sabato 25 dicembre 2021

Tortellini

https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/tortellino-altro-nome-avrebbe-suo-sapore-bologna-292795.htm Carlo Ottaviano per "il Messaggero" Se esistesse un San Tortellino, oggi sarebbe la sua festa (secondo l'International Food Day, che ha decretato il 14 dicembre la Giornata internazionale del tortellino in brodo). Ma come per i nomi propri, anche in altre date si celebra uno dei piatti più amati nelle fredde giornate d'inverno. Del resto, non c'è certezza neanche sull'origine, sugli ingredienti, sullo stesso nome (cappelletti, altrove). Un punto fermo poche settimane fa hanno provato a metterlo a Bologna dichiarando il tortellino bolognese De.Co. (Denominazione comunale), a condizione d'esser fatto con prosciutto, mortadella, lombo di maiale, parmigiano, uova e noce moscata. Ma stiamone certi dalle vicine città emiliane la contestazione non tarderà ad arrivare. L'unica certezza è che i tortellini devono avere la forma del perfetto ombelico di Venere (ma chi l'ha visto mai?) e il ripieno di carne. C'è chi giura sintetizziamo da Storia della pasta in 10 piatti di Luca Cesari, edito da ilSaggiatore - che sia frutto di un'ispirazione divina: lo avrebbe inventato un oste guercio e bolognese di Castelfranco Emilia affascinato dalla vista dell'ombelico della dea Venere: «Preda di una bramosia creativa, si precipita in cucina dove afferra un dischetto di sfoglia e, a forza di rigirarlo sulle dita, riesce a riprodurre le forme del divin bellico». In realtà i ricettari spiega Cesari nel volume premio Bancarella Cucina 2021 - raccontano una storia diversa da quando un anonimo cuoco ne scrive nel 1501 a quando a fine Ottocento Pellegrino Artusi tramanda la ricetta odierna (salvo la sostituzione del midollo di bue col lombo di maiale). Innumerevoli le varianti. C'è chi mette tutte le carni a crudo, chi utilizza al posto del vitello il petto di tacchino; chi dosa in modo diverso i vari ingredienti e chi taglia i tortellini, invece che a quadrati, a dischi. La disputa su quale sia la ricetta originale rimane insanabile. Il ripieno, più che la forma, caratterizza la provenienza geografica. La sfoglia, preparata in precedenza con uova e farina, deve essere comunque sottile e tagliata in quadretti della dimensione di pochi centimetri. I quadretti vengono poi ripiegati con il ripieno. Si procede quindi alla piegatura formando un triangolo le cui estremità si uniscono facendole ruotare attorno al dito indice. Tante versioni anche nel resto d'Italia. I parenti fuori regione più stretti sono i piemontesi agnolott del plin. Il nome deriverebbe da un cuoco di nome Angelòt e dal dialettale plin, cioè pizzicotto, il gesto per chiudere il rettangolino di pasta. Ovviamente, i grandi chef non sono rimasti a guardare. Il più noto Massimo Bottura che è di Modena li ha trasformati in minuscola Arca di Noè (il nome che gli ha dato). «Le nostre nonne -racconta dicevano che per fare un grande brodo serve il piccione; per un brodo raffinato la faraona; che non va mai buttato il brodo ricavato dalla testa del maiale (quando lo sgrassi bene, nelle notti fredde della pianura, esce il suo lato più buono e gustoso). Sentiti questi racconti, il mio sous chef Yoji Tokuyoshi, dopo aver scoperto lungo il Po altre ricette di brodo con rane e anguille, ha voluto contaminare la tradizione con la cultura del suo Giappone, ritrovando l'umami perfetto con l'alga kombu al posto del Parmigiano Reggiano. A questo punto è nato un brodo poliglotta». L'unico limite di questi e di tutti i tortellini? Che il piatto ne accoglie sempre troppo pochi.

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