lunedì 17 gennaio 2022

Ode agli antipasti, la specialità piemontese che tutto il mondo ci invidia

di Luca Iaccarino Ci sono intere nazioni cui basterebbe il vitello tonnato per trovare un posto al sole sul mappamondo gastronomico, e per noi è solo una voce in un elenco sterminato Qual è la specialità piemontese che tutto il mondo ci invidia? I tajarin, direte. Buoni, ma non penso a quelli. La bagna cauda? Eccezionale, fa impazzire i giapponesi, ma no, non mi riferisco alla bagna cauda. Il bollito? Squisito, ma lo fanno anche in Emilia. Gli arrosti? Ottimi, ma la Francia comanda. Gli agnolotti? Certo, pazzeschi, ma a essere onesti tortellini, gyoza o dumpling sono alla stessa altezza. No, la specialità piemontese che tutto il mondo ci invidia sono gli antipasti. Gli antipasti come li facciamo noi, diciamocelo, non li fa nessuno. Il vitello tonnato e l’insalata russa, le acciughe al verde e l’antipasto «primavera», i sottoli e i peperoni con le acciughe, i tomini elettrici e il salame, il carpione e la carne cruda…. Potrei andare avanti ancora un bel po’, ma mi fermo qui, ché altrimenti mi viene fame. I soli antipasti piemontesi mettono assieme così tante prelibatezze che quasi non ci rendiamo conto del patrimonio che costituiscono. Ci sono intere nazioni cui basterebbe il vitello tonnato per trovare un posto al sole sul mappamondo gastronomico, e per noi è solo una voce in un elenco sterminato. Certo, figlio della cultura francese, del «servizio alla francese» (quello che prevede tutte le portate in vassoi sul tavolo da cui i clienti si servono da soli; mentre quello «alla russa» è quello che prevede che sia il cameriere a servire), ma solo qui in Piemonte gli antipasti sono diventati gli antipasti. Non c’è regione italiana che abbia una cultura degli antipasti come la nostra, non c’è nessun luogo al mondo che li intenda come li intendiamo noi. Un tempo, i ristoranti torinesi valorizzavano gli antipasti con quegli enormi buffet colmi di decine di preparazioni: ricordate Goffi? O i locali della collina? Mi torna in mente, da ragazzo, la meraviglia di fronte alla piramide di delikatessen a La Pace di via Galliari. Ora: capisco benissimo che quelle cornucopie di manicaretti sono desuete, che quel tipo di esposizione abbia fatto il proprio tempo (ancor di più in tempi di legittima batteriofobia), che la stessa idea di «antipasto misto» suoni un po’ fanè, con gli ingredienti che si mischiano nel piatto, ma a me ancora piace da morire andare nei ristoranti che ti servono gli antipasti «alla russa» uno dopo l’altro, magari anche coadiuvati da un carrello, come il Centro di Cercenasco, come Gemma a Roddino, come Il Gufo Bianco, come tanti locali vecchio stile. Gli antipasti sono così buoni che, diciamocelo, basterebbero quelli, senza nessun bisogno del pasto seguente.

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