venerdì 21 maggio 2021

La 'nduja e i suoi fratelli: ecco i salumi che si possono spalmare

di Stefano Caffarri I sapori unici di prodotti antichi, dal ciauscolo alla ventricina, e le loro molte varianti regionali: niente coltello, basta un cucchiaio 18 MAGGIO 2021 Gli eroi dei film d’azione al grido di “Oggi è un buon giorno per morire” affrontano ogni sorta di pericolo. È la stessa sensazione che ha chi scrive quando ha la tentazione di trattare argomenti che riguardano la gastronomia popolare, fitta di “verità” inventate difese da Mirmidoni in assetto di guerra. Perché se, parafrasando De Gaulle, "Non è possibile governare un paese con un milione di salumi diversi", oggi ci addentriamo nella nicchia della nicchia: i salumi da spalmare. Perché ne vediamo di tutti i colori: crudi, cotti, affumicati, a pezzettoni, a pezzettini, conciati, salati, pepati, da affettare, da cuocere. E sì, anche così morbidi che non reggono la lama, ma richiedono di essere spalmati sulla amorevole fetta di pane. Già alla base di questo non c’è un vezzo ma un’esigenza: molto pane poco salame, si può dire, dal tempo dei tempi in cui era più fame che gola a guidare le mandibole umane. Parleremo delle varietà più diffuse, nella consapevolezza che ogni famiglia ha il suo credo, ma proviamo a trovare un minimo comun denominatore in questo delizioso zibaldone, e anche qualche gioiellino regionale, locale o addirittura in singola produzione che la fantasia golosa qui da noi non conosce confini. Ciauscolo Nel regno degli insaccati molli brilla il ciauscolo. Riconosciuto IGP per una piccola produzione esclusivamente nelle province di Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli, nella sua qualità di salame molle ricorre sulle tavole di gran parte delle Marche e Umbria, con infinite sfumature. L’impasto comprende tagli nobili e minori del maiale, dal prosciutto al lardo, e deve la sua particolare qualità all’ingente presenza di grassi. Conciato con varie ricette a base di vino bianco, aglio, pepe e ovviamente sale, è insaccato in budello naturale in pezzature inferiori o pari al chilo e legato a mano. La ripetuta macinatura contribuisce alla cremosità del risultato finale, non inficiata dalla breve stagionatura: circa 15 giorni. Poco più a Sud, valicando i confini del Molise e dell’Abruzzo, si incoccia nella Ventricina Teramana, assai differente da quella che s’offre ai nostri palati a Vasto, Trigno o Montenero di Bisaccia, per citarne solo alcuni. Quella a grana grossa e magra assai, questa macinata fine fine, grassissima – ne contiene fino al 60/70% - e va senza dire, spalmabile. Riunita sotto il comune nome, questa famiglia bislacca di insaccati condivide l’origine, quando era lo stomaco del maiale a contenere l’insaccatura: oggi si ricercano pezzature più umane da budelle naturali. La Ventricina spalmabile ha una concia più complessa di quella a pezzettoni, come è facilmente intuibile, per fronteggiare la dilagante quantità di grasso: aglio, peperoni, rosmarino ma anche buccia d’arancia. Le due “cugine” non vanno confuse tra di loro, nonostante la loro evidente assonanza. 'Nduja Ancora più a Sud, nelle Calabrie, il peperone viene sostituito da uno tsunami di peperoncino dando vita ad uno degli impasti più intriganti del globo: la ‘nduja. Già il nome s’ammanta di mistero, con quell’apostrofo pleonastico che seduce d’acchito: ma poi è il colore e il profumo che sono un vero e proprio canto di sirena per le nostre perfettibili papille. Il nome risuona di un paio di altre combinazioni vincenti: il salam d’la duja, ben radicato in alcune zone del Piemonte, di cui diremo poi e l’Andouillette della Francia, prodotta in diverse zone: dal Perigord alla Provenza a Rouenne a Troyes. L’assonanza è giustificata da un tocco di aneddotica leggendaria: pare infatti che sia stato il Gioacchino Murat a portare in dono l’andouille alle terre di cui era stato nominato re dal Bonaparte all’inizio dell’800. I macellari locali poi la personalizzarono con l’ineluttabile peperoncino. Piuttosto omogenea la linea espressiva della ‘nduja calabrese, con la zona di Spilinga come riferimento in corsa per la IGP. Salume povero in origine, realizzato con tutto il frattagliame del maiale macinato con una percentuale omicida di peperoncino rosso, oggi ha trovato equibri assai ricercati usando importanti tagli magri e dosando bene le spezie. Non deve mancare la nota affumicata, che richiama il tempo in cui i salumi erano lasciati nelle case ad asciugare e restavano impregnati dai fumi dei camini. Stagionatura non breve: da tre a cinque mesi per arrivare a maturazione. Ventricina Forza di Lapalisse, esistono ben altri salumi spalmabili, la cui diffusione è assai più limitata, o sovrapponibile a quelli citati, oppure che solo in certi casi sono considerati “morbidi”: il Cremoso di Norcia per esempio è simile assai al Ciauscolo, viene prodotto in zone affini con metodologie affini e nell’immaginario collettivo non si è ancora conquistato un posto da protagonista. Localmente però suscita particolare interesse per il suo colore rosato, per la complessità dei suoi aromi dovute ai tagli utilizzati – lardo, pancetta, spalla, guancia – e alla concia. Dopo 20 giorni di stagionatura è pronto per arricchire una fetta di pane caldo. Il salam d’la doja – o duja – non è propriamente spalmabile, ma in virtù del particolare affinamento in recipienti pieni di grasso, resta morbido a lungo, e viene consumato miracolosamente tenero dopo un anno. La zona di produzione di questo insaccato – la doja è il recipiente che lo contiene – è inscritta in un areale che comprende Novara, Biella e Vercelli, anche se non in modo codificato. Leberwurst È tipica del Veneto invece la Sopressa, rigorosamente con una sola “p” se è quella Vicentina DOP. È insaccato nei grandi budelli di bovino e raggiunge pezzature ragguardevoli per il suo impasto di parti pregiate del maiale: coscia, lombo, grasso di gola finemente macinate e sapientemente conciate con aromi. Ha questa consistenza scioglievole, che diventa irresistibile sulla polenta fritta, ma lasciata maturare a lungo accetta il confronto con il coltello per finire dentro immensi panini. In Val d’Aosta si trova il temibile boudin, un vero e proprio sanguinaccio impastato con il lardo e le barbabietole, le patate, vino e una mescola di spezie di segreta composizione. Si mangia fresco, ma anche bollito. Altra referenza nordica il tedesco Leberwurst che sconfina nel nostro Alto Adige scartellando un po’ rispetto alle altre referenze in lista: carni precotte e fegati, a volte affumicate. Il lucano Borzillo, una eccezionale referenza a base di cinghiale. È realizzata in quantità omeopatiche da un unico produttore (a noi conosciuto) con aromatizzazioni di peperone e finocchietto. Ci vien di includere in questa probabilmente parziale nomenclatura degli insaccati spalmabili italiani anche la Salsiccia di Bra: se non spalmabile certamente “sbriciolabile” e da consumare cruda, nasce come insaccato di carni bovine per rispettare i dettami della cucina dedicata alla locale estesa comunità di religione ebraica, mentre all’oggi viene impastata con un saldo di grasso suino. Non possiamo chiudere questa galoppata se non immaginando quali meravigliosi pani potrebbero accogliere i nostri salumi “cucchiabili”…

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