utilizzare un robot da cucina, avendo l’accortezza di inserire pochi cubi di carne alla volta, di 2-3 cm di spessore, ben raffreddati in freezer per qualche decina di minuti, in modo tale che la carne, senza essere congelata, diventi sufficientemente dura al tatto.

6. Sicuro che sai fare il brodo?
Preparare un brodo di carne classico è facile e nelle versioni più semplici serve solo un po’ di pazienza: come minimo due ore, ma si può arrivare anche a 12 per alcuni brodi. Sarebbe meglio però non mettere tutto insieme a cuocere, ma iniziare prima con la carne e le ossa, poi aggiungere gli ortaggi tagliati e solo verso la fine gli odori e le spezie, in modo tale che rilascino le sostanze aromatiche al momento giusto e che non vengano degradate da ore di cottura. Poi se si vuole che il brodo rimanga limpido, mai farlo bollire.

7. Il ragù è meglio farlo così
Dal punto di vista scientifico, i punti cruciali per a riuscita di un buon ragù sono due: una buona rosolatura della carne e una lunga cottura per sciogliere il collagene. Nella ricetta tradizionale prima si fa un soffritto e poi si aggiunge la carne. Bressanini suggerisce di invertire le due fasi. Quando aggiungiamo la carne cruda al soffritto se questo non è stato privato dell’acqua, abbiamo difficoltà a a mantenere le alte temperature necessarie per sprigionare il sapore della carne. Che rischia di essere bollita invece che arrostita. Meglio cuocerli separatamente e poi unirli in un secondo tempo.

mercoledì 18 gennaio 2017

Pollo all’arancia: una ricetta ricca e veloce

I benefici dell’arancia e del pollo in una ricetta realizzabile in soli 20 minuti…

Pollo all’arancia, una vera e propria prelibatezza per il nostro palato. E, gusto a parte, la presenza dell’agrume rende questo secondo piatto oltre che buono, anche salutare. Buono (gusto) e buono (benessere), per così dire. Introduciamo intanto l’ingrediente.
L’INGREDIENTE Le arance rappresentano una importante fonte di vitamine: soprattutto la C e la A, ma anche una parte di quelle del gruppo B. La prima è importante perché contribuisce a rafforzare il sistema immunitario e aiuta a combattere contro l’influenza. La vitamina B, invece, combatte l’inappetenza e favorisce la digestione, mentre i caroteni, precursori della vitamina A, sono utili per la salute degli occhi, della pelle e nella prevenzione delle infezioni. L’arancia aiuta anche la prevenzione della fragilità capillare e migliora il flusso venoso, quindi è valida contro la cellulite. Per voi, la ricetta del pollo all’arancia

LA RICETTA Pollo all’arancia

LA DIFFICOLTA’ bassa
INGREDIENTI PER QUATTRO PERSONE – Otto fette di petto di pollo tagliato sottile, succo di due arance bio, olio extravergine di oliva, 5 cucchiai di farina di tipo 0, sale e pepe.
TEMPI DI PREPARAZIONE: 20 minuti
LO SVOLGIMENTO Si inizia con l’involtare in un piatto con farina la carne, che, bene infarinata, si mette a cuocere in una padella con due cucchiai di olio extravergine d’oliva, precedentemente scaldato. Dopo, aggiungendo il sale necessario, la carne si lascia rosolare leggermente, prima da un lato poi dall’altro. Si versa, quindi, il succo delle arance. E mentre la cottura prosegue per un paio di minuti, la farina ed il succo andranno a formare una salsina. Questa dovrà essere servita liquida, ma appena si intiepidisce, diventa più densa. Pertanto è opportuno servire la carne immediatamente. E, comunque, preparare la salsina poco prima di portare il piatto in tavola. Volendo si può sfumare il petto di pollo, appena rosolato, con del vino bianco da far subito evaporare. Buon appetito!

martedì 10 gennaio 2017

A TUTTA BIRRA - GLI EFFETTI SUL CORPO UMANO DELLA BIRRA, COME BERLA E COSA FARE IN CASO DI SBRONZA - LE DONNE PRODUCONO MENO ENZIMI E HANNO MENO MUSCOLI DOVE L'ALCOL SI POSSA DILUIRE; GLI UOMINI ADULTI HANNO IL FEGATO PIÙ ABITUATO E PIÙ ENZIMI PER LA SCOMPOSIZIONE DELL'ALCOL.

Dopo il successo del farmacista inglese Niraj Naik con la sua infografica sugli effetti della Coca Cola e della Coca Light sul nostro organismo, il sito internet alcoholgifts.co.uk ha deciso di illustrare gli effetti della birra dal primo sorso fino a 24 ore dopo averla bevuta...

Laura Mitchell per http://www.dailystar.co.uk/

pinta di birraPINTA DI BIRRA
Dopo il successo del farmacista inglese Niraj Naik con la sua infografica sugli effetti della Coca Cola e della Coca Light sul nostro organismo, il sito internet alcoholgifts.co.uk ha deciso di illustrare gli effetti della birra dal primo sorso fino a 24 ore dopo averla bevuta:

Primi 5 minuti: Pochi istanti dopo il primo sorso, l'alcol arriva nello stomaco dove viene assorbito e diffuso in tutto il nostro corpo, muscoli e cervello compresi, attraverso il sangue.

10 minuti: L'organismo riconosce l'alcol come un veleno e punta a scomporlo e a sbarazzarsene il più velocemente possibile.

infografica birraINFOGRAFICA BIRRA
15 minuti: Lo stomaco inizia a produrre l'enzima "alcol deidrogenasi", che converte l'alcool in sostanze chimiche tra cui l'acetaldeide (una sostanza tossica che contribuisce alla sbornia del giorno dopo), poi in acido acetico e acidi grassi e infine in acqua. Alla fine di questo processo tornerete sobri a meno che non abbiate più alcol di quello che siete capaci di assorbire.

20 minuti: In questo momento iniziate a sentire gli effetti della vostra birretta, questo include una sensazione di leggerezza e felicità.

45 minuti: Il livello di alcol nel sangue è ai massimi livelli e il picco durerà fino al novantesimo minuto.

> 60 minuti: probabilmente sentirete il bisogno di andare in bagno e inizierete a disidratarvi dal momento che l'alcool è un diuretico e fa effetto direttamente sui reni e sulla vescica. Se smetterete di bere ci sentirete assonnati ma, anche se andrete a dormire presti, la qualità del sonno non sarà buona a causa della disidratazione.
birrettaBIRRETTA

12-24 ore: al risveglio inizierete ad accusare i sintomi della sbornia come mal di testa, vertigini, sete, pallore e tremori, molti dei quali sono causati dalla disidratazione. Il vostro corpo starà ancora cercando di espellere l'alcol in eccesso.

Come prepararsi a bere
È risaputo che mangiare prima di iniziare bere aiuta, questo perché l'assorbimento dell'alcol sarà più lento in quanto lo stomaco si trova impegnato anche nel processo di digestione del cibo.

barack obama con la birraBARACK OBAMA CON LA BIRRA
Bere champagne o alcolici gassati vi farà ubriacare più alla svelta perché la pressione del gas nello stomaco velocizza il processo di assorbimento. Altri fattori che contribuiscono a una sbronza rapida sono: il sesso, le donne producono meno enzimi e hanno meno muscoli dove l'alcol si possa diluire; l'età, gli uomini adulti hanno il fegato più abituato e più enzimi per la scomposizione dell'alcol.

Gli effetti della sbronza
birramideBIRRAMIDE
L'alcol influenza i neurotrasmettitori del cervello che sono responsabili per il trasporto dei messaggi in giro per il vostro corpo, ecco perché si può perdere l'equilibrio, farfugliare, reagire in maniera lenta e perdere la lucidità di giudizio.

Come smaltirla
BIRRA ALLA SPINABIRRA ALLA SPINA
L'unico modo è lasciare che il corpo faccia il suo lavoro tramite il fegato, che brucia l'alcol al ritmo di 1-2 unità ogni ora a seconda della vostra struttura e di altri fattori. Una unità di alcol corrisponde a circa mezza pinta di birra, un bicchiere di vino o uno shot di vodka.