martedì 16 settembre 2014

The Future of Science 2014, Maria Benedetta Donati: "Tradiamo la dieta mediterranea, per questo ci ammaliamo di più"

Serena Zoli x HUFFINGTON POST.IT


DIETA

Che fa bene lo sappiamo. Ma non quanto lo fa. Che sia originata da noi e che tutto il mondo cerchi di adottarla ci inorgoglisce. Dal 2011, poi, il nostro autocompiacimento ha compiuto un gran balzo quando l’Unesco l’ha dichiarata “Patrimonio immateriale dell’umanità”. Eppure la stiamo tradendo. Sulle nostre tavole italiane avanzano altri modelli di alimentazione, proprio quelli che sono sotto accusa in America e altrove.
Parliamo della Dieta mediterranea, quella che viene simboleggiata con una piramide che, via via che si restringe, restringe lo spazio da dare nei nostri menù a questo o quel cibo. In vetta, la carne rossa. "Probabilmente era giusto come una volta, mangiarla solo la domenica o i giorni di festa", commenta la professoressa Maria Benedetta Donati, del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia), nel Molise.
E’ lei che porterà a Venezia alla Conferenza mondiale “Sradicare la fame" (18-20 settembre) le prove del nostro “tradimento” e dei danni alla salute conseguenti a questo abbandono con uno studio condotto su 25mila volontari della sua regione (perciò, con ironia, ha battezzato la ricerca “dei Moli-sani”). E lo farà proprio mentre riporterà all’attenzione gli ambiti e le malattie per i quali è meno nota l’importante azione di contrasto della dieta “all’olio d’oliva”: tumori e malattie degenerative del cervello.
"E’ una copertura a tutto tondo quella procurata dalla Dieta mediterranea – ribadisce la Donati, - ed è fors’anche riduttivo chiamarla “dieta”. Fondamentale è abbinarvi il movimento, l’attività fisica. Un tempo da noi la fatica la facevano in tanti. Diciamo che si tratta di una tradizione culturale del Sud Europa e che è molto di più della somma dei vantaggi portati dai singoli alimenti. Ecco, è un’orchestra".
Forse è meglio cominciare dall’inizio, almeno per cenni. Di quell’orchestra colse il suono per la prima volta, durante la seconda guerra mondiale, tra Calabria e Campania un biologo statunitense venuto al seguito delle truppe. Ancel Keys fu colpito dalle basse percentuali, in quelle zone, di malati e morti per problemi cardiovascolari e gastrointestinali. Lì ebbe la prima intuizione che la radice stesse nello stile di vita nel sud d’Italia, ipotesi che confermò con decenni di studi e allargò a tutta l’area del Mediterraneo (e ne poté godere tanto egli stesso che, trapiantatosi per 20 anni a Pioppi, nel Cilento, è morto nel 2004 alle soglie dei 101 anni!).
E adesso che succede? Nello studio condotto tra 2005 e 2010 il gruppo della Donati ha constatato che è in atto un progressivo allontanamento: le persone sopra i 60 anni risultano più fedeli alla Dieta mediterranea dei giovani, che i volontari esaminati in anni recenti sono meno ligi di quelli incontrati all’inizio dello studio, che la “disaffezione” ha creato diffusi problemi di salute, in particolare tra i diabetici presi in esame come gruppo specifico.
Sorprende un altro dato: il maggiore abbandono constatato tra 2007 e 2010, la professoressa Donati lo collega alla crisi economica. Ma come mai? Non erano ricchi i meridionali osservati da Keys, come fa la Dieta mediterranea a essere una questione di soldi? "Sì, non era costosa – osserva la studiosa – ma lo è diventata forse. Intanto fa prevalere nettamente il pesce sulla carne, raccomanda molta frutta e verdura che se non si abita in campagna e la si trova a chilometro zero, costa, poi predilige i cibi freschi o surgelati, e non in scatola che costano meno ma hanno troppo sale. Inoltre, a supporto di questa ipotesi si è visto che i soggetti con minor reddito presentavano, accanto alla minore adesione alla Dieta, un maggior tasso di obesità. Abbiamo dunque avuto questo riscontro metabolico. E l’obesità è la vera epidemia della nostra epoca, anche nei bambini. Rischiosa per inferto e ictus".
Si è registrato, nello studio Moli-sani, pure un aumentato rischio di diabete, ma non solo: anche un’aumentata mortalità a causa di questa malattia. Escono ribaditi da questa ricerca i benefici di prevenzione meno noti “regalati” dalla Dieta mediterranea. Parlando alla Fondazione Cini nell’annuale Conferenza di “The Future of Science” organizzata dalle Fondazioni Umberto Veronesi, Giorgio Cini e Silvio Tronchetti Provera, Maria Benedetto Donati ne riassumerà così i meriti: "E’ protettiva nei confronti dei tumori ormono-dipendenti, vale a dire della prostata nell’uomo, di seno, utero, ovaio nella donna. Dati più recenti hanno portato in evidenza anche vantaggi per la salute mentale: mangiare “mediterraneo” aiuta a prevenire malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson".
Dinanzi a questi dati dobbiamo davvero accusarci di autolesionismo a lasciarci travolgere da altri tipi di alimentazione. "L’attenzione rivolta alla potenziale capacità degli alimenti di prevenire le malattie è un fenomeno relativamente recente", spiega la professoressa Donati. "Il cibo come cura: se ne tratta negli ultimi decenni". Ma la messe raccolta è già notevole.
Ripetiamoli gli elementi base dello “stile di vita”, quasi una panacea, dell’Italia meridionale d’antan: frutta, verdura, pesce, cereali integrali, legumi, frutta secca, vino con moderazione. Carne poca, meglio bianca. "Un’altra insidia che spinge verso il fast food – e non intendo tanto Mc Donald’s quanto i panini, il toast e cibi già pronti", conclude l’esperta, "è il fatto che oggi in famiglia lavorano tutti e non c’è più chi ha tempo di dedicarsi alle lunghe cotture dei cereali, a mondare e bollire le verdure, a mettere a bagno i fagioli tot ore prima.. E’ tutto uno stile di vita diverso che si va diffondendo. E’ il modello culturale americano".

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